la Fiera Letteraria - XIII - n. 1 - 5 gennaio 1958
Domenica 5 gennaio 1958 r A FIERA r ETTERARIA IL LIBRO DEI ·LIBRI DEL[}INFATICAB[LE GIOVANNI PAPINI .. * S'impone una premessa Papini è sem– pre stato Papini, irrimediabilmente. fa. talmente. cosi nel ·buono come nel cat– tivo: e i moth·i di dissenso ideologico e letterario. che sempre più Jt,., tenevano separato da molti di noi, non poteva ccrlo essere la morte, per quanto già aureo· lata di leggenda. ad eliminarli d\m sof– fio. Fu Papini stesso. del resto. a volerli ribndirc in alcune delle sue ultime fa– mose • schegge s. pur cosi eroicamente strappate al buio e al silenzio e diligen– temente allineate nella Spia del mondo 0050) e nelle Fclidrd dell'infelice (1956). ECCO SQUILLAR LE TROMBE DEL ."GlUDJZJO UN.lJIERSALE" Gli è che Papini nella parte di Uomo– Oio, di Gesù Cristo giudice supremo ... • A quest'opera io son chiamato ... > E i presentatori aggiungono che. • ancora adolescente, aveva sognato di rare, da solo, un'enciclopedia universale. Aveva persino cominciato a stenderla ... >. Ma tutto ciò commuove o disincanta? As– sumerà nel ·900 il Gtu.dizio letterario di Paplni l'alto posto meritato nel ·500 dal Giudizio pittorico di Michelangelo? Quel che ad un'attenta lettura sembra irrimediabile e che, In anime di timo– rati e di spigolastri, esso susciterà la stessa perplessità e la stessa rimostran– za a cagione delle quali. sulla crudezza realistica di talune fra le trecentoquat– tordici figure dell'affresco vaticanesco. dovette intervenire il Braghettone con le sue pudibonde pennellessa. * Tuttavia non ru per pietismo né per coccodrillismo che alla sua morte de– sistemmo dal tornare ed insistere sulle ragioni del contrasto. Tra le tante c·era rmche quella dell'appartenenza a diffe– renti g,merazionl: e sarebbe bastata, da sola, ::id accentuare tutto quanto di ne– cessariamente d i ve r so ciò implicava nell'idea e nell'azione letteraria ed extreletteraria di Papini, in quanto Pa– pini. rispetto a quelle degli scrittori. ,·enuli dopo ma non al suo seguito. ~·~a purtroppo nell" a ceti<'a di Gianfa1co iJ titanico ha sempre prevalso sull'evangelico nostra miseria E noi abbiamo bisogno di parole più umane e incere, più vicine alla L'Antico per lasciar contezza di sé nella Cappello Sistina impresse la pro– pria massacrata e!!ige. come in una sin– done. sulla pelle tenuta ciondoloni da san Bartolomeo. E il Moderno? S1 riaf– faccia di continuo da più parti del suo universale calepino: ma sono di prefe– renza quelle maggiormente temerarie. giusta una condizione di pensiero e di lavoro alla quale Paplni è riuscito a sottrarsi soltanto quando s'è liberamente espresso da poeta. Altrimenti ho sem– pre cercato di sorprendere. di !ar colpo. Dobbiamo aggiungere che. negli ulti– mi rmni, di fronte allo e spettacolo> della sua Junga agonia e della sua stre– nua resistenza. s'era formata in noi una con~iderazìone di specie così delicata da non poter essere scancellata neppure 11el momento in cui pili sarebbe occorso superarla per cominciare a stendere il bilancio della sua voluminosissima pro– duzione. E si che Paplni ci tenne a dimostrarsi autore coniato apposta per tirare a cimento i suoi non pedissequi recensori. Ma era successo che. da quan ... do a,·evano cominciato a circolare le immagini della sua rattrappita figura in lotta con un implacabile morbo. in noi s"era quasi eclissata ogni altra consi– d_erazi.one all'in!uorl di quella