Fine secolo - 9 marzo 1985

FINESECOl:.O * SABATO9 MARZO 1985 26 . . . Thomas Harlan,figlio di Veit Harlan, il regista più celebrato del· .·nazismo, è l'autore·di« Wundkanal»: un vecchio criminale nazista sequestrato da giovani terroris'tisenza volto. Robert Kramer, ebreo americano, è l'aÙtoredi-«Unsernazi»: ur,, giovane regista,.esorcis_ta e persecutore, si impad,:_onisce di un vecchio criminale nazista e lo trasforma in un inconsapevolegrande 1.HARLAN Thomas Harlan è stato uno dei ragazzi ai quali, quando tutto era perduto, fu messa una pistola in mano e fu detto di difendere Berlino: quarant'anni fa, giorno più giorno meno. È la generazione del buffetto, potrem– mo dire, quelli ai quali il FOhrer diede l'ulti– mo schiaffetto sulla guancia prima di andarsi· a sparare nel Bunker. Di buffetti fatali Tho– mas Hàrlan ne aveva già ricevuti altri, per esempio da Goebbels, amico di famiglia ne– gli anni in cui suo padre, con il film «Jud SOss», divenne il regista più celebrato del regime. . «Jud SOss» era la versione cinematografica dì un'opera teatrale di Lìon Feuchtwanger;– scrittore tedesco di origine ebraica, che ave– va dato alle scene il suo lavoro già nel 1918. E divenne il supporto, la giustificazione mo– rale, o peggio, ·estetic·a della· persecuzione. - antiebraica. «Più che la materia e il modo di trattarla, determinante fu il ·momento nel quale il film fu fatto. Se «Il mercante di Vene– zia» fosse stato scritto a Berlino, nel 1939, con la consulenzà di Goebbels, Shakespeare sarebbe un criminale». Harlan non è indul– gent_econ suo padre. «Credo che poche persone -ha detto nel cor- . so di uno dei dibattiti sul suo Ulm al festival. di Berlino- abbiano analizzato il proprio pa– dre così a fondo e così a lungo come me. Non ho mai smesso di farlo». Prendiamo ad esempio un altro film di Veit Harlan, •«lmmensee», fatto all'inizio della guerra. Visto con gli occhi di oggi da uno spettatore ignaro, non è altro che un polpet– tone sentimentale di media qualità (mentre «Jud SOss» è un.film di alta qualità). Ma quel polpettone era parte integrante di u.na ricetta infernale: dopo una giornata di massacri, la sera i fucilatori si scioglievano in lacrime guarda.ndo «lmmensee». In «Wundkanal», il film di Thomas Harlan, c'è una scena culmi– nante, di una intensità drammatica ai limiti della sopportabilità: è quando il vechio Fil..: bert, sospeso l'interrogatorio, viene lasciato solo con le immagini di «lmmensee» che scorrono sul video. E si abbandona a quelle immagini come rapito in un sogno, mentre le lacrime gli inondano il viso. In.quella scena il 2.KRAMER- «Sono figlio dì ebrei amerìcanì della prima generazione. La famiglia di mia madre era originaria di Odessa, quella dì mio padre ve– niva dalla Germania ed era, per così dire, un pò caricalurale. Avevano una botteguccia e desideravano che i figli riuscissero nella vita ... Han sacrificato tutto per mio padre, che è diventato medico. lo sono nato nel 1940, a New York. Ma siamo andati subito in Virginia, a causa della guer– ra, e non sono andato a scuola fino a 8 anni, al nostro ritorno in. città. All'inizio fu, come dire, un periodo facile, mi sentivo forte e in– dipendente dopo la vita in campagna, ero un ragazzo di strada. Poi mio padre è tornato dal Giappone dov'era stato mandato come capo della delegazione per le ricerch~ sugli effetti della bomba atomica a Hiroshima. È diventato un medico importante, un cardiolo– go, ed è cominciata la nostra ascesa sociale. Siamo andati· ad abitare in Park Avenue, e tutto è cambiato nella mia vita. Per. esempio · mi ricordo ché mi vergognavo del mio indi– rizzo e nç>n invitavo mai glj