Fine secolo - 23 aprile 1985
MALI MandeAlpha Diarra Nato nel 1954, ha condotto de– gli studi di veterinaria e si è imposto con un solo violento romanzo, Sahel, sanguinante siccità. Proverbio bamana: «Un uomo può es– sere afferrato dal leone e riuscire a sfug– girgli, ma non può mai sfuggire alla propria bocca quando quest'ultima lo afferra». Così la parola da noi è temuta e ritenuta sacra. Il suo apprendistato si cffettua con la pratica di una letteratura che precede la scrittura: parlo dell'ora– lità. Corsi di cosmogonia, di mitologia, di sociologia, delle scienze della natura, di storia e di logomachia ne costituisco– no le materie fondamentali. Una lettera– tura che ha prodotto i suoi Omero, i suoi Socrate, i suoi Aristotele, ma questi non hanno firmato individualmente nè Odissee nè Trattati. E non a caso, dato che nè la gloria nè la prosperità li preoc– cupa vano ma solo l'armonia del presen– te, della vita sociale. Noi designamo questo grande gruppo di letterati anoni– mi col vocabolo generale «Maestri della parola». E per citare uno o l'altro fra loro, non occorre dire «Baba-Zoumana o Tientiguiba Danté ha detto», ma «se– condo i Maestri della parola ... o gli an– tichi hanno detto ...». L'individuo lette– rario si dissolve nell'anonimato di que– sto magma diffuso dei «Maestri della parola». Io sono dunque oralità prima di essere ·scrittura. E in questo contesto la questione «perchè praticate la paro– la» non si pone, perchè questa pratica è la condizione stessa della vita, della con– cordia sociale. Ogni elemento della co– munità è perciò invitato a iniziarvisi. La letteratura cementa allora l'edificio so– ciale che ciascuno contribuisce a co– struire. La scrittura, materializzazione visuale della parola astratta, è posteriore benchè da secoli, ben prima della grafia araba, i «Grandi Maestri della Cono– scenza» comunicassero e comunichino ai nostri giorni con grafismi e ideogram– mi loro propri. Ma la scrittura popoJa- . re, come sostituto della parola e mezzo · unico o principale di comunicazione è · venuta interamente dall'esterno. Essa : ha introdotto nuove motivazioni, nuove ·1 ambizioni: la gloria, la celebrità, la for– '.tuna, la riuscita sociale e infine l'immor– l- talità, accessibile non ai soli capi di :guerra ma anche ai letterati. ' ,Il sogno di una vita comparabile allora a quella dell'autore delle Contemplazio– ni, del Lago, o delle Memorie d'oltre– tomba ha nutrito una pretesa giovanile di scrittore. Il primo libro scritto con passione mi fece conoscere la gioia della pubblicazione, della lettura di critiche favorevoli, l'ebbrezza dell'aureola del ti– tolo di scrittore o autore. Ma le diffi– coltà non risparmiarono lo scrittore. Egli non fu esentato dal presentare la sua carta di soggiorno al controllo della polizia nel metro. La metereologia non variò secondo il suo gusto, e i semafori non diventavano verdi al suo arrivo. Viene allora il tempo delle interrogazio– ni e del dubbio. Dubbio sulla via scelta, dubbio sugli obbiettivi stessi che erano per lui la gloria, la celebrità, l'immorta– lità. / .../ E tuttavia io continuo a scrivere. Non posso farne a meno. Una scrittura nata dal desiderio di testimoniare, di partecipare ai dibattiti che animano la comunità · umana. Comunità in cui il sentimento di non essere che un elemen– to passivo della scena, un intruso mo– mentaneamente tollerato, mi fa rivolta– re. E capisco meglio le forti emozioni che risvegliarono in me le pagine dei "Miserabili", di "Black Boy", o della "Madre"./ .../ MESSICO Homero Aridjis Nato nel 1940 nello stato di Michoacan. Studio di giornali– smo e di lettere, carriera di di– plomatico ma destino di poeta. Ha cominciato a pubblicare le sue prime poesie a vent'anni. Una lingua che seduce ben ol– tre le frontiere messicane. I. Perchè scrivo? Per arrivare a una poe– sia. 2. Che cos'è una poesia? , 3. Una poesia è una somma di uomini e una combinazione di parole. 