sugge– rita. m termini sempre più dolorosa– mente estremi, dall'immagine quasi el– Jegorica di un Papini che inevitabil– mente cedeva al male di giorno in gior– no ma che tuttnvin sembrava voler scon– figgerlo con la sua inesausta fede nel valore della vita e nella luce dello spirito. All'immagine reale dell'uomo che. sempre più cieco e muto e immo– bile. arfondava e s'allontanava da noi, s'era sovrapposta quella Ideale dello scrittore che non si rassegnava. non si arrende,·a, e che rino all'estremo avreb– be continuato a volersi esprimere. a voler offrire • qualche foglia di poe,sla e qu.i.khe seme di pensiero>, ,li * FALQIJI Putroppo, vivere nell'alone di una c.spettacolosità > più o meno gladiato– ria era sempre stato un privilegio. di Papini. Ma un po· anche la sua danna– zione. Senza che mai avesse potuto sottrarvisi. dalla prima infanzia all'ul– tima vecchiaia. A che pro cit11re esempi. se tutto il suo cammino ne era lastri– cato? Eppure il suo comportamento. quantunque non gli avesse vietato di tirar fuori quel disgraziatissimo Diavo– .Zo (195S) che non meritb neanche di essere condannato atl'fndice. era ugual– mente riuscito, per altri aspetti, ad in– cutere una specie di soggezione. Senz.a srancellnrlo (né avrebbe potuto), aveva attulito. quasi velato ogni dissenso sul– l'uno e sull'altro punto di storia e di critica. Le distinzioni. le contrapposi– zfonì, le rivendicazioni, le avversioni avrebbero ripreso il loro COI"SO più tar– di. indipende-ntemente dagli inni e dalle lodi. E avrebbero così confermato l'ap– partenenza di Papini alla schiera di quelli speciali autori che. per il !itto miscuglio di eleme11ti contrastanti ac– certabile rn?Ua loro multiforme perso– nalità. si sono trovali ad esser giudicati nei più opposti modi: qua nella polvere. là sugli altari. Pa1J!11i 11011ha mal adoperato la ma<"chhm da scrivere: ha sempre ,erJato di suo proprio pugno o.1tni sua pagina. E SI 11uò dire:- che ab. bla tr111corso la vita a tavolino. Nel riquadri del casellario alle sue s1,alle de11osltava tutto quanto venh•a lnfallcablhnentc:- ll<'rh•endo: li– bri, san·I, articoli, pem1lerl, a11punll f\ta non era mentre stava ancora sfi– lando il suo solenne funerale che gli si poteva • presentare Il conto>. sottiliz– zando e spartendo. criticando e respin– gendo. Sarebbe stato di pessimo gusto e .avrebbe provocato (si licet ...) impres– sione an-alo!la a quella del tristo ne– crologio stillato dal Cajuml per Pan– cr3zi (cfr. Stampa, 27 dit'embre 1952). Meglio lasciare ad altri il vanto di cc-rte incombenze. Giusto allora il no– stro pensiero riandò lnve'i:e di prefe– renza non al Paplni stroncatore o apo– logeta. bensì al Papini poeta in prosa delle Ce11to pagine di poesia (1915) e dei Giorni di festn (1918). Non per nul– la l'indice della •nostra> antologia pa– piniana è scritto da un pezzo. Non s'è dovuto :,spettare )'8 luglio del 1956 per scegliere !ior da fiore nella e foresta > di tante pagine. E a completar la cer– nita si farà presto. Perché precipitarsi a volerlo far subito? Anche in occasione dello morte di Cor– rado Albaro. poco appresso. confessammo di astenerci dall'intromettere alcun in– tento critico nelrimmedJato tributo com– memorativo. Ma fu perché nella morte di Alvaro c'era stato lo strappo de.Ila ca– duta e il contraccolpo della sparizione repentina. Quella morte - si ,·orrebbe aggiungere. se non sembrasse blasfe– mo ~ era stato un tradimento della sorte: e il rischio di