Fine secolo - 9 marzo 1985

FINESECOLO* SABATO9 MARZO 1985 36·: Angeli di Ginevra BOMPIANI L'ANGELO DELL'ATTESA Sulla città è caduta la neve. Sui muri gialli, sui tronchi bruni, sui capitelli rossi, sulle cancellate, la neve ha messo la mano, perché i colori rimangano ap– poggiati per terra. La loro crescita è stata fermata. Sopra la neve il cielo è · bianco e compatto. Da quel cielo, come una sagoma grigia di guglia, af– fiora l'angelo dell'attesa. Il fumo, di un comignolo è poco più grigio dell'aria, poco più mobile. Le sue volute si attorcono intorno alle ve– sti dell'angelo. Alabarde televisive tre– mano storte nell'aria. Esse sono la cro– ce nella mano dell'angelo dell'attesa. I rami pendono come zampe di cane. La loro chioma umida ondeggia sul capo dell'angelo dell'attesa. Che cosa attende la città? Nulla. Ma ha teso la sua .trappola per le tracce. Chiunque arrivi lascerà un'impronta. Il silenzio della città è la bocca dell'ange– lo. Chiunque arrivi, oggi, non sarà an– nunciato. Il silenzio dell'angelo sarà la sua accoglienza. Ma oggi non arriva nessuno. La città ha teso pei:-nulla la sua tela. Presto la scioglierà in rigagno– li sporchi; l'attesa sarà svanita nella città di fango. DUE ANGELI Ci sono due angeli. L'angelo della vo– cazione e l'angelo dell'ispirazione. -Si voltano le spalle. Fra di loro si stende il desert J. Nessuno dei due s3: che faccia abbia l'altro. L'angelo della vocazione alza una mano, accigliato, e di quando in quan– do un passante coglie al volo quel ge– sto e si ferma, si confonde, subito sem– bra ricordarsi qualcosa che l'angelo sta per chiedergli. Da quel momento è pri– gioniero. Forse l'angelo ha alzato una mano per caso; forse voleva grattarsi un orecchio, o sbadigliare. Ma il pas– sante è catturato; catturato dal silenzio dell'angelo, e avrà poi tutto il tempo per chiedersi se veramente chiamava lui. É ancora stordito, il chiamato, quando muove i primi passi nel deserto. Presto l'angelo si confonde con la luce del sole che batte sulla distesa di sabbia. Che cosa deve fare il chiamato in quel de– serto? Qual è il suo compito esattamen– te? Perché ora che è l'eletto, nessuno sembra aspéttarsi più niente da lui? L'angelo dell'ispirazione non vede nul– la di tutto ciò. Alle sue spalle fruscia la sabbia, il sole si avvolge nel vento, po– trebbe esserci il mare, per quel che ne sa. Forse, per scandire il tempo, s'illu– de davvero che ci sia il mare, e che sia– no le onde a battere e sciabordare con– tro i suoi piedi; le onde a trascinare quei relitti che, di quando in quando, gonfi e senza faccia, egli abbàssando gli occhi vede emergere tra le sue cavi– glie, gli affogati del deserto. Allora si piega, li raccoglie fra le brac– cia, e incollando la sua bocca alla loro, cerca di infondere in quella gola arsa, il suo resptro. lt L'ANGELO DEL RITORNO É notte. La luce e il tavolo si riflettono nei vetri. Dietro, nel buio, qualche luce puntuale indica la presenza dell'angelo del ritorno; ogni luce nella notte è l'in– segna di un luogo dove tornare. E an– ch'io v9rrei tornare. Ma dove? Il buio è fuori dei vetri, così come il luogo del ritorno. L'angelo è in quel ri– flesso, quella blanda striscia incolore che cinge il buio. In quel riflesso c'è an– che la mia faccia, e questo foglio. En– trambi mi appaiono fuori dei vetri, come nel loro luogo più proprio. Ma come raggiungerli, entrambi? come ri– trovare un luogo il cui cartello indica– tore sparisce se appena mi muovo e mi allontano? e perché nòn è qui la mia patria? Così scriveva lo scrittore malinconico, che aveva lasciato la sua casa e la sua gente da tanto tempo, e mai più rim– pianti.- Che cento volte aveva cambiato vita, e mai si era pentito. Che aveva tradito uomini, donne, sogni e promes– se, e mai guardato indietro. E ora pro– vava, nella luce dell'angelo, una strug– gente nostalgia di ritorno, ma · a nessuno di questi luoghi, a nulla di cui gli giungesse il ricordo, - a un luogo che aveva tradito, senza averlo ancora conosciuto. - L'angelo del ritorno tremava sullo stemma della notte, come una fiam– mella di candela che un colpo di vento spegnerà da un momento all'altro. E basterebbe, pensava lo scrittore, che spegnessi la luce, che mi staccassi dal - tavolo per perderlo. Ma· come posso raggiungerlo senza perderlo? Così continuò a lavorare per tutta la notte, confitto nel suo esilio, finché l'alba non gli rubò, con opaca invaden– za,l'insegna della sua casa perduta. L'ANGELO DELLA SEGRETEZZA . Col ventre pigiato contro i vetri, il cie- lo chiuso fra le _scapole,che cosa ci na– sconde l'angelo della segretezza? che cosa teme per noi? la felicità. Egli teme che, lasciandoci aperta ogni visione, ne scopriamo la strada; e che dimentichia– mo così quella del sacrificio, che pro– duce la storia e l'opera, il volto scavato e la parola asciutta, lo sguardo fermo e inerme del filosofo, la