la Fiera Letteraria - XIII - n. 24 - 15 giugno 1958

Domenica 15 gìugno 1958. L'A' FIER'A' LETTERARI'A' Pag. 3 Due poesie di Adriano Grande Jlagion felice Amo le cose inerti quanto amo le anime; se il giorno che in sé mi Porta fosse proprio mio, nel guardarle, scomporle, ricomporle trascorrerebbe intiero. Hanno un segreto le cose, tutte quante ed ognuna: da quando ho aperto gli occhi a scoprirlo m'affanno. Può dischiudersi tra l'una e l'altra - fonda, interminabile quanto l'onda di musica dagli astri suscitata mentre vanno pe'i golfi dell'azzurra immensità - la strada del mistero che conduce alla ragion felice accennata e smentìta con l'eterno mutare dei colori nella luce. le favole dei bimbi, le silÌabe e i colori. maggio 1958 Pittura delladomenica Le mie stanze irreali, i miei paesi in piena luce, i fiori senza profumo, i pochi amati volti copiati male, son fermi per sempre e taciturni. Ma allorquando torno 'a contemplarli, il peso della fatica cade dalla mente e dai nervi, come dagli occhi d~l miracolato l'opaca scaglia; le ore stonate si cancellan dal ricordo e, mentre guardo, sto a lungo in ascolto. Nei di di festa e a sera E' una felicità senz'ombre. Quest,.. cercano inabilmente i miei pennelli. Lmpegna conoscerlo anzitempo -, è qualche volta un male che gli duole · i coloriti aspetti scelti o inventati, nel quadro disposti non so perchè, seguendo non so quale legge di vita, all'uomo anziano parlano in confidenza, piano, un'uguale pazienza, nella buia stagione, H bimbo fantasioso, chiuso nella sua stanza. Immobile nel cor,po vola e rivola con l'inquieto spirito alle favole. In esse ricompone nella mente e nel cuore e da cui fugge. Ruggisce attorno, strepita .sgradevole la moderna città che d'ogni pace sicuro l'uomo spoglia. E le campagne, i boschi e le marine d'incanti e di .stupori: d'una semplice, perduta verità. Voce dei sogni antichi e sempre nuovi, inascoltata nell'operoso giorno, soffocata un mondo dì vivaci van perdendo i silenzi tinteggiature, una rea-ltà di forme Più armoniche. Il suo vivere, che cresce consolatori. Restano, a èhi voglia rintracciare la musica nascosta dalla necessità. e lo trascina - dove ' egli non sa, ma vuole dentro e dietro le cose o volteggiante lungo i golfi celesti, gennaio 1956 ADRIANO GRAKDE Adriano Grande: Primavera nelle Murge (la mostra del poeta Adriano Grande Il terrà dal 21 rlurno al 1. luglio, alla GaJeria Russo di Roma) * STORIA SEGRETA DELLE ·'FAJ;ILLE DEL 1IIAGLIO,. ìf Unmaestro amabile e civil 5 Che cosa fu la guerra, e prima e dopo, per D'Annun 'Z.io , è noto a tutti C°:5ì pure quanto lo te nne i mpegnato e lo coinvolse. Ma come H «comandante)> si tirò sempre dietro fedelmente. da un campo all'altro. i grossi volumi del dizionario del Tom ma– seo, quasi irossero !I.In talismano, oltre c.he ~~frlr;;:~gf!i a1 :re!~Ct~~fe : 0 ~nl; /::' ~~~ di men che breve periodo al suo più• vo– oato lavoro di tavolino. E basta un'oc– chiata all'indice degli scritti da lui com– piuti in quegli anni. pur ment"!'E:conti– nuava a roteare nell'agone poht1co na– zionale e internazionale, per ri.accertare. quanto insopprimibile ed inesauribile fosse la sua necessità, quasi fisica, di espressione. di creazione. Ma quando, alla fine delLa grande av– ventura in cui avrebbe voluto incontrare la « bella morte l) (e fece di tutto per meritarsela), si a:itrovò tr,a i suoi «citati• e le sue cal'lte, nell'eremo di Oargnacco, a poter riaprire e rileggere il libro della memoria, gli venne naturale (a parte. le necessità di guadagno che ve lo .costrin– sero) riprendere la serie delle Faville e da't"l-e quella valida continuazione ch'è giU'Sto ammirare nel venturiero senza ventura, nel Secondo amarne di Lucrezia Butì, nel Compagno dagli occhi. senza cigli, nonché in molte delle cento e cento pagine del Libro segreto; oggi riordinata e raccolta nel secondo tomo delle Prose di Ticerca, di I.atta, ecc. (Mondadori, Mi– lano, 1950). Anzi, a riguardo di questo corpur di « biog,rafla modulata ,. è da sot– toscrivere l'osservazione del Borghese, se– condo Qa quale (riprendendo e ampliando un'acuta illuminazione critica anticipata dal Serra quindici anni prima (nelle Lettere): ' « anohe la Contemplazione detta Morte, anche la Leda . e lo stesso Notturno, benché pubblicati sotto altra rubrica, sono quasi ugualmente Fa- ' ville >1. (Cfr. Corriere detla sera, 20 giu– gno 1928.) E Favirle vieppiù frammenta– rie son anche quelle di cui si compone il Libro segreto. Da allorn nei citati carteggi si torna a parlare e .a discutere delle Favitle. Ma in fase conclusiva. Non più promesse ma consegn·e. I progetti sono stati via via realizzati. Si tratta adesso di tradurli in pagine, in capitoli di libro. Il primo nuo- Gabriele d'Annunzio nel . gi_ardino ~~I Vittoriale, quando il suo .P:1~c!pesco estho era appena aglt m1z1 vo riferimento concreto e v.alido alle Fa– viHe, dopo il travolgente interv~o del!a guer.ra e dell'impresa fiumana, s1 ha in una ,l ettera del 17 febbraio 1923 lndiriz– xata a Guido Treves. e Sto preparando le Fa.ville. Anche per esse da <Vostra pa~ra di tenere in sofferenza_ qual~he ch1lo– grammo di caTat..tere, :1tar<:1era la pub: blicaz.ion e. - La mia tJ.POgrafia b~ nace.n.se, per fortuna, sarà pron~a tn aprile. I naugurerò io. la nuova s~rie ~e– gli scioperi cosi graz1osa!11ente d~~?ers1. i, Ma non sempre i buom proposh1 pote– vano essere attuati. E soltanto 1_122 aprile 1924. ecco La buona Anto01et~a. moglie di Guido Treves, altr?ve chia– mata con affettuosa galanteria anche Nietta, Suor Dolcina, Dolciorell~, Comare e Comarella, eccola recare :i M1la~o « un saggio delle Faville per la pro~a tipogra– fica che ti raccomando. Non bisogna 1;>er dere ormai neppure un 'ora. Tu lo ~a.J )ll Ho scritto un intero libro volendo scrivere un frammento ho mai scritto nulla di più i1,tenso e di più misterioso. fnoltre questa collega la pre!Szione e il secondo tomo. Vedrai con quali ingegni. E, infine, porla il volume alle 300 pagine, non compreso Tra l'in– ciidine e H magtio.,. (16 maggio 1924.) e Sono. nel medesimo tempo, beato e disperato. M'è impossibile di arrestare la vena.) (4 giugno 1924.) e Purtroppo, per comandamento inoppugnabile d7l mio intimo ritmo, scrivo un altro cent1· naio d1 cartelle finali.,. (9 giugno 1924.) .. Non ho ancor finito. Il disegno del– l'opera è tanto profondamente inciso che non posso diflormarlo neppur di una linea. Credo anch'io che ho capolavorato; ma in questa profonda arte è difficilis– simo penetrare ... (13 giugno 1924.) "'Io stesso sono impaziente di finire perchè umanamente e anche sovrumanamente è impossibile prolungare questa tensione mentale. Comincio a lavorare verso le die('j del mattino, termino alle dieci di sera; mi sollazzo due ore; riprendo il la– voro a mezzanotte e termino alle cin· que, nel coro degli augelli. Ho bisogno di tre o quattro giorni di tregua; ma il collaudo della macchina è maraviglio– sissimo ... Hò· scritto on 1 1ibro volendo scrivere un framtnt!nto! .. ( 16 giugno 1924.) e Non ebbi. mai una tal tensione mentale, neppure nelle epoche più vigo– rose! Mi