amici a casa. Mia madre aveva il mito dell'America, voleva che fossimo «americani», ciò non toglie che il suo primo istinto, quando ho finito il 'liceo, fu di mandarmi in Europa. Mi han diretto so– prattutto in quella direzione, verso est, e mi c'è voluto molto tempo prima di dirigermi dall'altra parte, verso ovest, per conoscere il mio paese! A quell'epoca, non accettavo lo stile di vita dei miei genitori, che era semplice, noioso e interprete di se stesso. . · molto sol.ido. Assomigliava un pò all'atmo– sfera dei «Buddenbrooks». Thomas Mann era il mio grande eroe, e vi ritrovavo le stes– se reticenze, la stessa vita, diciamo, castiga– ta. Mio padre si esprimeva poco ed era sem– pre più malinconico. Il successo profe~sionale (era il medico di Eisenhauer) non lo soddisfaceva, e sono convinto che il. suo comportamento ipocondriaco fosse lega– to all'esperienza di Hiroshima, al clima di morte senza limiti da lui vissuto per due anni. · . Qualcosa è morto anche per lui in quel pe– riodo. Con me non ne ha mai parlato, mai. Ci h0 riflettuto molto mentre giravo «Il nostro nazi», perché son molto favorevole agli amalgami, credo che_una definizione precis~ lasci apparire un unico aspetto degli avveni– menti. Per esempio, si dice sempre «l'olo– causto è ·una cosa, Hiroshima un'altra»; sì, in un certo modo è verq, d'altra parte l'olocau– sto è stato il primo dì una lunga serie di ge– nocidi. Mi sembra: che il modo in cui mio pa– dre ha vissuto con l'orrore di Hiroshima, orrore di cui non era responsabile ma solo , testimone, non sia così diverso-dal modo in cui Filbert vive la sua propria storia. Mio pa– dre non ha mai cercato di imparare vera– mente --qualche cosa o di accettare quello che il suo corpo ·ha effettivamente imparato. E questa storia del corpo non riconosciuta dalla coscienza è diventata malefica: mio pa– dr.e si è a poco ;::i poco suicidato a forza di medicine per attacchi cardiaci immaginari. Dopo il liceo, mi soA separato da questa fa– miglia soffocante., me ne _sonoandato in Bra– sile, mi sembrava un paradiso. Fu per file un'esperienza determinante, cominciai ad avere un'idea" dell'imperialismo americano. Qaundò sono tornato negli Stati Uniti, un giorno, a Washington, ho visto per caso una mini-manifestazione davanti alla Casa Bian– ca. Guardando bene, ho riconòsciuto molti amici del liceo, era straordinario, mi sono messo in marcia con loro, tutto il giorno; poi, la sera, sono andato a una festa dove ho tro– vato degli studenti che avevano partecipato all'insurrezione di Berkely, e tutto è cambia .. to ,per me; una settimana dopo son diventato militante di un'organizzazione di bianchi che cercava di organizzarp la lotta nei ghetti neri. Ero molto a mio agio, mi. sembrava di poter applicare alla vita nei ghetti la mia esperienza in America Latina. · A quell'epoca ho cominciato a fare del cine– ma. Allora il cinema europeo degli anni '50 era •per noi giovani molto importante, per esempi_o Bergman. Erano i primi segni di un cinema molto più vicino a dei ritmi di vita che mi sembravano veri. Il cinema america– no, invece, ci faceva vivere in una finzione che era quella dei miei· genitori quando mi dicevano «siamo americani!» e in realtà non avevano niente a che vedere con la vita del paese. Il cinema di allora era per noi una menzogna, e volevamo andare a vedere cosa succedeva dietro le quinte. Per questo massacratore incalli!o diventa un personag– gio tragico, proprio in_virtù della sua demen– za. Ciò che colpisce nella persona di Thomas Harlan, a prima vista, è la sua irrequietezza, il suo essere in continuo movimento, il suo avvicinarsi subito e «troppo» all'interlocuto– re. Si