Fine secolo - 27-28 aprile 1985

di Edmondo De Amicis, lettura del Primo Maggio", Bertani 1984), inaspettata quanto la lettura pedagogica del "Cuore" di Pasquali. Una lettura, dice ora Timpanaro, che coglie bene il De Amicis benpensante borghese degli anni '80, contro le stupidaggini che di recente si sono dette a proposito di un "Cuore" fasci– sta in pectore ... All'ipotesi di aver ricavato da Pasquali quello scrivere chiaro che lo avvicina al lettore profano, Timpanaro risponde male: non ho uno stile personale io, dice, sono una specie di polemista rabbioso (e ride franca– mente) con tutti i difetti di questo genere, e de– stinato a inacidire invecchiando. In filologia classica, Timpanaro si vuole un "modesto epi– gono" di Pasquali; negli studi sulla storia della cultura e sull'Ottocento i suoi maestri sono al– tri. A Pasquali Timpanaro ha dedicato molti studi fondamentali, fra gli ultimi la lunga pre– fazione alla ristampa della "Preistoria della poesia romana" (Nuova Sansoni, 1981) e il ca– pitolo nei "Critici" della serie Marzorati. A voce, insiste soprattutto sulla franchezza straordinaria del rapporto fra Pasquali e gli studenti. E' ormai un luogo comune che i do– centi debbano spogliarsi del sussiego e dell'au– toritarismo professorale, ma non è affatto co– mune che lo facciano davvero: Pasquali, se ve– niva contraddetto con ragione, ne era davvero intimamente contento, e se ne rallegrava pub– blicamente. Anche qui probabilmente fra il Timpanaro schivo di forme accademiche e il Pasquali che proclamava che era dovere dei maestri di essere "mangiati in pinzimonio" da– gli scolari c'è un'affinità profonda. E un caso che può considerarsi divertente ha appena fat– to sì che Timpanaro fosse l'unico non profes– sore del comitato fiorentino-pisano incaricato di preparare le celebrazioni pasqualiane, e che ha prontamente trovato il modo di discordare accademicamente e di sciogliersi, come si é det– to in altra pagina. Angelini dice che all'inizio degli anni '40, all'u– niversità di Firenze, Pasquali (e De Robertis, Migliorini, Devoto) costituiva un punto di ri– ferimento "politico" contro gli accademici di regime proprio per una sua estraneità fisiologi– ca, prima che politica, al fascismo e alle sue forme. Timpanaro è d'accordo, nel senso che quell'estraneità "somatica" di Pasquali aveva probabilmente l'effetto di 'spoliticizzare' i gio– vani nei confronti dell'appello fascista alla po– litica. Tutti gli allievi di Pasquali ricordano la costante ed esplicita avversione alla retorica della romanità -la stessa tesi scientifica sul ca– rattere non del tutto autoctono del verso satur– nio suonava a sconfessione della pretesa origi– nalità e autarchia della cultura latina; o il sag– gio sulla "Grande Roma dei Tarquinii", che indica il coacervo di presenze attive nella for– mazione del mondo romano, già in una fase molto antica. Timpanaro pensa che Pasquali abbia avuto la debolezza di rinunciare negli ul– timi anni del ventennio al blando ma esplicito antifascismo precedente, e che tuttavia in so– stanza non abbia mai cessato di essere un bor– ghese mitteleuropeo. Le stesse più gravi prese di posizione politiche coincidevano con quelle della borghesia.mitteleuropea, dal Nordeuropa a Croce: così per l'affermazione di una doloro– sa necessità dell'assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Li~bcknecht, contenuta nel libretto sui "Socialisti tedeschi": terribile, ma comune all'intera borghesia europea, e alla socialdemo– crazia che di quell'azione fu parte integrante. In sostanza, la confusione fra una posizione borghese e il fascismo è per Timpanaro la chia– ve di volta dell'antipasqualismo ancora vivo in Italia in studiosi come Luciano Canfora e in ri– viste come "Quaderni di storia". Chiedo a Timpanaro quale posto occupi oggi fuori d'Italia un uomo di cultura europea come Pasquali. Sorprendentemente, mi spiega, Pasquali -che qualcuno chiamava "il tedesco"– è relativamente meno noto in Germania, e co– nosce invece una rilevante fortuna in un paese cui fu sempre, anche ingiustamente, ostile: l'In- ghilterra. Pasquali non aveva simpatia per la mentalità empirista, antimetodica degli anglo– sassoni. Qui la "Storia della tradizione" ha un largo seguito fra gli studiosi, e non a caso, perchè è quella la sua eredità più autentica. (In Italia, caso più unico che raro nella storia della filologia specialistica, la "Storia della tradizio– ne e critica del testo" é arrivata agli Oscar Mondadori). In Francia