Fine secolo - 23 aprile 1985
FINE SECOLO * MARTEDI' 23 APRILE mocto domandarmi: «perchè respm, perchè sogni o pensi, perchè provi così intensamente certe sensazioni?». Scrivere mi impegna a una visione com– plessa dei luoghi e delle persone che mi aiuta a sopportare tante pene e tante av– versità dell'esistenza. Negli anni '40 e '50, ho viaggiato come esperto geome– tra nel cuore delle fitte foreste della Gu– yana, nell'America del Sud, e ho potuto evadere dalla logorante vita quotidiana perchè ogni sera, a lume di una lampada fumosa, e ogni week-end nell'accampa– mento, nella foresta fitta o sulla riva di un fiume, scrivevo un verso o due o una pagina di romanzo. Una tale scrittura era completamente intima. Io custodivo con cura quello che scrivevo, al riparo dallo sguardo indiscreto dei miei colle– ghi. Era un modo di re-iterare la traccia dei miei passi sul terreno di cui avevamo preso i rilievi, ma in un modo intera– mente diverso: una sensazione proma– nava da un territorio più profondo, pa– rallelo a quello che avevamo disegnato, un paese più profondo delimitato dalle facoltà de1la re-visione. Le immagini restavano, ma un nuovo elemento entrava in gioco; una maniera più intima di vedere al di là della sem– plice forma delle cose; sentivo due forze o due compiti simili ma profondamente e sottilmente differenti l'uno dall'altro. C'è l'applicazione al lavoro e il lavoro dell'immaginazione. Essi sono intreccia– ti ma nena loro essenziale differenza ci lasciano vedere, io penso, che per quan– to vicina sia la violenza, per esempio, alla creazione, lo sfruttamento della na– tura da parte dell'uomo (o dell'uomo da parte dell'uomo), all'autentica scienza o all'autentico lavoro, resta una differen– za immaginativa complessa e profonda fra di loro. Non sono le stesse cose. Questa differenza è la pietra angolare di una civiltà che l'invenzione può perse– guire ancora e sempre, in numerosi luo– ghi e territori, e cercare di raggiungere, fino a un certo grado, attraverso il cuo– re, il corpo e lo spirito. Forse mi permette di accedere al luogo più vicino a una verità interiore. HAITI Jean Metellus Nato nel 1937 a Jacmel (Hai– ti), questo neurologo non ha mai smesso di viaggiare nei suoi libri, da Un 'acquaforte a Lafamiglia Vorteix. Haitiano, io scrivo per aiutare il mio paese a liberarsi da tutti i gioghi politici, intellettuali e razzisti. Io scrivo per esse– re il testimonio del mio tempo, la me– moria delle generazioni, per partecipare alla formulazione e forse alla risoluzio– ne dei problemi che si pongono all'indi– viduo e alla co1lettività. L'atto di scrive– re per me è allo stesso tempo bisogno e piacere. INDIA Raja Rao Scrittore d'origine indiana, au– tore di un famoso best-seller, vive ora a Austin lo scrivo. Non potrei impedirmelo. Tut– tavia, colui che ha scritto non sa che cosa, in fui, scrive. Perchè siamo davvero noi che scriviamo? E se non siamo noi, chi è? O: che cosa è? Perchè scrivere? Due uccelli, dice il Ramayana, la nostra più vecchia epopea, si davano ai giochi d'amore, quando un cacciatore uccise il maschio. I lamenti della femmina in pianto, aggiunge il testo, crearono la leggenda e la poesia. Gli stessi lamenti risuonarono sotto l'albero di Acoka quando Ravana, il re di Ceylon, rapì Sita, la compagna di Rama. Gli alberi muoiono, gli uccelli si lamentano, gli uomini soffrono, ed è per questo che proviamo compassione verso tutte le creature che scriviamo. «Il dolore gene– ra le parole». Perchè pubblicare? Men– tre i lamenti dell'uccello annegano nel dolore, il verbo è svelato in questo eser– cizio poetico. Amrita Pritam Nata a Gujranwale, nell'ovest del Pakistan, arrivò in India nel 1947 dopo la spartizione sanguinosa del sub-continente, ciò che fornì il soggetto alla sua celebre autobiografia in lingua punjab. Onore poco co– mune, i suoi ventinove romanzi brevi sono stati pubblicati con– temporaneamente in India e nel Pakistan. Avete forse sentito parlare di una tradi– zione che riguarda i Gompas buddisti (sono dei monasteri). Secondo questa tradizione, ogni volta che un buddista commette un peccato deve, per punizio– ne, incidere gli insegnamenti del Mahat– ma Budda sulle pietre del Gompa. La durata di questa sanzione dipende dalla gravità del peccato. Secondo me, questa punizione punisce principalmente il poeta, l'intellettuale o il pensatore, perchè è a loro che si domanda di espri– mere sulla carta le attività a lungo ab– ?andonate del loro spirito e della loro immaginazione. Nell'antica filosofia