spezzerò. - Credo che stanotte finirò..... (20 giugno 1924.) e Non posso più scrivere. Mi sento male. E' l'alba ... Questa coda è durissima allo scortica· mento. - Ho scritto un libro intiero. Se non ci fosse questa fretta, avremmo separato l' Amante dalle Faville e stam– pato un compiuto volume. Ha circa due– cento cartelle più delle Vergini delle Rocce. - Muoio.n (23 giugno 1924.) e Spiego a Gian da Brera [Giovanni Bel– trami, anche presidente dell'Accade!Jlia di Brera] la tragedia del uucabulan; e mando le cartelle finali, sanguinanti di sacrifizio.,. (11 luglio 1924.) di Gl!GLIELillO PETRONI Più di un anno fa, dopo assai più che venti anni, ebbi occ;isione di incontrare nuovamente Matteo Marangoni; non sen– za una certa commozione mi recai da lui con Antonio Russi: ricordavo cosl bene Marangoni e, quella visita. aveva per me un significato particolare che celai quan. to possibile. Fui stupito, mi sembrò ta:le e quale ai tempi d_eUa mia giovinezza: certo non era più l'uomo che scorazzava come un giovinastro di buon car.attere. girando per la Toscana a cavallo di una potente e rumorosissima motocicletta; ma .ancora in\ero in tutti i tratti, vivissimo. magro e d.,iritto, imponente per la sta– tura e la chiara serenità del volto bel. lisshno; la sua conversazione era ancora quella, se pur ormai distaccata e labile come quella dei pochi fortunati che han. no percorso una vita intera nella propria perfezione, amando ciò che facevano, di– sinteressati e distaccati, distaccati !orse un po' an~hc dalle stesse cose che furot~o la ra.gione della loro esistenza. buoni uomini di cultura, ci accorgiamo di enumerare molti dei migliori tra coloro che in seguito dimostrarono coraggio e consapevolezza civile. Voglìamo farne alcuni di qu~sti nomi: Ragghianti. Carli, Binni, Dessi, Varese, Cordiè. Capitini, Cantlmori e potremmo continuare. * di ENRICO FALQlll Quando si alzò dalla poltrona per un momento mi par\'e che il tempo non fos– se passato; la sua figura amabile che spi– rava un sentimento di antica e scomparsa civiltà, pur presente ed accessibile qua':1- to mai, la chiarezza del suo linguaggio asciutto e breve erano pur quelle di al– lora, quelle dell'uomo che sapeva indurre a civiltà e eonoscenz.a con estrema natu– ralezza, senza che si dovesse sentire, nemmen lontanamente, la necessità di d0- vergli qualche cosa. Il 20 era morta Eleonora Duse. « M'au– guro che il lavoro indefesso mi consoli di questa troppo dura sciagura.>> E nell,3 1·eslstenza al lavoro, so!'retta dall'ispirazione, non era secondo a nes– suno. Ma sembre il bisogno lo costrin– geva a passare alle stampe scritti quasi non ,ancor finiti di comporre e di asciu– gare, e si può dird che la composizione di alcune sue opere, da ultimo, si tro,vò molto spesso a procedere di pari passo con la loro stampa. Sicché altrettanto di frequente le mìsure progettate non com– bin,a-vano con queLle effettuate e ciò pro– vocava discussione tra l'autore e l'edi– tore. All'auton:: dettava la musa, ed era essa a guidargli La mano. senza preoccu– pazione di sorta che non fosse legata al– l'armonia e all'equilibrio, alla misura .ar– tistica del componimento. Ma con l'edi– tore le cose andavano d4ver.samente e c'era sempre da battagliare. Nelle Faville, data la varietà della ma– teri.a e la complessità deUa composizione, il tomo primitivo messo in programma venne, pezzo per pezzo, prosa per prosa, aumentando fino a raddoppiarsi e a tri– plioarsi. E ciò non itirovò !'editore subito consenzi'Emte, anz.i lo indispose fino al