l'influenza di Pasquali è un po' minore, e non solo per il suo antifran– cesismo, del resto temperato nell'ultimo perio– do, e in parte giustificato dalla debolezza della filologia francese nei confronti della linguisti– ca. Alcest,eAngelini e Renzo Nuti: la scuolasenese ... Alceste Angelini, che incontro nella sua casa di Siena, con un altro allievo di Pasquali, Renzo Nuti, che è stato normalista e poi preside del liceo classico senese Piccolomini, è un esempio della devozione a Pasquali di studenti che pure non studiavano lettere classiche. Angelini veni– va da Montalcino, figlio di un calzolaio, in tempi in cui "l'Italia era povera, e operai e ar– tigiani poverissimi". Aveva fatto il liceo a Sie– na, il concorso in Normale (risultando idoneo, ma senza ottenere il posto, "undicesimo su nove"), non sapeva ancora il tedesco, in com– penso scribacchiava, sceglie l'italiano, ma non trascura l'amore per i classici. Pasquali ne nota con entusiasmo una traduzione di Archiloco, lo chiama, lo accoglie come se fosse dei "suoi". Angelini ricorda le lezioni, pressochè riservate a quelli dei primi banchi, con gli altri che sten– tavano a intendere un modo di parlare "a trat– ti precipitoso, un po' agglutinante, con parole sorvolate, citazioni continuamente mescolate"; lezioni fatte in piedi, "senza salire mai in bi– goncia", con grandi gesti, e ascoltatori inter– pellati improvvisamente. A Firenze Pasquali alternava il latino e greco col "venerato colle– ga" Bignone, studioso importante ma molto più compassato e accademico. (Nuti interviene a raccontare la barzelletta attribuita a Pasqua– li, in realtà di fonte tedesca: "Volendo la perfe– zione, Dio creò il prof essore universitario; il diavolo ne ebbe invidia, e creò il collega"). An– gelini, che ha tradotto poeti e tragici greci per Vallecchi, Sansoni, Einaudi, e parla della sua attività di traduttore come di un esercizio «se– condario», ma si capisce che non lo pensa, dice di aver tolto da Pasquali l'ostinazione primaria a capire quello che l'autore vuol dire. Pasquali distingueva fra traduttori cui il testo antico serve da pretesto per fare una bellisiima opera originale, i traduttori che mirano solo a rende– re il tono generale ma senza darsi pensiero del– le difficoltà dei singoli passi, e quelli, che sono i veri, che prima di trovare il proprio italiano si chiedono che cosa ha voluto dire, puntualmen– te, l'autore. Essere poveri era un vantaggio, con Pasquali. Era generosissimo, e preferiva cercare lavori: «a me -dice Angelini- trovò attraverso La Pira un insegnamento a S.Domenico da alcuni frati nel 1942, avevo 22 anni. Mi propose anche di fare insieme una antologia per le scuole di tra– duzioni da Omero». Angelini parla anche lui del candore fanciullesco di Pasquali; Nuti pre– cisa che era un uomo di bontà angelica, ma che poteva anche sfoderare una cattiveria de– moniaca (sia pure per poco tempo). Di un pro– fessore universitario, oggi morto, diceva che era di un'ignoranza spaventosa, superata solo dalla longevità. Di un altro che andava per la maggiore con i suoi testi scolastici, diceva di non aver tempo per letture umoristiche. Dei parecchi colleghi di cui non aveva stima, non si preoccupava di dissimularlo. Andava pazzo La biblioteca universitaria di Gottinga per le indagini onomastiche e per i nomignoli. Lo studente friulano che gli girava scalzo per casa per riordinargli la biblioteca era "lo schia– vo"; Pasquali stesso era "il filologo soprano"; la marchesa che abitava al piano di sotto era "la margravia sottana"; ancora di se stesso, in– vitato in case patrizie fiorentine, diceva allegro di esser tenuto per "erilis scurra", buffone di corte; quando però voleva davvero deplorare qualcuno, diceva "non è umano". Si dice che facesse morire di crepacuore Pironti, che cre– deva di aver scoperto la chiave della "decifra– zione" dell'etrusco. In Normale, ricorda Nuti, detto a sua volta per ragioni di statura "il bre– ve", c'era una vera vita comune, i seminari, poi la cena insieme, ed era facile veder avanza– re Pasquali, un po' per distrazione un po' per vezzo, coi calzoni sbracati e le bretelle calate. Le chiacchiere sono chiacchiere, taglia corto Nuti, le storielle le sanno tutti. Il fatto è che ci voleva bene, e gli volevamo bene. Questa era la sostanza per noi ragazzi di allora. I "ragazzi di Pisa" cui dedicò nel 1938 "Le lettere di Plato– ne". Le pagine su Pasquali sono state curate da V.Bugliani e A.Sofri.

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