la Fiera Letteraria - XV - n. 26 - 26 giugno 1960
Domenica 26 l!iuiroo 1960 L~ FIERA LETTERARIA Pag. 5 SCRJCTTOJR.JC JCN JPJR.JC~ O JPJCANO ---- Giovan11a Zan~randi: L~ miliare 152 11 bunker coperto dal– l'erba, silenzio sotto l'er– ba, io che adesso mi chi a-· rno Caino. Tutti si sce– glie,·ano dei nomi di battaglia che ricordasse– ro Garibaldi o Salgari o il Texas, secondo i loro gusti; quando Sandro mi chiese che nome volev.:, avere, gli dissi calmo: - Caino, so io perchè, non va bene? - Bè, non è piacevole, ma forse :mch'io lo so. - Rispose Sandro - E qui delle cose piacevoli non ce ne son troppe. Se va bt'!ne a te, tienti sto' nome. Sandro era immusonito quella sera, non credo che c'entrasse il mio nome, non so, può darsi che lo fosse da prima; io ci bru– ciavo quando S3ndro era immusonito, non dicevo niente, si sa. E cosi andai a sbronzar– mi per non soffrire, per non lambiccarmi. Perchè poi mi tornava a mente una certa storia e mia madre: quando m1 veniva a mente quella faccenda andavo a sbronzarmi. Ora, dal posto dove si era con Sandro, scesi allo spaccio di Ado e dissi agli altri che trovai là e cono-– sceva: - Qua, pago da bere, per un bat1ezzo, il mio. Sissignore. Perchè adesso sono quello vero, so io perchè. - Bevemmo mol– to quella sera. da poco conoscevo Ado, lui ci guardava con l suol occhi tristi, non voleva incontrare l miei, quella sera no, lui che di solito !iss:.1va drit– to da uomo. Penso che avesse capito e non voleva rivelarlo, umiliarmi. Co-– sì saltellava là attorno e ci serviva da bere, con garbo. E adesso mi chiamo Caino. Prima? Prima mi chiamavo con un altro nome ed un co– gnome mica giusto. 11mio sangue vero non è quello; adesso non mi importa più niente di come mi ab– biano fatto, anzi, forse ne sono fiero, fiero anche di mio padre vero. pur fili– bustiere che fosse. Ma adesso forse è tardi per capire, magari non vi– vremo, non vivrò sapen– dolo. Bè, succederà quel che vuole. Fu una sera da Placher ch'io capii bene questa faccenda del nome che port:.1vo e :ion era il mio, capii certe altre cose. Nel– l'officina di Placher do– ve ero apprendista mi dis– sero, al solito dissero: e bastardo >. Poi arri\·ò sua cognata e strillava e bastardo, zingaro, sco– municato > e Placher si mi– se a ripetere parole cosi ed anàle altre, per gran– deggiare si mise ad appic– cicarle a mia madre ed an– che a tutta l'Italia, non che fossi patriota o mi importasse di questo, al– lora, figurarsi, ma proprio Placher rompeva le sca– tole. Ripassavamo il mo– tore di una Balilla, a Pla<ller lira! ;>d<losso il secchio dei pezzi smontati e tutta la smorcia di la– vaggio e poi facemmo un inferno di pugni, avevo quattordici anni, mio fra– tello mi aveva insegnato a tirar di boxe. non voleva– mo sentirci dire quelle pa– role. E mio fratello più gran– de era - forse è. forse è vivo, chi lo sa? - un tipo esatto, pignuolo, misto di una sua canzonatura, un tipo in gamba se ben lo si considera. Ci allenava– mo di boxe e lo vin~vo alla fine perchè ero gros– so e mi scagliavo. Rideva– mo, rotolandoci nei corpo . a corpo. ridevamo come matti. Allora. Lui mi in– segnò i colpi giusti ed a parare, mi disse pure dei colpi proibiti. A Placher mollai uno in diaframm~. piombò sul secchio dei pezzi della Balilla e Jo schiacciò col sedere, il faccione flaccido gli smon– tava da rossC' a terreo. Dopo correvo come mat– to con la mia bicicletta, non per paura, anzi, avrei voluto litigare anco– ra e mi senth-o forte. cre– devo che avrei saput;> spaccar tutto e tutti. Spac– car