commemorarne la \'iltima cedendo in pubblico all'intimo sentimtnto esigeva riser'bo. Divt?rso. il caso d1 Papmi e della sua agonia. Con lui sarebbe stato diffi– cile evitare spartizioni e sottigliezze. che, ~r quanto documentate e legitti– me. solo a rienuncinrle con la debita franchezza mal si sarebbero sottratte nllA grossola·nA taccia di risentimento. Meglio evitare: me-glio aspettare. Ta1lto più che già si sapeva che l'occasione di tornare e soffermarsi sull'argomento si sarebbe 1argament.e presentata. di li a poco. sotto forma nientemeno che di Giudizio universale. E infatti eccola qua e l'opera enorme, paurosa. oltrumana >, • che dovrebbe (odi superbia) porsi accanto agli anti– chi c3polavori >. 7'rtbn. mirum spargens sonum - per sepulchra regionum. - coget omnes ante thronum. • Cominciò presto. Papini. dato il tem– peramento. a ripromettersi, come un dovere, dì scrivere un Giudizio univer– sale. Si senti fin dalla nascita predestl• nato a un'opera che da principio avreb– be dovuto intitolarsi Rapporto sugli Uomini, ma che poi tu ribattezzata Adamo. C'è un primo frettoloso appunto del 16 luglio 1904: e cenni se ne tro– vano già in Jettere a Soffici del 1907. E neU'autobiografia deU'Uomo finito, quattro anni dopo. un intero capitolo e dedicato alla rievocazione appassio– nata della genesi di quello che avrebbe dovuto essere il suo Dies trae. • Vivevo in una almosfera di gran– dezza, pensando cose grandi: anche la poesia (per quanto strumento iniziale di redenzione e niente più) doveva esser grande, grandissima. Grandissima almeno nel concepimento - come tela. come quadro. Un poema cosmico. un dramma universale. una scena infinita Volgendomi addietro non vedevo che due libri degni d'attenzione nel senso mio: la Divina Commedia e il F'aust. Tutt'e due rassegne gigantesche della vitn e della storia: il di là e il di qua•· Sennonché nessuna delle due rasse– gne. la dnn tesca e la goethlana. e eran motivi bastanti per mettervi attorno tut!:, la vita di tutti gli uomini in tutti i suoi aspetti e momenti. Ci voleva qual– cose di più. Di più grande. di più gran– de oncora. C'era nel Cristianesimo un altro tema che faceva meglio al caso mio: il Giudizi<' universale. E disegnai Cosi Puplnl - sempre più cieco, più muto, più Immobile, ma. vh-lsslmo ,Il mrnle - ha tra– ~erao ,11 ultlml armi di vita nella sua palaulna di via Gucrrazil a Firenze allora neUa mente e sulla cart.i l'unica Lragedia consentita nlln mia demenza: il Dies trac, il giorno dell'ira, dello spa– vento, dello stridor dei denti, della con– dann3 ultima del primo e dell'ultimo uomo•· E di quel progetto riportò i sommi capi. Altro che l'infernale lra– gedin e la ·divina commedia. Condotte a termine • e ingigantite fino all'Impossibile> nel proprio Giudi– zio universale, chj più avrebbe ricordato le due opere? e Tutti gli uomini avreb– bero dovuto tremare Jeggendo. vedendo, ascoltando l'opera mia.> E oggi quel– l'opera ci sta davanti. Mors stupebit et natura. Quanti anni gli ci sono voluti per scriverla? Assai pili di quelli impiegati per mettere in carta le centinaia di capitoletti (uno per ciascuno dei risÙ– scitati che J'angelo accusatore chiama al redde rationem da tutti i secoli e da tutti i paesi, non esclusi quelli di fan– tasia) compresi ncll'enorme tomo scru– p,olosamente curato dagli eredi, nonché da Mnrio Gozzini. e saldamente edito dAlla Casa Vallccchi. Non per burla, se fosse riuscito a completarla (ma come: facendola