la Fiera Letteraria - XIII - n. 47 - 23 novembre 1958

Domenica 23 novembre 1958 LA FIERA LETTERARIA IMITAZIONI DA NIANUEL ~fAClIADO di * GIQlf.GIO Può ben capitare, al recensore stanco, d'inventar– si una buona volta it poela. cli'eg!ì. vorrebbe recensi– re, ma che non esiste, no. Ed è cosi, forse, che ci sia– mo "inventati", anche per toglierci di dosso l'uggia novembrina (piove da Ire giorni tcpidamcnte: sci· roccosamente e "ìntimisticam.ente'', tanto che ci sia– mo messi a far le fusa appannando i vetri della fine– s~ra) Questo nostro Manuel Machado, per puro caso ricuperato dal dimenticatoio dove, cliissà quanto tem– po fa, t'avevamo messo. Sarà proprio Manuel, e proprio Machado? Ahimé che in questo momento non. ritroviamo, per colpa dei muratori. che hanno messo sossopra la stan– za, it prezioso originale dat quale avevamo tollo i nostri impavidi « esercì.zi di traduzione,. (e ci vuole un bel fegato, dal momento che lo spagnolo lo cono– sciamo soltanto di vista, e col cannocchiale del voca– bolario), con. correzioni e variazioni di pugno dello stesso Autore, il quale affettuosame111e, e sempre di proprio pugno, aveva dedicato la copia pervenuta a noi da una bancarella all'amico, I/ poe1a, Chabt'is. Mistero di certi trapassi, intorno ai quali, ora, è inutile tentare il romanzo. Ci contentiamo di dire, da minutanti deUa lette– ratura e della fantasia quali siamo, che it « ritrova– mento,., per noi, mai sarebbe potuto avvenire più a fagiolo (o più. a pepe) come in queste uggiose e ron– fanti giornate, nelle qua!l abbiamo visto la nostra umida slan.za . (tanto umida da far gonfiare le siga– rette se non d sbrighiamo a fumarle i,i 1m'ora) il· ruminarsi del sale (proto, scriviamo sale e non sole, anche se sarebbe giusto egualmente) di Spagna, e degli occhi neri, e sivigliani, di Amparo, Ana, Rosa– rio, Concha, Carmela, Pura, Remedios, Pastora, belle ragazzone per fortuna invisibili (ma cosi vive e dolci, e così delicate e forti di reni) nelt'attimo in cui stia– mo scrivendo, o rileggendo, i loro sPmplici nom~i. Manuel Machado, giri:. Da undici anni è morto, quasi da dodici ormai . (mori net gennaio del '47, setta,1:latreenne), e chi fra i giovani, che non sia specializzato. continua. oggi, in cosa nostra, a ricordarlo e ad usarlo, ossia a leggerlo e quindi ad amarlo' Disgrazia, nella fortuna, d'aver ovulo un fra1ello "maggiore", cosi come parallelamente è accadulo, forse, al noslro Angiolo Silvio Novara. In verità. Manuel aveva un anno più di Antonio, e quindi il maggiore, anagraficamente, era lui. Ma a farlo "minore" in poesia, mìnqre per modo di dire, quanto può esserlo tino dei com.ponenti la « gr011de generazione det '98 •, sta. proprio it suo maggior at– tacca mento alla vita e alla terra (e che vita, e che terra), il quale appunto gli impedi, non sembri -un. paradosso, di amarla fino a fariO. .scomparire dalla superficie delle sue parole, per farla invece entrare nel loro sangue, e quindi, come quando leggiamo An– tonio, nel nostro stesso sangue, vit4 a tutti Jlertinente, e non soltanto a lui, egoistone. Bibliotecario, giornalista, saggista e, in collabora– zione col fratello, auti,re di varie opere !eatrali, lo I GIOR I SENZA SOLE Il lupo Llianco dell'inverno, il lupo bianco viene, con i feroci occhi iniettali dì sangue gelato, fissi e crudeli. Maledetto lupo inverno che ti porti i vecchi ~ i deboli! Riuniamoci. e che tutti abbiano una famiglia. un libro e fuoco allegro 1 E mentre, fuori, l'ascia il tronco secco fende, che sarà roseo nel comino, chiudiamo la porta e la finestra ... Dio non ci ama! Tregua! Siamo ~miei... Un tepore di pace fra noi regni tutt'intorno alla lampada che spande la tranquille poesia del presente. E tu, mio amore, le cui labbra rosse sono ormai il solo flore, amami... dammele! Chi! il lupo bianco delrinverno, Il lupo bianco viene 1 DICE LA CHITARRA Parlo, singhiozzo, deliro, e so del riso e del pianto. Con le bocche rosse, canto. Con gli occhi neri, miro. Con gli innamorati. sospiro, e rido coi buontemponi. Le note son goccioloni di cui il roselo si bagna ... E tutto il sele di Spagna è vivo nei miei lacrimonl. U A CANTAU A C NZONE Finche non le canta il popolo le strofe non sono strofe. e quando le canta il popolo nessuno sa più rautore. Questa è la -gloria, Guillén, di chi compone canzoni: sentir dire la gente che non le ha scritte nessuno. Fa' in modo che le tue strof, finiscano tra il popolo, e cessino d'esser tue per essere degli altri. Ché a fondere il proprio cuore con renime popolare, ciò che si perde del nome s'acquista ct·etcrnità. LA PIOGGIA e JI pleure dans mon coeur commc Il plcut da!U la ville , cver1a1nc) Ebbi une volta amori. Oggi è di di ricordi. Ebbi una volta amori. Ebbi sole e allegria. Un dì, ormai lontano ..., ebbi sole e allegria. Di tutto, che mi è rimasto? CAl'llO.