facce alla gente. Me anche un bisogno di stra– da altrettanto forte ed era meglio dar retta a. que_– sto e non mettersi ne1 guai di facce spaccate. Ed. alimentate dall'altra fu– ria di baruffa, le gambe andavano, la bici correva come una moto potente. Il primo tratto di strada era quasi piano, poi ag– grappava i tornanti sotto il colle. In quella mia volata furiosa ·e velocisslma arri– vai su, fino alla pietra mi– liare 152 ch"era sul bordo del secondo tornante e mi parve che si bloccassero le gambe, che si spezzas– se la catena che faceva andare le ruote. Era logico che non po- levo reggere a quell'anda– tura: e restavo là con la bici appoggiata alla mi– liare da un lato ed io sca– valcato dall"altra. con le gambe a ciondoloni sulln. valle. Prima di allora non mi era mai capitato di pensare a lungo ad una cosa, ora mi succedeva di voler pensare e capire e sapevo bene che fosse e perchè. avrei dovuto guardarla? Mica ero !igbolino di tu– risti che parlano di pano– rama. Io al mattino scen– devo in bicicletta, guarda– vo la strada, le curve, la ghi3ia; alla sera forzavo sui pedali in salita con la testa insaccata nel manu– brio. che Rodi 1n quinta e far-- gli vedere. · E Liselta mi mollò un ceffone, questo me lo aspettavo, poi sibilò an– che e sporco bastardo > e continuò a dir parole su mia madre e la mia e raz– za >. Allora Ja misi a ba– gno nel mastello sotto la fontana, Dio Buono, se strillava! Stavo li come ad aspet– tare di poter cominciare un filo di pensiero e ca– pire, con il fiato grosso: E adesso guardavo lag– giù le chiazze dei lumi de– gli altri, di gente come Placher nel centro più grosso dove andavo ad of– ficina, poi dei lumi più esili e staccati: sono le Là raggomitolato dietro la miliare 152 non mi ri– passavo tanto quelle storie, baggianàte, ora guardavo i lumi dei loro paesi, si- Il problema del linguaggio * di ALBERTO BEVILAC(tUA ln 09ni tempo il problema del lin– guaggio vivo. ìl problema dei moduli d'espressione verbale da mettere nella bocca dei personaggi creati attraverso la cwtnaicne fantastica, è stato non facile da T1$olvere in una dfretta co– munione con f lettori. Mai C011U 09gi, però, questo problema h.a subito in sé una frattura. risolvendosi praticamente in un'antitesi che ancora per molto con– fonàertJ. le idee dei nostri scrittori, so– pratutto dei più giovani: alludiamo aJ- 1·antiWi e lingua-dialetto•· La bravata dialettaie, filtrata attraverso il lirismo o il preziosi.sm.c letterario da scrittori che verso il ceto popolare nutrono più mimetismo eh-e amore sentito, forse sta scende1tdo la china della sua moda, sen– za però che il posto la.sciato vacante sf pruenti occupato da un .sistema df espressione de}'lnitivo tn un altro senso. al di là.. cioè. delle mOde .semplicemente di rottura. Se abbiamo premesso que.ste considerazioni. é perch.è. Giovanna Zan– grandi. consegnandoci alcune pagine del .suo nuotio romanzo e alludendo al– le difficoltd del linguagaio incontrate nel corso della ffia stesura. ci ha dichia– rato con molta chiarezza: #' ••• ad un certo punto, forse più che articoli. dibat.titi e conferenu su tale araomento (in pro e in contro) forse mi hanno aiutato f dialoghi ed i Tacconti dei miei paesani autisti. u sol.dati o emigranti: in certe .se,·e. dopo sciato. qui davanti a casa mia ci .st beve una bottlalia ed a volte .st avviano .storie più vive e compluse del– la battuta o della barzelletta. Allora spes.so li sento pa.ssare alla lingua. di– sinvolti . semplici, pronti anche a conia,.. re coragaiosamente una parola con il dialetto, se per loro la lingua ne man– ca: ma e comunqlU! un italiano parlato e vivo, oon tutte le we sillabe intere, senza ripetizioni utiote, come ,ono logici e pratici coloro che dicono.... :t. Con la sua consueta chiarezza. secca a volte come una Jrustata e nata per il fre– quente contatto con la gente def suol monti. Giovanni Zanarandi mette dun– que il dito sulla piaga con un buon sen– so legato ad una gfu.sta via di mezzo. risolvendo la sua fonnula in un modo oriainale. 