Fine secolo - 23 marzo 1985
FINE SECOLO e SABATO 23 MARZO 18 r, • Qui sotto, il ca_ppellano GioachinoGeroma bordo del "Singapore". Accanto:Napoli, l'arnvo delle truppedalla Cina: Sbarcanodal Smgaporee dal Washington. · Nella pagina a fianco: il trasportodella salma del ten. Carlotto(fot. Brogi). ncse praticamente cessata - rientra nella storia della terri– hilc "pacificazione'" voluta dalle Potenze e realizzata dai loro eserciti. Le trup}}e internazionali (con in prima fila Russi: Tedesèhi e Inglesi) usarono su vasta scala, ina– sprendoli. i metodi inaugurati a Taku. E gli italiani, quirndo giunsero, non andarono molto lontano dal com– portamento allora seguito. Praticarono cioè una violen– /a. per così dire à rimorchio, sporadica e non sistematica; ruharono a volte il superfluo., ma soprattutto il necessa– rio: uccisero quando venne loro ordinato (il comando delle colonne miste di operazione era generalmente tenu– to da militari stranieri), ma non mostrarono mai quella che fu allora definita una "libidine di strage diffusa". É significativa, in questo senso, la testimonianza di T. Salsa (giunto in Cina a capo. del battaglione di fanteria con grado di ten. Colonnello) che-racconta in una lettera alla madre la spedizione su Tuliu, presunta cittadella dei Bo– xers: "I Boxer erano spariti, se pure erano esistiti mai, e neppure un colpo di fucile si è fatto. Ma gli Inglesi ligi ai loro metodi hanno seminato la distruzione sulla città col– pevole. che dopo essere stata abbandonata al saccheggio fu bruciata con metodi scientifici... Tutto. era stato porta– to via e quello che non si poteva asportare era stato ri– dotto in frantumi. Noi abbiamo preso specialmente le cose utili al corpo di spedizione, come grano, stuoie, pel– lami, cotone e mobili; ma gli altri prendevano tutto ... E dire che venivamo qui per portare la civiltà! Sono cose delle quali è meglio non parlare, se no troppo si dovrebbe dire". Barzini, un reporter galantuomo Quel "troppo" taciuto, lo troviamo nelle corrispondenze di Barzini, il quale descrisse fatti, luoghi, situazioni, sen– za censurare neppure i particolari più agghiaccianti che davano la misura dei metodi usati in questa guerra. Egli non solo denuncia quanto ha visto direttamente attraver– sanda,quello "spaventoso paese della morte!', ma indaga e raccoglie le testimonianze di chi aveva assistito, con sdegno o indifferenza, alle prime -rasi di un eccidio che si era consumato al riparo da sgraditi osservatori esterni. Viene così a conoscenza (per fare solo qualche esempio), che era un fatto normale "l'esercizio di tiro compiuto dai soldati di tutte le Nazioni sopra ai contadini terrorizzati, che fuggivano" e che i Cinesi venivano "ammazzati spes– so per divertimento" o "per sostenere" - come aveva af– fermato un ufficiale di artiglieria tedesco - "il morale del– le sue truppe". Ancora di peggio venne fatto a Tung– chao, a· Yang-tsun, a Ta-liu-shu e in molti villaggi che erano ridotti ad un ammasso di rovine annerite quando vi passarono i primi reparti italiani, diretti nella capitale .. Dalla metà di agosto Pechino era nelle mani delle truppe internazionali e il 28, in rappresentanza delle Nazioni vincitrici, tremila soldati (fra cui 100 italiani) con armi e bandiere, sfilaronq nella Città Proibita che venne occupa– ta. Nel giro dì poco tempo furono svuotate le sale, profa– nati i templi, svaligiati l'antico osservatorio astronomico e le preziose biblioteche delle pagode, i cui libri alimenta– rono i fuochi dei bivacchi. Le stesse sequenze si ripetero– no nel Palazzo d'Estate e in quasi tutti i quartieri della città, dove dal giorno dell'occupazione le truppe avevano sostanzialmente libertà d_iìniziativa. Fecero a gara per impadronirsi delle zone più ricche; corsero subito alle banche per assicurare alle proprie amministrazioni il de– naro nemico; continuarono con saccheggi indiscriminati a monti di pietà, magazzini, abitazioni. In quei giorni a Pechino dapperttutto si sentiva it_cigolio delle carrette che transitavano cariche d'argento e di oggetti preziosi. Morte di Tun il cuoco Poi venn~ro 1~violenze sugli-abitanti inermi che si tra– sformarono in massacro nel quartiere ad est della via Ha– m_en.La maggior .parte degli abitanti era fuggita e tra.i Pechinesi rimasti in città vi erano pochi ricchi e molti po– veri disgraziati che, per sopravvivere, andavano alla ri– cerca della protez_ionedi qualche europeo: i primi, offren– do ospitalità ai diplomatici senza casa o ai funzionari occidentali, i secondi mettendosi al loro servizio. Ma non sempre il sistema delle protezioni funzionava, soprattutto quando il protetto era gente come Tun. Tun er_a il cuoco del sig. Rizzardi e del suo amico Belcre– di (due ingegneri ferroviari che lavoravano in Cina da qualche.tempo); un vecchietto taciturno e bonario che in– cappò, innocente, nelle maglie della repressione straniera. Era uscito.una mattina per fare alcune spese, ma non era più rientrato. Sparì e-péi-qualche-giorno non se ne seppe più nulla: era stato arrestato dai Tedeschi che volevano farla finita con i ladri a Pechino! Ma Tun era, anche, un protetto italiano e allora si fece, attraverso la Legazione d'Italia, quanto era possibile per vedere riconosciuta la sua innocenza. La diplomazia, di conseguenza, fece i suoi passi, corti e lenti, e alla fine il vecchio venne liberato, ma in condizioni tali da essere irriconoscibile. Era stato ba– stonato a morte ma, poichè era innocente, gli fu concesso di morire in libertà: riuscì a trascinarsi fin sulla soglia di casa dove alla sera venne trovato in fin di vita, rannic– chiato su se stesso. La storia di Tun è, in qualche modo, emblematica: la storia di una folla che continuò a patire violenze quotidiane anche quando la città era già divisa in quartieri militari. Ad ogni corpo di spedizione fu affi- -data una zona per organizzarvi il servizio di polizia che venne, però, esercitato con severità solo sugli indigeni. Italiano brava gente Il quartiere nord rientrò sotto la giurisdizione degli Ita– liani che, çosì come a Tien-tsin, non vessarono mai la po– polazione. Certo questo fu possibile "perchè - come af– ferma lo stesso Candiani - le nostre truppe giunsero in ritardo, quando l'ordine era quasi completa,nente ristabi– lito". Tuttavia, va riconosciuto ai soldati italiani il merito di un comportamento che fu nell'insieme moderato_ ed umano come molte testimonianze confermano. Quanto ai furti o, se si vuole, alle "appropriazioni di guerra", queste, fatti salvi casi isolati e puniti, vennero limitate ~l materiale - sia pure abbondante e diverso - di cui la trup– pa aveva necessità. Tale linea di condotta conobbe però . alcune deroghe, non solo imputabili alle iniziative di sin– goli_o di qualche grùppo di soldati, ma anche alle scelte effettuate o avallate dagli alti comandi. Così il meccani-– smo delle appropriazioni di guerra, per quanto oculato, fruttò nondimeno antichi cannoni di bronzo "da desti– narsi aì musei" e numerose casse di vasi, lacche, procella– ne, sete ecc., giunte in Italia a mezzo del S.Gottardo. Tut– ta roba cinese ora di• "proprietà dello stato", che era ·sopravanzata alla distribuzione fatta tra le varie compa– gnie del materiale meno pregevole e più utile, di cui le truppe "non avevano la possibilità di provvedersi altro– ve". All'aslenza di. carri di ambulanza e, da trasporto, nonchè alle deficienze di approvvigionamento e di equi– paggiamento (rimase famosa la mantellina da bersagliere indossata ancora da parecchi soldati, in dicembre, con 15° sotto zero) i nostri comandi sopperirono, in larga parte, facendo ricorso ,alle requisizioni. Queste venivano operate non più a Pechino (nel frattempo _ripopolatasi e tornata quasi alla normalità), ma il} altre· città della re– gione che, nel periodo settembre-dicembre, furono ogget– to di spedizioni punitive. Oltre alle contribuzioni in dena– ro, Je "prese di guerra" comprendevano abitualmente tutto quanto potesse servire a coprire e nutrire i soldati, e a rendere più. agevole il trasporto delle salmeri,e. Così i bersaglieri durante la marcia da Tien-tsin a Paoting-fu ebbero due polli per uno al giorno; i trasporti via terra furono in buona parte costituiti da muli, cavalli, asini e carri cinesi; come pure cinesi furono le pellicce che con– sentirono ai soldati di sopportare il freddo delle monta– gne attraversate per raggiungere Kalgan.
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