\"I Giorgio Caproni amore per la poesia - si dice - gli scese diretla– menle nelle vene dal padre, studioso au!orevole di saber popular e appassionalo raccoglitore di·canti an– dalusiani; e invero tm fondo risentitamente popofore resta nelle poesie di Manuel, molti dei cui cantares e delle cui coplas sono entrati ormai a far parte della viva voce det popolo, che li ritiene d'anonimo autore, nonostanle l'amore forle per i parnassiani e i deca– denti (e per Carducci e D'Annunzio), e, in primo luo– go, per Verlaine. .: Mezzo gitano e mezzo parigino,. è la deji.nrzione che Manuel cj lasciò di se stesso. Ma se dei parigino gli rimase sempre l'amore per la polita fattura del verso, forse il gitano predomina anche nell'intraduci– bile accen ro del linguaggio nonchè nell'acerrima I ri– stezza riscontrgbile in ogni sua composizione, com– prese le pill "allegre", da Alma (1900) a Cante hondo (1912), da Sevilla (1920) ad Ars moriendi e a. Dedica– torias (1922), tanto per citar qualcuna delle sue nu– merose raccolte. Ma di tutto questo, ora, che importa? Siamo o non siamo, anche noi, popolo? E allora (è it più. gradito omaggio che gti possia– mo fare) dimenfichiamo Manuel Machado e ttttte le poche cose che siamo in grado di dire su di lui col nostro semplice Diploma di recensori, e contentiamo– ci anche noi di ascoltare, stonate come rie5ce a resti– tuirle la. nostra voce, a. e cantare,. anonimamerrte it gruppetto di versi che, per un puro caso. abbiamo ritrovato nella nostra stanza a soqquadro. GIORGIO CAPRONI Di colei che mi amave. di tutto. che mi è rimasto? L'aroma del suo nome, il ricordo degli occhi, e l'aroma del nome. LA PENA La mia pena è essai brutta perché è una pena che giQmmai vorrei mi fosse tolta. Venne come vengono senza saper di dove !e v~~i~e ai8ib:S~~i, i !iori al maggi? Venne ed è rimasta nel cuore mio come l'Qmaro nelle buccia verde del limone verde. Come le radici del rampicante s·alimentQ la pena nel mio pelto col sangue delle mie vene. Io non so di dove né per dove, no, mi s'è legata questa corda al corpo, io non so come, no. ALLEGREZZE Ad ogni primavera nasce a Siviglia una canzone nuova di seguidillas. Garofani nuovi e bimbe che a maggio si fanno donne. • Sivigliana >è la strofe, di grazia morbida. dove ballano e scherzano le parole stesse. Vespa dorate che sa di morire se per caso punge. ~ « Sivigliano • è il ballo che trame in terra arabeschi d'amori, reti al piac-;?re. Mentre le braccia disegnano in aria le disillusioni. Sivigliane ... Amparo, e Ana e Adela. Sivigliano, Rosario, Concha e Carmela, Pure, Remcdios, Pastora ... E tutte con gli occhi neri. •Sivigliane>. scongiuro che fa allegra l'anima. Balla, donne e strofa son sivigliane. Ed ormai si sa che Siviglia è piena di sole e di sale. Ad ogni primavera esce hl Siviglia una canzone nuova di seguidillas. MANUEL ì\lACRADO ( Versioni di Giorgio Caproni) B * LETTERA IN ONORE diMiche! Eyquem DeMontaigne * <li C1IHLO BE1'0CCIII Pag. 3 S.CRIPTA MANENT MA. MA. - Napoli - Lei indubbiamente seri.ve ben.e, in. modo certo sup eriore alla me– dia dei miei corrispo ndenti; ma i suoi racconti lascia.no un'imJ)ressiont di !qu allOre, e non. 5oltanto a causa. dell'ar– gomento: paiono smorti, lin– fatici, come chi è cresciuto male, tra gli stenti. E, tor– nando agli argomenti di essi, non le pare davvero un po' esagerato nelle tinte cupe? Una vecchia mendicante che muore per avere mangiato con troppa avidità due gelati. offertigli da due monelli in. vena di. burle; uno squilibra– to che dopo avere inutiLmen- ~~n~~r:~~o m~aTe ;::::è ;f;:~ re che le onde lo chiamino con la voce della scomparsa. Via, mi pare un. po' troppo ... Vorrei esortarla a scoprire anche l'altra faccia della Lu– na, quella che dal nostro pun.– lo di vista di terrestri non si vede, ma che esiste e sarà vi– sibile quando la scienza ne permetterà l'esplorazione.

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