11 romanzo che ha richiuto questo lavoro di ricerca formale da par– te della Zangrandi.. racchiude la .storia di un uomo appartenente alla aenera– zione cosidetta ctell•c ultima guerra»: un ~1en~ir:/s~o'~1~tu;'os~n;{i°ruf. 11 ~e~o vf~ fine del conflitto. per salvarsi dalle ri– cerche dei nazisti. è. costretto a nascon– dersi in un e bunker» na.scwto sotto le zolle (di qui il titolo probabile: « Silen– zio sotto l'erba •J e a starei aiornl e notti, senza mai vedere la luce, .senza L-Omunicare con nessuno. Per resi..stere, per non impazzire, l'uomo ricorda. ri– passa con la memoria tutta la sua vita: la sua. vita di meccanico. di autist a, di soldato. legando a queste lontane ca.se. che ali arrivant'I ingig,antite dal rim– pianto, la sua attuale speranza di sal– vezza. La ZangTandi ha voluto ben in– dividua.re il protaaonista.. fac~ruù:nu. il ftr:lio di S adina Bru.saz: la non dime}l– ticata figura del precedente romanzo della scrittrice: cioè de « / Bnua.z • (che rivelò la Zangrandi al premio Deledda.J. I fatti. anche questa volta. COTTUponc. deranno ad una realtà precisa. docu– mentata. indagata persino nelle sue pie– ghe psicologiche_ Dopo il riconoscimen– to al e Bagu.tta ». quindi. la. scrittrice cadorina (e.5$avive attualmente a Bor– ea di Cadore. facendo praticamente la stessa vita di quei valligiani) si prepa– ra attivamente a presentarsi a! giudizio dei lettori con nuOtle prove, costruite e impo.state con quel tono e quelle atmo- :f:"~:;~ ,~~o i/t>~:: is~~re;~ ~ft!~!t~~i~ :nonafn°tJ'e':;~o t1.1~~~ quanto sagaestivo (quello dolomitico, quello rude di una aente eh.e ha una sua civiltd particolarissima) la Zan– arandi merita fiducia e attenzione nella sua fatica letteraria.. MOito presto, la scrittrice conseanerd all'editore il .roman– zo, di cu! noi diamo un'anticipazione; successivamente. e.5$asi metterà a rior– dinare un certo materiale àl diarli di un bruciante periodo che fl romanzo .stesso le ha fatto riprendere in mano (la auerra. dunque. con i suoi orrort e le per.secuzioni di CUl la Zanarandt ste.ssa · è rimasta vittima). Attendiamo quindi, con impazienza e ftducla. la ZangTandl alla sua nuova prova. ALBERTO DEVII.ACQUA quando si sarà calmato si capirà? Ade650, qui, mi è chiaro che iJ filo della mia vita vera comincia da quella pietra miliare e da quella sera. Prima non conta; prima di allora c'erano state nascite di due fra– telli, di capretti, di agnel– li e di un importantissimo vitello da una vacca che ci avevano imprestata. E tra le cose brutte ci fu la morte de} padrino. bè, quella fu un colpo di testa. Prima, per essere giusti, era tutto invaso da un mio eterno appetito, le gior– nate come una sequela di minestre e pezzi di pane. patate, cavoli: non c'era la fame, ma tanta misura sopratutto nel condimento. E dappertutto mia madre. si sa: lei riempiva tutto il tempo di prima. case del Gannitzer, Rudi era a scuola con me, ros– so e patata in tutto, Con Rudi non riuscii mai a fare baruffa perché do– po dette le solite parole, scappava. coniglio