punto da Nlrglì propone dei tagli. Tagli eh.? l'autore si rifiutò tra ango– sciato e scherzoso. tra sdegnato e implo– rante. dì apportare, adducenòo ragioni sulla cui validità non c'era nulla da op– porre. Ogni resistenza dell'editore risul– tava assurda ed inutile. D'Annunzio aveva buon giuoco nel sostenere e nel· l'imporre le proprie esigenze artistiche: e, un po' grafomane come dovette essere (dato l'ingordo abbandono di cui sempre si compiacque nello ,Scriver lettere su ~ettere), comlnciò a tempestare il suo caro Guido con numerose epistole, alcune del– le quali piuttosto lunghe, ma tutte im– prontate ad una vivacità cosi scattosa e travolgente che. anche nel rileggerle oggi, a trent'anni di distanza e pur con animo non disposto ad alcuna condiscendenza verso l'innegabile esibizionismo di quel viver-e inimitabile, sembra di assistere alla singolar tenzone tra lo stampatore e il poeta. DeHe trentadue lettere trascelte nel va– sto carteggio coi Tre1.;es e riportate nella Nuova Antologia del 16 mano 1938, quelle ohe a noi qui più interessano sono 1e ,ultime sedici, rriguardanti il periodo dal 22 aprile a1 23 Juglio 1924, immediata– mente precedente la stampa del primo tomo delle Favtue, che .fu messo in ven– dita il primo agosto. Sono ricchissime di notizie e di giudizi. Biografia e critica, orgoglio e trepidazio– ne, calcolo e spontaneità scherzo e se– verità si mescol ano intimamente e solle– vano fino a-l.la confessione più gelosa ila loro imPo rt.a.nza documentaria. . Ridurre? Tagliare? « A tanti tormenti si ag.giunge anche questo delle pagine da 5opprimere! - Non è possibile. Se io, pubblicando le FaviUe e le altre prose fasciassi alcuna da parle, provocherei la piT-ateria che Ja 1·accolta intiera delude ,per sempre. Tu capisci, e per ciò mi ri– spannio hi dimosbrazione. Inoltre il vo– ~ume è ormai da me composto, nel senso architettonico della .parola. Bisogna pub– blicar butto. Il fondo s'.aggrava con il centinaio di cartelle, perfettamente ·polite con J')Offiicedella ipiù sottile, che ti man– do: la fine del vangelo T>, stampata poi col titolo Tre parabole del bellissimo Ne– mico (PrOse, II, 60-124). « Tu e Gianni [Giovanni Beltrami, condirettore di Cas~ 'Ilreves) dovete ringraziare il cielo, ~e m1 contento di d:orniT'Vi il disegno dì un Hbro, già da anni annunziato (H Quinto evan– geLo) e ml astengo da·llo scrivere il libro!•· E se così l'opera supera le seicento pa· gine, pu·r di non rovinarla è consigliabile dividerla in tre tomi: « il primo fino a Gesù deposto (circa 320 pa,gine) - In qu'esto potrei ine'ludere la F'avma. d'amor fasdvo •· Inutile sperare ch'egli sì fasci persua· dere a qu-akhe raccorciamento. « Bi5ogna che, per telefono o per telegrafo, tu e Gianni decidiate per il volume unico o per i due (seguito dal terzo), tenendo con– to ohe sono deliberato a non sopprimere niente e a sopportare l'onta de.I vucab-ulàri de set.t centt pàggini. Si domanda, del ,resto, nel.Je tr-attorle letterarie una buona porzione del Comandante, con contorno di <patate senz,a sintassi. Attendo la sen– ten?)a. » E ad ogni buon fine aggiungeva i 11toli dei tre primi tomi. ognuno dei quali avrebbe dovuto Tecare il nome delle tre Giiazie, mentre ai tre tomi successivi sarebbe stato jmposto quello delle Par– che. « Tutta J'opera diventa una specie di confessione di San Gabriele.)