indiana, il fuoco e le sue differenti forme hanno ricevuto cinquanta nomi diversi: così, la cono– scenza è fuoco, una frase è fuoco, la pa– rola stessa si chiama fuoco a causa del- 1' energia del pensiero che la trasporta. E' per questo che, accanto agli dei e alle dee legate al fuoco, il poeta e il pensato– re sono anch'essi associati all'elemento del fuoco. In verità, è un grande onore per i poeti di essere così elevati al rango di Agni (il fuoco) e questo onore non può fare a meno della bellissima puni– zione che consiste nel porre sulla carta i propri pensieri e i propri sogni. Io ho la sensazione che ciascuno scrittore faccia un lungo viaggio fra la vita com'è e come dovrebbe essere. O, ugualmente, il viaggio fra il piccolo «sè» e il grande «sè». Il Mahatma, seduto sul suo Gom– pa dorato, !Ili ha dato la punizione se– guente: devo scrivere sul foglio tutti i pensieri e tutti i sogni che mi vengono nel corso "diquesto viaggio fra il piccolo «io» e il grande «io», fra la vita com'è e la vita come dovrebbe essere. Quando ero bambina, mia nonna mi diceva spes– so che al momento della mia nascita gli dei erano addormentati. A quell'epoca io non capivo che cosa volesse dire. Cre– scendo, mi sono resa conto che ci sono sei' stagioni nel calendario mitologico indiano. Tre stagioni sono chiamate «giorno» per gli dei e le tre altre sono chiamate «notte». Ecco perchè mi sem– bra che attraverso tutta la mia attività di scrittore, io abbia tentato di risveglia– re gli dei che si sono addormentati al– l'interno dello spirito umano. INDONESIA Dhini Nurhayati Hostess, moglie di un diploma– tico francese, letteratura raffi– nata. Perchè scrivo. É cominciato durante la rivoluzione e subito dopo la dichiara– zione d'indipendenza della Repubblica Indonesiana nel 1945. Avevo allora cir- ca undici anni. La città di Semarang nella quale abitavamo era occupata da– gli alleati ·degli occidentali che venivano «a riprendere la possessione degli olan– desi» 9opo la sconfitta dei giapponesi nella seconda guerra mondiale. Tutti i , legami con le città proclamate Repub– blica Indonesiana erano tagliati. Ora, quando è scoppiata la rivoluzione, la mia sorella maggiore, accompagnata da suo marito, e dall'altra mia sorella che amavo molto, era in viaggio all'interno dell'isola di Giava. Questa regione era allora considerata al di là della linea di demarcazione e fu «per parlare» con questa sorella e amica che ·cominciai a scrivere. Qualche tempo dopo, mio pa– dre ha visto uno dei miei taccuini che contenevano «le mie lettere non spedi– te» a mia sorella. Avevo capito dal suo atteggiamento e dalle sue frasi che, se non un prodigio, q'uello che io facevo era una rarità. Dopo la rivoluzione, quando la famiglia si riunì, i miei tac– cuini venivano mostrati a tutti e tutti mi abbracciavano e mi coprivano di parole piene d'ammirazione. Poi mio padre è morto in seguito a una malattia mal cu– rata durante la sua incarcerazione da parte degli olandesi. Avevo allora quat– tordici anni. Cominciai a spedire dei so– netti e delle quartine alla radio della re– pubblica a Semarang. Furono accettati e ricevetti una certa somma di denaro. Era la prima volta che vendevo «la mia opera». Quel denaro, per poco che fos– se, mi aveva aiutato molto perchè mia madre ~ra vedova senza pensione nè reddito, e dopo di allora non ho mai cessato di scrivere. All'età di diciannove anni, passai dalla poesia e dalle pièces per radio alle storie brevi, e a ventitre anni scrissi il mio primo racconto di cento pagine. Man mano che crescevo e maturavo, avevo il cuore che vedeva e ascoltava tutto. I miei scritti conteneva– no la vita che mi circondava dovunque fossi. E da quel tempo, io scrivo per tre cose. Per denaro, che vuol dire per vive– re, malgrado sia così poca la gente (in rapporto al numero di abitanti) che vo– glia o possa comprare dei libri in Indo– nesia. Seconda intenzione, per registrare ciò che vedo, ciò che sento e tutte le cose che mi toccano il cuore. In altre pa– role, mi piacerebbe mostrare che «quelle cose» esistono nel nostro mondo ma allo stesso tempo dò a mio modo dei suggerimenti. Infine, terza ragione, scri– vo per far piacere alla mia famiglia, ai miei amici e ai miei conoscenti che sono tutti fieri di sapermi una donna che scri– ve. IRLANDA Samuel Beckett Nato a Dublino nel 1906. Pre– mio Nobel 1969. La sua scrit– tura drammatica e romanzesca è concisa, senza troppo ottimi– smo. So fare solo questo.
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