era lui; nel paese in fondo non co– noscevo nessuno, ma cer– to rea gente come Placher o Rudi... Identificavo in– vece la frazione di San– t'Ilario: di Ià, in quinta, venivano le bambine Sot– tecr~pe; a Lisetta una volta diedi un bacio, cosi, senza saper po:!:rchè, era una bella ragazzina e vole– vo far bravata, c'era an- curo di sapere che in tutte quelle case c'era gen– te come i Placher, i Gan,. nitzer e gli altri; noi eh.? vivevamo alla Dogana cl chiamavano e i bastardi della forestiera>. Lei la rispettavano, forse la te– mevano, non so, ma mai e poi mai le avevano steso una mano solfdale: non eravamo dei loro. Allora ero un ragazzo incapace di valutar giu– sto, di misurare quella gente, "di capir sfumature ed altre cose: intuivo for– se e li odiavo, ora selvag- Ed è per questo che non voglio pensarlo (me lo so– gno a volte, anche troppo ed aHora succede che vado a sbronzarmi per dimenti– care quei sogni che mi restano in bocca, scollarli di là, affogarli). Pietra miliare 152 di una strada statale, una delJe tante. ma per me è il KM I della vita di Caino, tanta strada fatta senza nemmeno farci caso, fino a questo bunker d'erba. E non sai se ci sarà un dopo. ... Era capitato che i miei vivessero su quella strada della miliare 152, non si era di quei paesi li, ma fi. no ad allora non ci avevo pensato davvero. In quel– la sera deUa baruffa con Placher doveva essere giugno, non era tempo freddo. E venne scuro nelJa val– le sotto i miei piedi, qui era fonda, nei tré paesi che si vedevano si accen– devano via via dei lumi ed io li stavo a guardare. Pa– reva che prima non avessi mai guardato quella valJe Pablo Picasso: • Ma Yotle,. (XXX Esposizione intcmazio- e certo era cosi. Perchè na.le d'Arte di Venezia) giamente li odiavo e vole– vo andarmene via. In quarta avevo una maestrina forestiera gen– tile e romantica che faceva geografia e parlava e raccontava di paesi; ci spiegava dove erano. di là da quei monti neri ed alti che a lei facevano tanto freddo. Gli altri pa– tatoni stavano a sentire imbambolati per poter ri– petere quelle parole in fi– la senza sbagliarle ed io le dimenticavo ed impa– sticciavo. ma quei paesi con !e valli larghe, le pia– nure ed i fiumi vasti, con le barche, il sole sulle vi– gne con i grappoli d'uva. quei posti cosl raccontati riuscivo ad immaginar– meli e mi piaceva di pen– sarli come essendoci den– tro lo. Perché lel cl face– va vedere tante figure. ci faceva perfino arrivare delle cartoline con le fo– tografie di paési e città, ci portava, secche, in maz– zo, certe spighe di vero frumento, mica spunzacchi d'orzo con tre grani come venivano in quella valle alta. E disegnava con i gessetti frutti e grappoli con la fogl:a vicina. Si poteva capire cosi che in quei paesi là il vino non lo facessero con le polverine. che ci fosse davvero la sua pianta. Qualchevolta facevo del– le doinande a quelJa si– gnorina sempre freddalo-– sa ed avvilita (e penso che in vallata ricevessC' dispetti. sgarbi. adesso ne so il perché), era tutta fe– lice di rispondere. Allora i paesi delJe cartoline c'erano davvero'? Lei dis– se che form:.1vano e la Na– zione >, il Regno anzi e parlava del Re con mol– to rispetto cd ebbe anche una batosta con Rudi che si era messo a ridere su questo Re che importava a lei. Perchè quel Re era bruttino, lo avevano at– taccato sulla cattedra as– sieme a sua moglie Regi– na tutta cincischiata e ad altra gente dentro nei quadri. Sopra c'era ·ostro Signore. Fino alla seconda ci fa– cevano dire le preghiere. poi