> Aveva un suo particolarissimo modo d'Incitare, Jusingando e deprimendo, at– traendo e scostando nello stesso tempo la pe~ona cui si rivolgeva: persona che. essendo nella fattispecie il suo editore in persona. biSO,rrnava saper conquistare e soggiogare, lasciandole ~·illusione d·esser libera e padrona. e dunque tanto più me– -ritoria per la sua presunta azione, che ln realtà era obbligata e senza 5Cappatoia. Non mi siupl la modesta stanza pie• colo borghese nella quale vivev.a. a pen• sione da una famiglia pisana che ormai era divenuta la sua; v'era l'atmosfera di un buon ritiro, soprattutto v'era linda po• vertà d'ogni cosa, perfino di libri. era la dimora anonima dell'uomo che ha co– struito un.a. vita in se stesso e non sente la necessità di portare attorno a sè nulla del suo passato, alcuna struttura che ri. veli esteriormente il suo essere e la sua storia: solo un.a civilissima modesta casa come se ne trovano ancora nella Toscana più autentica c incorrotta. Era notte quando uscimmo di casa. un amico lo aspettava fuori, un'altra cono– scenza dei tempi giovaniU, Concetto Mar– chesi. Erano profondamente diversi di aspetto, di temperamento; erano due maestri dai quali avevamo attinto un po– co di conoscenza: Marangoni rimaneva spirito gentile, elegante, sereno; Marche– si, alle soglie della morte (mori poche settimane dopo) spirito tormentato. in una sola frase allucinata e oscurissima ci fece intendere come ormai fosse fuori del mondo, immemore. Salutandoci 1\1,a. rangoni ci fece capire con un gesto e con una breve parola che l'amico ormai inseguiva grandi ombre, angosciosamente. «. Che la mia prosa tanto ti piaccia io sono felicissimo. Bisogna, iper gustarla, essere buon conoscidore come tu :sei. - Il travaglio di sapienza è a'l.,denfrssimo; e il 1lavoro di perfe.zio1ie. che faccio 1a mattina, mi inebria.• (23 maggio 1924.) E accanitamente continuava il lavoro (ccirca 18 (9+9) ore al g'iòrno•), senza preoccuparsi della lunghezza. ga;:nr:c~e~~ f~:r,:re~eh~otf:,ci~~o~:g~~ ruscello del Casentino. E ho commemo– rato istintivamente la Grande Morta con pagine di ricordi, che (forse) non mor– ranno. - Questa prosa è essenziale. Non Il 14 la consegna del manoscritto è ul– timata. e Non hai più nulla da preten– dere. Ho dato tutto. Acqua alle funi! ,. Ma il 16 torna sull'argomento offertogli dalle lodi dell'amico: « Volevo scriverti per confermare e suggellare il mio propasito irrevocabile di ridjvenire arti– sta puro. C'è tanta gente che tuttora abusa del mio nome e che non si vuole rassegnare a tessere equivoci sulla mia dottrina"· Nei suoi gesti, nelle sue parole, rico– nobbi subito il maestro di un tempo; pos. so ben dire maestro senza nulla dell'af– fezione che ormai è entrata in questa pa– rola; debbo .a lui. alla fortuna di averlo conosciuto al tempo del suo Saper vedere, delle sue affascinanti lezioni, la prima apertura verso la liberazione dal ctima. che ci soffocava. Molti suoi allievi e ami– ci di quel tempo debbono a lui, non solo una educazione del gusto, un sentimento civile ed europeo nelle cose dell'arte, ma anche un sentimento dì civismo che dif– ficilmente altri maestri di allora sapeva. no comunicare; infatti, se oggi si enu– mera i suoi migliori allievi. oltre a dei E' passato poco più di un anno, e non mi resta che ringraziare la sorte che mi ha concesso di rivedere due uomini dei quali anche fo porto in me, pur modesta– mente, qualche cosa. Sempre più rapida. mente ci scompare .attorno il mondo al quale sentiamo di dovere qualche cosa di prezioso, qualche cosa che. prima del distacco assoluto, vorremmo tanto poter ritrasmettere, poter ritrasmettere -almeno il calore che da essa abbiamo raccolto: ma il tempo si è messo a correre, i più sono trafelati, assetati nell'ansia di tener. gli dietro; eppure in tutto ciò che è esempio umano c'è una misura immuta– bile del tempo che non ha nulla a che fare con quella contingente, una misura di cui si ha sempre meno consapevolezza. ENRICO FALQUI (Continua) GUGLIELMO PETRONI (Jronache del • piacere L'intelletto in musica H 0 an~;.