sente in lui la traccia di una sofferenza viva, attiva, e il suo bisogno di comunicarla. Può sembrare capriccioso, infantile, e lo è forse anche nella sua generosità, nel suo im– pulso di dare, di regalare, con il gesto di un bambino che r~gala il suo giocattolo. «Ciò che non ho mai perdonato a mio padre è la sua contentezza, il fatto che abbia· continuato a vivere felice, fino all'ultimo giorno», dice. _Lo scrittore francese Michel Tournier nella sua autobiografia ricorda il suo incontro a Tubinga con il giovanissimo Thomas, subito dopo la guerra: «Quando arrivò a Tubinga, coi suoi diciassette anni aveva l'età e l'a- · spetto di Rimbaud al suo arrivç> a Parigi nel- • l'agosto del 1870. Era dominato e lacerato da tre passioni: l'amor.e per suo padre, la ver-. gogna di suo padre, il forsennato desiderio di abbandonare al più presto questa Germa– nia ancora fumante di rovine e ancora appe– stata dai miasmi del nazismo... Thomas scomparve poi da Tubinga altrettanto miste– riosamente, quanto improvvisamente vi era ·comparso ... seppi in seguito che insieme al– l'attore Klaus Kins!<i era andato a lavorare sotto falso nome in un Kibbuz israeliano. Più tardi andò in Polonia a fare ricerche e racco– gliere documenti su un massacro perpetrato da SS che ancora circolavano in libertà. Cer– to, il nome Harlan noi) era facile da porta– 're!». lsraéle, Polonia, Russia, Francia, Inghilterra, Italia, Portogallo ... tante taIwe di un viaggio senza fine, che lo ha reso così simile alla fi– 'gura letteraria dell'ebreo errante e cosmo– polita .. E dappertutto le sue interminabili ri– cerche sui crimini del nazismo. E ora il suo ritorno in Germania con questo film, nel qua– rantésimo anniversario della cap•tolazione, un film che rompe tutte le regole 'del gioco e che è un'opera d'arte. c M. - \ era importante andare a vivere nel ghetto, anche se era difficile per un «middle.:.class boy»! Ho cominciato così a girare, affascina– to dalla possibilità di fare del cinama-verità. Allora, i soldi si trovavano facilmente, era fa– cile fare un lavoro alternativo. «Ice» è costa– to 14.000 dollari nel '69, e «Milestones» · meno di 50.000! Impensabile adesso. Il vero problema era invece di integrare .dei film a un progetto politico, e non era solo un pro– blema concreto ma soprattutto di coscienza, che è diventato ancora più grave quando ho constatato che i .miei film non piacevano ai compagni. Ho capito che la mia arte perso– nale (allora credevo che fosse un'arte) af- .frontava i problemi politici in modo molto di– verso dal loro. E non volevo far vedere i miei film a nessuno. Di «Ice» si è detto persino che era un film controrivoluZ'ionario. Quando è uscito, non l'ho detto a nessuno. «Milesto– nes» ha coinciso con la fine del movimento. E 'gli amici: «Questo è il peg_giore di tutti!». Ovvio, riappariva l'immagine della famiglia, nessuna traccia di ghetti, ecc. Che il film fos– se invitato a Cannes era,una vergogna. · Quando mi son stabilito in Francia, qualche anno dopo, ho dovuto imparare veramente il mestiere, e credo che il lavoro realizzato qui, fatta eccezione di «Il nostro nazi», è mol– to meno interessante e importante di quanto ho-fatto prima. Perché c'è un vuoto in me, nella storia che viviamo, e perché è neces– sario sapere il mestiere per continuare a fare ·dei film. La fine della storia è il film che sto girando, «Diesel», un film commerciale, per un pubblico vasto, con degli attori noti. Un lavoro molto noioso. Domani mi devo al– zare e andare a lavorare, vorrei poter dire a qualcun altro di andarci in vece mia ...»

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