più. Fors'e era perchè eravamo andati in terra. adesso militarmente si do– veva far l'attenti, era me– glio. così si facev3 rumore a sbattere i piedi nei banchi. Con gli altri maestri combinavo delle canaglia– te, con questa signorina di quarta no, era cosi picco– la e rotonda, era anche belJina e giovane, ma non era per questo, non so. Certo da mia madre. d3 mio fratello maggiore. avevo succhiato che non si deve far torto ai più deboli (e questa era alta meno di :ne, ormai). Ma era poi bello starla a sen– tire, quei paesi ricchi e caldi come una gran fa. vola, vasta come quei fiu– mi che vanno nel mare: del mare poi ci aveva parlato tanto. doveva es– :sere una CO:Sil importante. i\fa qui sotto la miliare 152 adesso nsucchia\~a la ombra, la valle era un maligno che aveva per barche quei lumi degli al– tri. Sopra stavano stelle. va bene, ma non ci si può mica andare. Non guarda– vo le stelle, stavo là con– tro la masegna della milia– re a guardare quei lumi e mi venivano in testa cose che prima non mi erano mai venute, mai, prima. Ora c'era uno sconosciu– to seme come cuscuta che mi cresceva dentro. aggro– vigliava fili, pensieri co– me fili intorcolati e non riesci a districarli. Seme di cuscuta mi avevano messo dentro, prima era anch'io come un campo d'erba pulito e sano. ades– so so darci norme odio a quella cuscuta, allora mi ci sbattevo dentro, come uno che gli manca il fiato e resta H dietro la milia– re, floscio come una gom– ma bucata. Pensieri come {ili, pri– ma non nascevano, non mi prendevano così. Sapevo benissimo che mia madre non- mi aveva fatto con l'uomo di cui scri\,evano il cognome come mio, ma fino ad allora non avevo considerata questa faccen– da come una cosa molto importante; del resto nem– meno i miei due fratelli più piccoli portavano nome giusto, cioè quello del pa– drino che li aveva messi al mondo con mia madre. Io e Pino si diceva e il padrino>, era un buon uomo ed io poi lo avevo sempre chiamato paa come i due piccolini (e quando era morto, svevo pianto davvero, nndavo a na– scondermi per farlo, ma avevo pianto assai). La realtà è che ave\·o amato quest'uomo, come credo che lui mi amasse. O mi tollerasse, talora. r..Ia sempre con una sua gaiez– za stramba e viva: sareb- be stato onesto avere un padre come lui, un padre vero, si intende. Sapevo che non era lui, lo dissero a scuola. anche quel pasticcio del cognome lo denunciava: ma pareva una storia di poço conto, da risolvere con due caz– zotti ben centrati se qualcuno avesse \·oluto farci lo spiritoso. E basta. E adesso era seme di cuscuta dentro. Sapevo come si nasce. come fan– no e come a\·rei fatto io un giorno o l"altro. Era molto chiaro tutto questo, m3 ora mi sorpresi in– solitamente a pensare co– me pote\·a essere stata mia madre nel momento in cui mi aveva incomin– ciato e lo pensai rabbio– samente offendendola, of– fendendo mc stesso e sof– frendo come di qualcosa di prezioso che stai sbri– ciolando in mano, che vuoi sbriciolare e dopo non lo avrai pili. Nino Caffè: • Pandemonio n. 2 • (Coli. Cushman} 'on era mai successo prima. mai: prima lei era lei. fatta di carne. forse bella. ma come lontana nel corpo per quello che riguarda lei stessa. Era come se finora io a\·essi ignorato il suo aspetto di donna, di femmina. dic::>. A\R.TJf§Tll ]')['.A\Ll[ 8:~J[ * Ora. invece vede\·o lei come donna. come donna quella volta che mi fece– ro nascere, e !"offendevo e soffrivo di farlo. dav– vero era come cuscuta. aggrovigliata come fa questa gialla e schifosa. crbnccla e sotto tutto il campo della spagnn. ci muore. Un pittore chiamato Caff * di lt . . JI. DE A.