~~tope~u:~~~~e~~~~n=i~aco:f~~~::i: :t~~~\: pagnarsi con le proprie parole·, trovando l'allegria e un po' d'wnore in quell'aria spigliata dei nostri pen– sieri che prendono la via del verso, quasi coloran– dosi di fiato e trasparendo. Una ne dedicai alle « ra– gazze m oderne - che non sono eteme >>e che in• sie.me 11. danno tresco alla città». · So pure che scrivere parole per canzoni è tutta altra cosa: un compito da narratore, direi, più che da poeta. ove si tratti dj far nascere via facendo, passo dietro passo, il motivo dalla vicenda, capitan– do con tempismo nel bel mezzo di un desiderio cc di una ~ranità comune. Se la felicità assiste il tipico narratore musicale dei nostri giorni, può darsi per– sino ch'egli imbrocchi la leggerezza inoffensiva di ("Ui ha bisogno per entrarci in casa e nella memo– ria. La canzonetta è l'unico soccorso platonico che ci renda possibile Wl'idea della vita senza la vita, m1 sotterfugio della contemplazione. Non è· ch'io non sia in grado di apprezzare 1·of– fensiva di ltalo Calvino. di Franco Fortini, di Anto– nicellì, di Durando e di Omodeo che hanno scritto canzoni «intelligenti)> e inattese per farci vedere la loro bra\l'Ura e H modo di contrastare polemica• mente la svenevole tradizione· deHa nostra musica leggera: mi duole solo di non avere assi~tito alla esibizione av;venuta nei giorni scorsi a Tonno. Cre• do tuttavfa che l'offensiva, esaurito il suo successo polemico, mostrerà la sua corda teatrale-letteraria, il suo brechtiano-espressionista, approfondendo il solco tra l'intelligenza e la cretineria, a tutto scapito della naturalezza che si cerca. A ben guardare, gli amici sperimentatori e i loro avversari, professionisti del motivo, sono tanto intel– ligenti da non avere in sè quel piccolo dono di effi– mero e di fiducia naturale di cui ,vive ognì canione: gli uni e gli altri restano sul piano dell'iniziativa e della speculazione, non azzeccano il caso e la feli• cità in cui la canzone mette le ali e vola se vola, sfuggendo alla mano del suo autore per incontrare i1 favore del vento. Se non crediamo alle offensive della cultura, tan• ,li ALFOi\lSO G.4 TTO to meno crediamo alle offensive dell'intelligenza. al– lo snobismo delle contaminazioni decadenti e popo– lari. Per noi esiste solo la canzone-bete. la canzone– nature che i poeti non sanno scrivere e che, qualche YO!ta, cantano. Una 1•is1,osta a i'Uo1·etti H 0 sc~n:b~:f~:t~nd~u~!;~n~oYi~~ ~f;~!~i t~t~!ei~;t ta. A Cadenabbia dissi o tentai di dire quel che pen– savo degli scrittori neorealisti che rimangono a di• fendere la propria formula di illetterati servendosi delle vie più facili della letteratura: mostrai aper– tamente di diffidare dei liro presunti <e ideali)) e del loro interesse alla vita: conclusi che la loro espe• rienza, per quel che \·orrebbe essere. non ha nem– meno valore di documento, se è povera di fatti e prudente. conservatrice nella Polivalenza di tutti i suoi significati politici e delle sue funzioni. Ora, Moretti mi scrive passando alle accuse delle nostre colpe, di quelle della mia generai.ione inten• do, che sono quelle stesse di assenteismo, di lettera– tura fine a se stessa, di bella pagina di