dolce implacabi– lità dello scienziato; e la strada dello squilibrio, che produce poesia e san– tità, sublime ed estasi, eleva torri e co– pre i cieli di neve; e la strada della vo– lontà, che lega e scioglie, e dove non può, taglia il nodo con un colpo di spa– da. Ventre e mammelle premuti contro i vetri, l'angelo della segretezza espone il suo pianto materno, e ci invita a disfar– ci di noi, ci invita alla prova dell'acqua e del fuoco, alla strada in salita, all'in– sonnia e alla sete, senza sosta ci invita, e non ci dà pace. E mentre va così facendo, nasconde fra le sue ali congiunte la pace, la pausa, la_ felicità di cui col suo corpo ci chiude l'accesso - non per vietarlo, ma per cu– stodirlo - perché un giorno, seduti sul ciglio della strada, con la testa fra le mani, spogliati dalla sconfitta, buttan– doci come un bambino sulla madre contro il suo grembo protuberante e pieno, vi affondiamo a faccia avanti e ne ritroviamo, chiusa appena con un rametto d'edera, la porta. Quella porta alle SAalle dell'angelo che conduce al– l'abbandono, all'agio,. al canto - e non produce opera, né storia, ma è, lei stes– sa, l'opera del respiro. ;~\8) rt~ \ •I i. . .. L'ANGELO DELLA SBADATAGGINE Dove il piede inciampa, la mano cerca nel vuoto e gli occhi si girano sorpresi, l'angelo si tiene in piedi,con le sottane strette alle ginocchia, come se temesse · gli schizzi di una pozzanghera. É là per tramutare lo sbaglio in volontà, la per– dita del terreno in intenzione, per rian– nodare il disegno intorno alla smaglia– tura: è là per .consentire l'ermeneutica inversione del tempo, proprio nel mo– mento in cui lo spazio è così confuso che un ciotolo, una bu,çcia d'arancio, un pezzettino di latta, bastano a ribal– tarlo; a far precipitare il cielo, a tra– sformare la terra in uno schiaffo. L'angelo si tiene in piedi, unico birillo di un mondo turbinante, e segna la di– rezione in cui gli occhi smarriti e fretto– losi di quel nuotatore dell'aria cercano ancora un senso, un p~rché. Grazie a lui l'inciampo troverà ragio– ne, il caso ,incontrerà il fato. Eppure,la sua faccia incollerita apre l'eventualità di un'ironia angelica; poiché negli an– geli. dove tutto sempre in ogni istante si capovolge nel suo contrario, dove il più distante si fa fratello intimo - e di questo sono messaggeri- l'ironia sem– bra, a un primo sguardo,,quanto di più serio e austero. O forse non è ironia, forse è proprio corruccio: il corruccio di svolgere un compito così basso nella gerarchia an– gelica, il compito di mutare la sbada– taggine in disegno e armonia, lui la cui alta vocazione. sarebbe quella di scio– gliere il disegno nell'errore, l'armonia nel canto sbadato di un bambino. L'ANGELO CUSTODE Nella sue mani è affidata la custodia di qualcosa che senza di lui andrebbe per– duto. Ma nessuno sa precisamente che cosa sia. E ogni giorno affidandoglielo - e deponendolo nelle sue grandi mani - . ci chiediamo: ma sarà proprio questo che non dobbiamo perdere? É questo che vogliamo custodire? E ci avviamo poi, dietro di lui, trottan– do per mantenere il suo passo e gettare di quando in quando un'occhiata alla larga tasca gonfia, dove la suu.custodia riposa fino al momento in cui la ricon– segnerà, mentre cadiamo addormenta– ti. Poiché quel che vogliamo custodire, la veglia non è capace di guardarlo, la vo– lontà non sa trattenerlo, nessun pro– getto di difesa può proteggerlo. Ciò che, così prezioso, temiamo di perdere più di ogni altra cosa, è deposito e cura della trasognatezza, del sonno, della smenticanza. Il sonno la riconsegna. I sogni ne sono vigili pastori. Ma la veglia coi suoi cani da guardia ce ne spossessa. A che cosa dunque fanno la guardia i cani, se il cuore del gregge è stato consegnato al– trove? E a che serve la volontà, la ve– glia, il sapere, se proprio ciò a cui fan sentinella viaggia pochi passi innanzi a loro. dimenticato in fondo a una tasca insieme a un fazzoletto usato e qualche briciola secca? Custodiscono la sua assenza; il vuoto cui pertiene; l'urgenza, l'inquietudine, la paura, la fame, l'attesa, la nostalgia, il pianto; su questi vegliano le sentinel– le, perché la notte non sia disturbata, e l'ehu, ehu.. accorato accompagni la processione del venerdì santo; perché dentro a ogni volizione, a ogni proget– to, a ogni conoscenza, stilli sangue il pugnale dell'usurpatore. L'angelo cammina avanti; non ·bada al suo carico né a chi lo segue; cammina verso il tramonto con passo contadino; e giunto dove l'ultima luce del sole si congiunge alla notte, si volta; affon– dando la larga mano nella tasca ne trae un ··involto, che il crepuscolo fodera: d'incertezza; in quel momento, per un istante, la mano dell'uomo e la mano dell'angeÌo si toccano, e toccandosi, senza saperlo, celebrano l'incontro che a quell'ora avviene nel ciel.o.

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