\'GELIS Qui non :,i vedeva nes– suno, avrei potuto anche piangere, ma non veni– va. ero secco, rabbioso. non capitò mai piU di piangere dopo quella se– ra della mili.ire 152. Bastardo... dic-:>no: che cos'è poi? Uno mal fat– to? Kon ne avevo la mi– sura esatta in tutto. so– cialmente parlando: quel– la parola allora l'attac– cavo a zingaTo, forse per gli strilli della Placher. Zingaro, sissignore, va be– ne. zingaro! Ed io sarei andato per le strade, le strade ci vai sopra e non li dicono parole. mai più a casa. mai più. E cre– devo che fosse odio ver– , so di lei, naturatment.? era rimorso e vergogna per come l'avevo ferib, la ferivo offendendola, dentro di me. Zingaro. sissignore: die– tro la miliare era la stra– da. mi ci stesi su arrove– sciandomi. con le mani sulla ghiaia e adesso pos– so capire che era stato un gesto di amore infan– tile, un cercare fiducia in un surrogato di madre. Perchè in realtà c'ero cresciuto sulla strada; quando il padrino era vi– vo si stava al casello a mezzavia di qui, la Stra– da Statale ci dava da vi– vere e la consideravamo una cosa molto importan– te. e nostra>. Ora annaspavo con le mani sulln ghiaia e pen– savo alle altre lunghe. dritte. quelle che diceva la maestrina di quarta e \·anno dentro paesi con le vigne ne) sole, fiumi e strade fino al mare ... ma– gari mi imbarcherò, Ame– rica. Australia e diventar ricco. essere come un principe; allora nessuno ti direbbe b3stardo od al– tre parole carogne. Mi ad:iorrnentai arroto– lato alla miliare, non passava nessuno quella sera, una dormita cosi e svegliarsi a notte fonda, pieno di cattiveria in– quieta. GIOVA.N'NA ZAN'GRA..i~Dl Oh. i pretini di Nino Caffè! Si spaventano per nulla (o meglio. ogni fe– nomeno li spa\·enta) ma. con gli ombrelli trasfor· mali in mongolfiere. ne fanno di voli ... Addirittura nella stratosfera. Bisogna che qualcuno li fermi, altrimenti spariran– no tra le nubi. in mezzo ai raggi. gli amorini e i diavoletti che li tartassano con frecce dall'apparenza innocua come certe erbe ipocrite di palude. Sono curiosi. tuttavia, perché n35eonderlo, e non si contentano di spolverare le tarme dal paramenti e dalle mitric imbalsamate dai seeoli: sono capaci di snidare i tarli dal legno cariato dei santi in dis~o. come di fare -sberleffi al novizio (o al segretario del monsignore) sicuri della patema benevolenza del vesco\·o o del cardinale in vlsita per gli esercizi spi– rituali. Spesso sono da\·vero i diavoletti a mettere a soq– quadro gli armadi e i co– mò del Protettore. e ci gio-– cano. svol:izzando tra ca– micie che sembrano fan– tasmi-pipistrelli di un .r\)s– so infem3le. Che dicono le suore nel parco, con gesti da scam– pate al diludo? Dicono soltanto che è spuntata la luna. una luna rosa. di un leggiadrissimo color di confetto con la sorpresa dentro; in ogni caso non di certo un malefizio. piut– tosto una magia fantasio– sa. (Chissà, con questa lu– na legata a un Cilo, le suo– re fingeranno di giocare all'aquilone ...). Invece la luna rosa illumina la ri– schiosa passeggiata della suora sonnambula: è il ca– ne che l"ha scoperta e la denunzia alle suore accor– se con la candela m mano, per salvare ìa derelitt:l dal capitombolo. Pretini rossi. diavoletti rossi, luna rosa. cielo ros– so... che sarà mai? Niente, rassicuriamoci: l'apocalis– se non accadrà, ,, accadrà nel quadro grande, in piaz.. za San Pietro, con un au– tentico movimento di bal– letto. Non