4. Con le parole, noi accettiamo la sto– ria. Con la poesia noi aécettiamo la vita. 5. Una volta fatta, la poesia, come mo– mento vissuto, entra in una forma inal– terabile, in una condizione ierreversibi– le. Nella condizione irreversibile dei mo– menti umani. Nella condizione evasiva delle cose del mondo. 6. Ogni poesia passa (fugge). 7. In un mondo in successione le parole si succedono per captare il mondo. 8. La poesia fa, il poeta scompare. 9. Pensare per pervenire all'impensato. SalvadorElizondo Traduttore virtuoso venuto a capo e del M onsieur Teste di Valery e di Mallarmé, ha potu– to divertirsi a scrivere: «Io scrivo che io scrivo che io scri– vo». Un giocatore di letteratu– ra nato nel 1932 a Mexico. Un romanzo, Faraheuf, come un tour de force in un istante. Io scrivo. Io scrivo che io scrivo. Men– talmente mi vedo scrivere che scrivo e posso anche vedermi vedermi che scri– vo. Mi ricordo di aver già scritto e mi vedo anche quando scrivevo. E mi vedo · che mi ricordo che mi vedevo scrivere e mi ricordo di essermi visto r\COrdarmi che scrivevo e scrivo vedendomi scrivere che mi ricordo di essermi visto scrivere che scrivevo e che scrivevo che scrivo che scrivevo. Posso anche immaginarmi che scrivo che avevo già scritto che mi sarei immaginato che scrivevo che ave– vo scritto che mi immaginavo che scri– vevo che mi vedevo scrivere che scrivo. CarlosFuentes Il più superbo degli scrittori messicani. Portamento, posti in diplomazia, insegnamenti negli USA. Ha scritto una saga del Messico: Terra No– stra. Scrittore rifinito che ha potuto costruire tutto. Dif enso– re appassionato che ha potuto dire tutto ali'America Latina. Perchè è una delle rare.cose che so fare. NIGERIA CyprianEkwensi Un igbo letto da tutte le etnie, prolifico e popolare. Nato nel 1921 a Minna, nel nord del paese, è stato funzionario nel servizio forestale, proprietario di una farmacia, giornalista, professore. Il suo Peop/e of the city (1954) è unanimemente ri– tenuto il primo romanzo afri– cano contemporaneo. Non ho mai pensato seriamente allà ri– sposta che si dovrebbe dare a questa do– manda. Sono troppo occupato a scrive– re. Ma siccome occorre che ci sia uno scopo ,a tutto, è vero, si scrive, e io pos– so dire senza timore di sbagliarmi ché' scrivo per dare un senso alla vita, in tut– ta la sua complessità. Scrivendo romanzi, si cerca di dare un qualche ordine alla vita stessa. I buoni sono ricompensati, i cattivi puniti, l'a– more è pieno di ostacoli, lavorare duro conduce alla riuscita, il delitto non paga. Altrettante osservazioni banali. Ma quando si producono davvero nella vita, il modo in cui si realizzano va ben al di là dell'invenzione più sfrenata; è per questo che si dice spesso che la ve– rità supera l'immaginazione. In Africa noi abbiamo le nostre proprie forme letterarie -folklore, poesia orale, racconto lungo- e ciascuna di queste forme è portatrice di una maniera edifi– cante dei valori morali. Noi non credia– mo all'antieroe, al marginale. Per questo la nostra letteratura orale tradizionale costituisce più una prepara– zione alla vita stessa che un divertimen– to puro. La scrittura mi ha dato delle soddisfa– zioni. E' l'unica attività permanente del– la mia esistenza e si sposa sempre bene con ciò che sto facendo d'altro. Ma io ho seguito tempestivamente il consiglio di quell'inglese, celebre autore di novelle degli anni '40: "Se vi proponete di scrive– re, cominciate col trovarvi un lavoro che vi paghi pane e burro". Scrivere, non è cosa che assicuri sempre il pane o il bur– ro. Ma una volta presi in trappola, non si scappa più. Wole Soyinka Poeta, drammaturgo, ·roman– ziere ( Ake, gli anni d'infan- 2ia), critico, editore, tradutto– re, l'uomo-orchestra della let– teratura africana è nato a Abeokuta nel 1934. Impegno politico e prigione durante la guerra civile. Una costante: l'insegnamento del teatro. E' il mio còté masochista, suppongo.
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