Fine secolo - 6 aprile 1985
. FINE SECOLO* SABATO 6 APRILE •-A?''~ 10 t. •. -:-=~:Z·. ·,~ ,•.•' ----~ maschi volessero fare gli americani. Fiorivano anche gli amori legali -spesso di uomini maturi con giovanissime ragazze, gli uni perché finalmente si erano decisi al passo sempre rimandato a causa di accidie oblomoviane con– fortate dai patrii doveri, le altre perché spesso prive di coetanei, o perché erano morti in guerra o perché ne era– no tornati miserabili; e si scombinavano consolidati ma– tnmoni borghesi, o perché le mogli non erano state fedeli o perché la guerra aveva fatto da cartina di tornasole e gli eroici mariti si erano trasformati in poveracci; o infine soltanto perché le donne cominciavano a .intravedere e prefèrire un libero destino. La Zazà che si era perduta nella festa della canzone rap– presentava un tipo di donna più istintiva e nel contempo più libera socialmente di quella anteguerra. Anni dopo, quando lessi il testo di Rimbaud: («Dice: 'Non amo le donne. L~amore é da reinventare, si sa. Loro, non possono volere altro che una ,posizione sicura. Raggiunta questa posizione, cuore e bellezza sono messi da parte: rimane solo un freddo disdegno, alimento del matrimonio, oggi. Oppure vedo delle donne, con i segni della felicità, di cui avrei potuto fare delle buone compa– gne, subit·o. divorate da bruti sensibili come roghi ... '»), stranamente ricordai la canzone di Zazà e le parole «A ddo' sta Z ~zà, compagna mia ... », come una luce che mi venisse.in so ccorso dal '45 in quel cupo inizio di anni '50, che par.ve avere fine nel '53 con la canzone "Lo sai che i papaverj ..."; ma quel popolare deamicisiano alla Sanremo non era il mio; maturò così il mio aristocratico distacco dal popolo, al quale la-canzone di Zazà mi aveva invece tanto unita con la sua prorompente e barbara alle– gna. ~ Ad altezza di cane ,, 4. Non regnava invece allegria dopo il terremoto dell'80 a Napoli. l primi mesi ohe lo seguirono furono come un eterno '43, senza fine né inizio, come i terremoti fatali· e le guerre logiche. Le bombe venivano dal cielo e contro di esse ci si rifugia– va sotto terra. Le scosse venivano da sotto terra e ci si rifugiava all'aria aperta. Ma non c'era aria aperta nella trappola per topi dei vicoli dell'antica Napoli greca e di Corte. E si guardava al cielo, pauroso anch'esso, non per chiedere clemenza, ma per misurare la tenuta dei corni– cioni, la profondità delle lèsioni, la rotazione degli angoli e per decifrare i danni iscritti come un moderno diagram– ma o un antico indecifrabile geroglifico sulle facciate de– gli altri palazzi. Sì, anche il cielo ci stava crollando addossso, come du– rante la guerra; e ne misuravamo meschin_amentela tenu– ta; e la terra ci aveva traditi, respinti lontano dalle più re– mote pieghe materne; non solo tutti gli Dei superiori, ma anche quelli inferi erano adirati; e soprattutto la Dea Madre, sotto vari nomi sempre a Napoli té}.nto invocata. Camminavamo tutti tanto in quei mesi per sbrigare prati– che, trasportare masserizie, fuggire le case, soprattutto la propria, abitata dal fantasma della 'Cosa'; come volessi– mo imitare il passo frenetico del terremoto e seguire lo st~sso corso dei suoi pensieri; o forse solo, per contrastar– gli, scaramanticamente, il passo; o omeopaticamente cu– rando il terremoto con il moto. Durante quella sorta di vana circumambulatio due imma– gini dolcissime e tremende di inermi vittime sacrificali mi tenevano compagnia, venute a me dalla pietà dell'infan– zia -diversa da quella adulta, tanto che più che di pietà si dovrebbe parlare di com-passione cioé di totale identifi– cazione col sofferente principio della natura: quella del "Cane della Solfatara", la povera bestiola di cui mi ave– vano narrato che veniva sacrificata dalle guide avide alla/ sete di sapere e al sadismo dei turisti facoltosi, increduli come S.Tommaso, finché non avevano toccato: la morte del cane esposto ai vapori di anidride solforica che rima– nevano stagnanti e non arrivavano ·a toccare gli orifizi re– spiratori dei superiori esseri umani. E quella del calco del cane da guardia della Villa di Orfeo che legato era stato sorpreso dall'eruzione del 79: il più misero dei calchi di Pompei. Invano tentò di spezzare la catena e di raggiun-' gere un .varco, sollevandosi sui cumuli di sabbia e lapilli dopo che il tetto era stato sfondato, finché da altra sab– bia fu sommerso e schiacciato; esso é tutto contorto, in una innaturale posizione fetale, due zampette piegate e due sollevate, la bocca spalancata in un estremo guaito. Vedere del rosso r 5. Le piazze si offrivano éome meta alle strade e queste ai vicoli e questi, trasformati in una sorta di "Exposition Universelle fin de siècle", effimeramente costruita in fer– ro e legno, a loro volta diventavano meta ai frenetica– mente passeggianti, in una circonvoluzione attorno a quella misteriosa "cosa" centrale, nascosta sotto i basoli lavici o l'asfalto, la quale mi appariva èome un soffio gri– gio tanto denso da somigliare al dorso squamoso di un drago dormiente-o di un'immensa testuggine, sul quale poggiavano le nostre case·-nostre, sì, perché erano in quei mesi come di tutti e di nessuno, appartenendo in realtà a11 a "cosa". . .. .· .· . ,❖•·. ·~- Faceva un gran freddo quell'inverno e il cielo era livido, traversato da grandi lame gialle che fendevano il volto dei passanti, dividendoli in maschere bifronti, l'una cieca, l'altra veggente, o si accendevano sprizzando scintille fra gruppi di ragazzi biondi che giocavano a palla negli spazi ora più liberi, perché chiusi al traffico. Non so perché fra tutti quei grigi e quei lividi lampi gialli cercavo qualcosa di rosso: o perché all'invisibile sotterra– neo terremoto avrei preferito una manifesta eruzione del Vesuvio, il quale d'altra parte e da troppo covava suoi torvi segreti; o perché dopo la scossa mi erano improvvi- , samente cessate fe mestruazioni, come a rifiuto della vita· e a imitare, quell'anticipata menopausa, un'invocata pausa delle scosse tremende; o per il ricordo del '75 a Na– poli; o solo perché il rosso é allegro quando non é colle– gato al sangue e alla morte; o perché, ricordando le tau– romachie dell'infanzia, mi pareva l'emblema del gioco esatto, elegante e crudele dell'uomo contrapposto al1a cieca ira della bestia.
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