invano Sakaroff dice che la pittura ha ru– bato al teatro il più gran• Informazioni librarie BOMPIANI e !A MAFIA OGGI• dl Frcderlc Sondem Jr.; Colla– tana • Cose d'Oggi•· Un'inchiesta narrativa di vivissimo interesse po– litico, sociale e umano. Documentato come la più ri– gorosa inchiesta, il libro è tutto da leggere, come un giallo. Una galleria di capi mafiosi delle grandi città an;iericane. IL SAGGIATORE • OMAGGIO A HUSSERL,. (a cura di Enzo Pacl); pagg. 328; L 2.000. Saggi di Banfi, Filippini, Guzzon.i, Lugarini, Me– laodri, Neri, Paci, Pedroni, Pucci, Semerari, Van– ni-Rovighi, dedicati, nel centenario della nascita, al maestro della fenomenologia NISTRI · LISCHI • ASPETTI DELLA POESIA ITALIANA CO/1.'TEMPO– RANEA • cU Aldo Vallonei pagg. 250; L 1.200. Questi saggi propongono la ricerca della struttura della poesia italiana contemporanea (cli cui Carducci rappresenta una zona-limite estrema, Pascoli e D'An– nunzio una intermedia} sotto luce nuova e con nuo\'e prospettive. VALLECCHI • LE NOTTI DEL CINEMA• di Paolella; pagg. 445; L 1.600. In questo libro è coraggiosamente narrata la e dol– ce vita > del cinema italiano. de coreografo del secolo. Forse di questo avveni– mento pros5imo e reale parla il segretario Kafkia– no. in cilindio e calvizie. ai cardinali e morti dal sonno>, (per dirla con Tri– lussa) nella sala delle Udienze: i cardinali dor– mono, e dorme anche quel– lo effigiato nel medaglione del ritratto che li sorve– glia dall'alto. Il cardinale del ritratto. morto da tem– po, s'intende. ma con un occhio solo che filtra uno sguardo d'oltretomba. Chi crede di intimorire l'uomo in cilindro? Se ne accorgerà, il po-– \·eruomo, che significa par– lare di castighi e di mor– te ai cardinali che dormo– no per sovrano disprezzo delle cose di questo mon– do - sermoni o profezie. che importa?, sono essi gli unti del Signore e leggono tra le righe dei \"angeli promesse di grazia che i cit!li nvu ba.stano a conte– nere ... L'uragano imperversa. Eb'bene, l'ombrelJo si tra– sforma in mongoUiera - e le mon.iche sono as– c;unte in cielo. come in una donchisciottesca pan– tomima. Altalena magica. pande– monio. apocalisse. boschet– to incantato (o stregato?) i titoli stess.i denunziano la tematica del pittore che. con la scusa di rievocare un'infanzia perenne e C'U· rialesca, di comunioni. ne– vicate, passeggiate. passa– tempi, burle, .beffe e con– viti, tenta una sua polemi– chetta sbarazzina di cui... l'Osservatore Rom11no non anà certo occasione di oc– cuparsi. In fondo, anche questi capricci - estrosi e con– turbanti - sono testimo– nianze di fede. II pittore. com'è noto. è stato scoperto per puro ca– so da Gaspare del Corso. oseremmo dire per e deli– catezza>. Non potendosi rifiutare alle insistenze del mecena– te di Nino Caffè - allo– ra squallido e incolto pit– tore di provincia - il di– rettore di banc3 Papuli, del Corso andò a vedere i quadri - una quarantina - in una specie di salone adattato a galleria. In mez– zo a cose scialbe, ottuse. tecnicamente perfette e quindi più repulsive, il no– stro rabdomante scopri due quadri di pretini. E propose all'Autore di far– gli una mostra all'Obelisco. a patto che il pittore glie– ne dipingesse una ventina - tutti di quel soggetto. Nino Caffè allibì. ma la promessa di una prefazio– ne di Aldo Palazzeschi fe– ce miracoli: ancora di quei miracoli, Nino Caffé vive - e possiamo ben dire che al miracolo crede più lui che i suoi critici. La mo– stra attuale non si discù– sta dalla prima ormai (a. mosa, ma si avvale