Fine secolo - 6 aprile 1985

gnarsi con loro che con gente incontrata al di fuori della struttura del gioco ..Il tor– rione gli offre un mondo sicuro, costruito su un complesso insieme di regole. Al suo interno può usare la sua destrezza per co– struire situazioni sociali così come costrui– sce le sue costruzioni di Lego. Torrioni e Dragoni consentono a Mark di stare con la gente altrettanto ~ suo agio che quando ha a che fare con le cose. E' la sua soluzio– ne a un dilemma comune: ha bisogno e in– sieme paura di intimità personale. Ha tro– vato un suo modo di stare per proprio conto 'senza sentirsi solo. Si potrebbe dire che per lui Torrioni e Dragoni diventino _un mondo sociale strutturato come una macchina. · , C'é un altro, e più drammatico modo in cui Mark mostra la propria predilezione .per i sistemi simili alle macchine. Egli ha elaborato una teoria della psicologia che lo porta a vedere se stesso e gli altri come macchine. La teoria, di cui rivendica la paternità, é largamente fondata su idee correnti nel Laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT. In Mark si vede come ' queste idee vengano fatte proprie da qual- cuno che non fa parte del mondo dell'In– telligenza Artificiale, e che gli é tuttavia abbastanza vicino da rappresentare un primo anello nella catena di diffusione di queste idee. L'anno scorso, egli ha elaborato una de– scrizione dettagliata I ael funzionamento esatto della macchina-Mark attraverso un cosciente metodo introspettivo. "Come Freud", mi dice. "Io non seguo teorie di altri. Io rifletto su me stesso ed elaboro la mia teoria- c9me Freud tirò fuori· le sue teorie e poi si guardò attorno e le adattò". Quando Freud "si guardò attorno" "adattò" idee che venivano dalla sua cul– tura scientifica, dalla fisica e dalla biolo– gia .. Quella di Mark é una cultura del computer: Egli usa sistemi di computer per riflettere su tutti i sistemi complessi, e in particolare per considerare la comples– sità della sua stessa mente. Mark parte dall'idea che il cervello sia un computer. "Questo non vuol dire che la struttura del cervello som.igli all'architet– tura di un qualche sistema di computer at– tuale, ma che il cervello può essere model– lato usando componenti emulate da mo– derne parti digitali. Nessuna parte d_elcer- vello funziona mai in un .modo che non possa essere emulato in una logica digitale o analoga". Nel Tron, i programmi sono esseri complicati, psicologici e "motivati". Si danno un gran daffare a correre di qua e di là, a programmare, complottare, e ~combattere. Nel modello di Mark gli atto– ri computazionali nel cervello sono sem– plici. Ognuno é un piccolo computer con un programma- ancora più piccolo, e ognuno "conosce solo un pensiero" .. Mark prende sul serio la limitazione a "un solo pensiero". "Un processore potrebbe tenere l'impressione visiva di un compu– ter. Un altro potrebbe custodire la memo– ria uditiva di una tastiera che viene battu– ta. Un terzo processore potrebbe ospitare l'immagine di un pinguino". Nel mofiello .di Mark, tutti i processori hanno lo stesso status: sono "osservatori" lungo un fossato. Tutto ciò che compare nel fossato può esser visto simultanea– mente da tutti gli osservatori in ogni pun– to ai suoi bordi. Il fossato con i suoi os– servatori é un sistema di computer multi– processoriale. Nel gergo dei computer, Mark descrive il fossato come un "bus", una linea urbana che mette gli attori in contatto l'uno con l'altro. Le loro opzioni di comunicazione sono ·molto limitate. Ciascuno guarda il fossato e quando com- · pare qualcosa che ha a che fare con quello che "lui" sa, "tutto quello che può fare é di far entrare in azione la sua conoscen– za". Mark elabora una nozione di coscienza come osservatore passivo. "Il fossato più gli osservatori costituiscono il processore centrale del cervello. La co– scienza del cervello é solo un riflesso di ciò che si trova nel fossato in un dato momen– to...I processori, gli osservatori, corrispon- · dono ai neuroni nel cervello. Se un ricerc;a– tore al margine del cervello potesse racco– gliere un campione di neuroni e decodifica– re quale impressione sia stata attiva in un dato momento, quel ricercatore potrebbe "vedere" che cosa sta pensando il cervello. Quel ricercatore impersonerebbe la funzio– ne della coscienza. Incapace· di alterare le reazioni a catena nel cervello, questa co– scienza é sviluppata piuttosto nel processo del pensiero, avvertendo ciò che in un mo– mento dato é la più forte impressione. La .... . ' coscienza é un osservatore inerme nel pro– cesso che chiamiamo pensiero. E' un sotto– prodotto degli eventi locali fra neuroni". · · .Mark non fa letture filosofiche. Ma il suo modello computeristico della mente lo porta a cimentarsi con le più vecchie que- . stioni filosofiche: l'idea del libero· arbitrio e la questione dell' «io». La teoria di Mark non ha spazio per nessuno dei due. Il fos– sato e gli osservatori sono un sistema de– terministico. Quello che sperimentiamo come coscienza é solo uno "spettatore im– potente" che riceve i segnali più forti fil– trati fino a lui. "Le azioni, così come il pensiero -dice Mark- sono determinate dalla cacofonia delle voci dei processori". Non c'é libero arbitrio nel sistema di -Mark. Il sentimento personale di una de– cisione consapevole é un'illusione, o piut– tosto un 'impostura: uno dei processori, scemo