provinciali– smo, !atte a suo tempo dai fascisti e dai professori presunti antifascisti quali Luigi Russo che ci indica– rono. pollice verso. alle gerarchie. Anche ai nostri beat.i tempi di allora, si « im·itavano n gli scrittori al romanzo, si parlaYa di forma e di contenuto, di prosa e di narrativa, di narratori che s'attaccavano alla vi– ta e dei calligrafi .che ne erano lontani, di puristi e di ermetici, di impuri e di chiari. Sorsero giornali. riviste, chiese, premi per attaccarsi o per difendersi. Non è dav\'ero colpa nostra se siami stati e siamo più vitali e più vivi dei nostri oppositori di ieri e di oggi che chiedono alla letteratura solo un modo inof• fensivo di servire la corrente opinione del mondo e di trarne tutti i meriti ch'essi da soli, a sudar le pro– prie pagine, non a•vrebbero mai. Qualche poesia o quaJche verso che ancora resi– ste alla lettura: qualche pagina e qualche racconto (cito Bi-lenchi, Petroni, Vittorinì, Landolfi, Pavese, Delfini, Santi) da esemplare jn una storia della no• stra narrativa e della nostra 'prosa dopo la lunga generazio11e che va da Cecchi e Barilli sino a Alvaro, a. CQmisso e C.E. Gadda, possian:io portarli a ragione del tempo che soccorremmo e contrastammo con tut– to hl nostro impegno e nella consapevolezza che cul• tura non era solo un modo d'informare o d'essere informati, di tradurre e d'essere tradotti, ma l'essere stesso dell'anima e della mente, un ientatìvo almeno di esistere fisicamente nel linguaggio. Dopc Proust e dopo Conrad, dopo Gide e Kafka, dopo Mauriac e Bernanos, dopo Verga e Svevo, dopo Ce~i e Alvaro, riproporre ancora una narrativa pseudonaturalista che è più logora alla lettura di un racconto di Fucini. di una novella di Di Giaco– mo e di un romanzo di De Marchi. significa per al· tro ignorare a quali ri~ultati di certezza stilistica sia• no giunti Calvino, Cassola, Bassani, Pasolini, tra i più giovani. con la consapevolezza delle difficoltà del pr0prio mestiere dì scrittori partecipi del messaggio narra ~ivo dell'Europa moderna. Bastassero l'abnega– zione e la volontà di far storia o di riproporre gol• dianamente la « commedia )l umana (alludo chiara– mente a due scrittori, nei loro limiti, autentici, quali Pratolini e Moravia) per ridarci i termini di un pro• blema che Flora può credere bello e risolto con lo spericolato e smagliante bozzettismo di un Rea. Ma ci contentiamo veramente di tanto poco? Quello ch'io chiedevo agli scrittori cosiddetti neo• realisti, a Moretti e agli amici miei e suoi, era pro– prio il loro impegno in quella cultura dell'anima che è la di(flcoltà stessa di portare a giudizio e a con• \·enzione i termini della nostra disputa esistenziale e morale. Una narrath·a senza giudizio e senza la con– venzione di tutte le sue operariti antitesi. di tutte le disponibilità che l'insidiano. è puro esercizio lettera• rio, cronaca morta di fatti, rinuncia alla cultura. E che Moretti mi citi a testimonianza della v-alidità sua e dei suoi amici la fortuna d'aver qualche libro tra• dotto in Usa o in Urss, in Germania o in Francia, è prova della SUa sconsideratezza davvero giovanile e irriverente che lo Porta a ignorare la confusione che egli continua a fare tra «informazione» e cultu– ra. fra giornalismo e arte. Che l'America o l'Urss si interessino ai nostri <t fatti n, a Moretti, a Rea o a Rimanelli, più che a Leopardi, a Svevo o a Montale è prova solo che esse hanno solo bisogno d'esser~ d~vertite o informate: null'altro. ALFONSO GATTO

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