di un ritmo più risentito, di una ricerca psicologica che si allea a uno spericolato sfiorare l'~resia: insomma il pittore qui vuole dan– narsi l'anima e prelude davvero a una sua Perso– nale aµocalisse. essere stati arrostiti e di– \·or..lti. Un clima di cultu– ra antica. anch.?, circola tra alberi monti animali e creature, e i pastori si tra- 5(ormano in guerrieri, gli animali in mostri, le ca– scate delle acque in arco– baleni inverosimili. In fon– do. Kino Caffé è rimasto sempre un ragazzo discolo. un ?O' cinico. alquanto col– to, e posa a castigamatti, senza farsi !roppi scrupoli: a \.·olle passa il segno. e s~ ne compiace, non senza quella candida spavalderia dei romantici che ostenta– no di non credere né a Dio né al diavolo, scherzano col curato. ma gli affida– no ranima (e 11 testamen– to} in punto di morte. Ita– liano alJ'3ntica. per tutto dire, il nostro pittore, per– sino se prende in giro qualche carabiniere sper– duto tra montagne e bo– schi a caccia di ninfe vil– laresche più che di trucu– lenti banditi. E i banditi? Perchè li trascura? Potrebbe tra\·e– slirli con sai di penitenti, e. sotto la tonaca. trom– boni e coltellacci da far arrotare i denti. .. Scherziamo anche noi. lla siamo proprio sicuri che Kino CaHe scherzi? Spesso ne dubitiamo. Ke dubitano anche i prota– gonisti dei suoi quadri, che lo spiano, mentre il pitto– re li ritrae, dispostissimi a denunziarlo agli Uffizi della Santa Inquisizione. Poichè Nino Caffé ri– schia di• essere condanna– to al rogo. E non quale ere– tico. II pericolo òi una tale ~ltturo è ehc dh·•nti trop– po colta e non suggerirem– mo pertanto che sia stata mai ingenua. Sia ben chiaro che Caf– fé non è mai passato per un pittore naif: le tonache dei suoi pretini erano sem– pre di stoffa antica. an– che se tessute a mano su robusti telai paesani - e i drappi. i paramenti, le mitrie. di velluti; broccati, tempestati di pietre prezio-– se grosse come nocciole. liente bric-a-brac: al contrario. una tradizione illustre, vescova:ii famosi, luoghi santificati, e alme– no climi mistici. autenti– ci, da tra ... ·asare in barac– che e sontuc,se agiografie. Lui stesso, il pittore, si è provato a dipingere cor– tei di santi e angeli: solo che si è lasciato e confon– dere>. tentare. e et ha mes– so qualche malizioso diavo– letto, mescolato come fior di papavero in mezzo al grano. Forse avremmo dovuto premettere che, nato in Abruzzo, Catfé è quasi sempre vissuto tra Pesaro e Urbino, tra conventi, ca– noniche e arcivescovadi - cioè a dire. in un mondo dal clima surreale, meta– fisico. in cui i miracoli so– no episodi davvero quoti– diani - degli uccelli che ascoltano un santo, degli agnelli che rivivono, dopo :\la se una ronjine non (a primavera, nemmeno qualche dia\·oletto fa l'in– ferno; e Nino Caffé si sal– \"erà, sis. pure sacclleggian– do i grandi maestri spar. si nel musei del mondo. pur di non darla vinta aì critici di provincia che vorrebbero confinarlo nel– l'orto chiuso delle candi– de imposture e delle effi– mere apparizioni: i preti– ni. le suore, i carabinieri ecc. ecc. un giorno avran– no veramente le a1i e si accamperanno in un cielo infuocato come in una stu– penda allegoria. R. M. DE ANGELIS EDITRICE bene attrezzata, trentennale esperienza, esa– mina manoscritti, poesie, no\•elle, romanzi, saggi va– ri, pubblicando e lanciando le opere meritevoli, a con– dh.ionl di particolare fa– vore, Scrivere: L'APPRODO DEL SUD, Lungo Teatro NuoYO, 29, Napolt \I
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