come gli altri, si é arrogato l' «appa– rente» ruolo di coscienza. Non ha alcun potere di decisione, "potrebbe appena es– sere una stampante, aggregata al compu– ter. Si' limiterebbe a stampare i più forti messaggi pervenuti dagli agenti". La co– scienza é un epifenomeno. Mark dice che _ anche se ci fossero agenti che potessero agire con una "volontà libera", si tratte– rebbe ancora di un "loro" e non di un "lui". Nel modo di vedere di Mark, non c'é "io". "Tu credi di stare prendendo una decisione, ma sei davvero tu? Per esempio, quando hai un'idea creativa, che cosa succede? Tutt'a / un tratto, pensi a qualcosa. Giusto? Sba– gliato. Non hai pensato a quella cosa. Essa é filtrata attraverso, semplicemente -il pro– cessore della coscienza é solo seduto lì e os– serva questa cacofonia degli altri processori che si accalcano nel bus e screma quella che gli sembra la cosa più importante, una cosa per volta. Un'idea creativa significa sJltan– to che uno dei processori ha stabilito un le– game fra due cose non associate perché lui · ha pensato che fossero connesse". Nel corso della mia intervista con Mark, creatività, responsabilità, libero arbitrio, e emozione, si .dissolvevano tutti, pura gra– naglia per i mulit1i dei piccoli processori. Ho chiesto a Mark se pensasse che "men– te" sia qualcosa di più che il sentime~to di FINE SECOLO * SABATO 6 APRILE averne una. La sua risposta é stata chiara: "Devi finirla di parlare della tua mente come se pensasse. Non pensa. Semplice– mente, fa". Mark prende l'idea degli 1 ag.enti e corre con lei fin dove può trasportarla- fino alla demolizione 'dell'idea di libero arbitrio, alla demolizio_ne dell'idea che abbia, lu 1 stesso, un "io" responsabile. E quando ì.o interrogo sulle emozioni, 'dice: "OK, fac– ciamo uno schema su un foglio". Per quant9 chiarisca che il mondo deve aspettare la tecnologia multiprocessoriale di domani per realizzare ·l'intelligenza fun– zionante che egli ha modellato, Mark fa della sua "teoria della società" qualcosa che impiega parti dei computer di oggi. Il suo bu's e i semplici processori stanno fa– cendo cose che Mark pensa di sapere come far fare ai co'mputer- (come ricono– scere una "immagine di pinguino"). E quando arriva qualcosa che lui non sa come far fare a un coµ1puter, può dilazio– nare il problema dichiarando che l'intelli– genza emergerà grazie all'interazione dei processori. Mark parla del suo "modello" multipro– cessoriale, ma ciò di cui realmente dispone é una metafora multiprocessoriale. Nono– stante la sua vaghezza, la metafora gli sembra potente. In primo luogo, egli può identificarsi direttamente con essa. Può -mettersi al posto degli agenti. La quoti– diana esperienza di Mark coi computer gli fa ~pparire reale la sua teoria. Egli é per– suaso che nel suo modello il problema del– l'intelligenza sia stato ridotto a un proble– ma tecnico. Dal momento che vede se stesso come una persona tecnica, è con– tento. Ne riceve una sensazione di poten– za. E' l'appropriazione d~la psicologia da parte dell'ingegneria. Che dolce vendetta se gli aridi ingegneri diventassero i guru della mente! Il modo di poarlare di Mark é eccezionale solo perché le sue idee sono elaborate e lui nutre una cosi forte fiducia in esse. Ma l'i– dea che l'io sia una serie di programmi di computer è largamente diffusa fra gli stu– denti che ho intervistato a Harvard e al MIT, e che avevano dimestichezza con grandi sistemi di computer. Com.e Marlc, essi pensano che la complessità di questi sistemi offra una chiave per riflettere sulle proprie menti. I collaboratori di questQ numero di Fine Secolo Fabrizia RAMONDINO ha scritto fra l'altro, per Einaudi, "Athenopis" (1981) e "Storie di patio e altri racconti" (1984). Collabora a giornali e riviste. Vive fra Napoli e Roma. Raffaele VENTURINI, fotografo, vive a Sàlerno dove ha uno studio. Collabora con diversi giornali. Di recente ha pubblicato da Laterza, con Gaetano Milone, "Le filande di Sarno". Sergio RINALDI TUFI vive fra Roma e Siena, dove insegna archeologia. Si occupa in particolare di scultura provinciale romana. · .Sherry TURKLE, autrice di "The Second Self', è associata al Programma di Scienza, Tecnologia e Società del MIT. I Panayotis KANTZAS vive a Firenze, dove dirige l'Istituto di cura per bambini autistici AIABA. Ovidio BOMPRESSI vive a Massa di attività pubblicistiche, editoriali e poetiche. ,~ac~ : I José BERGAMIN, nato a Madrid nel 1895, è uno dei maggiori scrittori spagnoli del Novecento. Saggista, autore di testi teatrali, poeta, ha concluso la sua vita, profondamente e coraggiosamente radicata nella-cultura e nella storia politica spagnola, in esilio volontario nella città basca di San Sebastiàn, dove è morto il 28 agosto 1983. Giorgio Agamben, Ginevra Bompiani, Margherita Belardetti, Renato Calligaro, OL'79, Vincino, Clemente Manenti, collaborano regolarmente a "Fine secolo". L'autore di "Addo' sta Zazà", Raffaele Cutolo, ci ha gentilmente messo a disposizione le edizioni originali, altrimenti introvabili, dello spartito. Hanno inoltre variamente contribuito Paola Agosti, Andreas Schroth, Gabriele Thale~, Carlo Cirillo, Benvenuto Saba, Alberto Berlanda, Riccardo Scottoni. La cura di Fine secolo è di Nora Barbieri, Paolo Bernacca, che si occupa della grafica, Marino Sinibaldi, Adriano Sofri, Franco Travaglini. _

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