diventare lo spaventoso re• g:istro della le\'a in massa dell'umani– tà?) l'opera avrebbe costituito la sua summa. Che cosa ha !atto di diverso. Papini. nella sua laboriosa esistenza, se non aci:umulare esperienze su esperien- 7.e. testimonianze su testi monian ze. sen– tenze su sentenze. per pot.er essere il degno deus cx machina di un dramma siffatto da rappresentarsi e sopra un teatro grande come un deserto. con delle vere montagne per scenario>? Dal Crepus~olo dei Piloso/i, (1900) a La log. gia de1 busti (1955). vuoi che adope– rasse il Sacco deU'Orco o la Pietra in– Jer11alc. la Corona d'argento o il Libro nero, vuoi che le stipasse nel Dizionario dell'Orno salvatico o che le ordinasse in Mostra personale, le prove non si con– tano pili e passano nttt-averso le in.fi– nite avventure e disavventure di una mente burrascosa e lampeggiante. Chi avrebbe potuto esimerlo dal Giudizio universale? Effettivam,nte cominciò a scriverlo a sessant'anni. annotando che solo a quel– l'età • v'e la sicurezza e la vastità del– l'esperienza umana> e confessando che prima non gli sarebbe stato possibile e giungere all'idea e apprestarne la ma– teria>, l\ta. pur orgogJioso com'era e potente come si reputava. non poté vin– cere del tutto il dubbio di non • riu– scire a dare una idea di tutte le forme. di tutti i problemi, di tutte le gran– dezze e di tutte le miserie della vita umana. Centinaia di confessioni e di apologie son molte per un libro, quasi nulla rispetto alla complessità della vita e alla moltitudine delle genti•· Voleva troppo. Voleva tutto. Non era tipo da mettercisi per meno. Dal Diario risulta che più volte fu assalito dal sospetto che !orse avrebbe ratto meglio a scrivere un'• operetta di duecento pagine•· ma capace di dare e il ritratto e l'essenza dell'uomo•· e Bi– sognerebbe compendiare il Gittdizio uni– versale in un libro... che n.irrasse la vita degli uomini dal sasso delle ca– verne alla bomba atomica. Poema e in– sieme atto d'accusa.> Appunto il Rap– porto .mgli Uomini: e sarebbe stato il suo estremo e doloroso addio al mondo>; sconsolato. spietato, e al di là dei miti, delle illusioni. delle camuflature e ma– scherature•· L'ultima sua parola agli uomini. l\la non prima d'aver fatto squil– lare le trombe angeliche nella valle di Giosafat. anche a costo d'alternare e il lavoro dei due libri secondo l'ispira– zione delle giornate>. Altra volta, invece, incerto tra Giu– dizio e Rapporto (e l'incertezza avrebbe pur dovuto metterlo sull'avviso e trat– tenerlo. come del resto fece). archi– tettò uno nuova costruzione, non più consistente •o• una serie di confessioni in ordine cronologico>: 'ideò • una vera e propria trogedia. tutto dialoghi. con risoluti contrasti tra il Bene e il Male e tra risorti e risorti. Sacrn e profana rappresentazione. tutta agitata e mossa dalle invettive, difese. contese. Mistero in quaranta tempi>. E quale altro au– tore contemporaneo avrebbe potuto con– cepire di realizzar da solo il Gtudizio universale? Chi. se non lo stesso Pa– pini che dal 1904 si era ripromesso di comporre un'opera universale. en– ciclopedica: e uno di quelle che restano nei secoli>? e A quest'opera io son chiamato a pre– parato dall'indole mia stessa. dalla mia multiforme cultura. dalla mia attitudi– ne a risentire e comprendere stati di animo diversi e opposti, dal mio desi– derio antico di giudicare e trasformare gli uomini.> E ora quell'opera - iniziata nel '40, proseguita fino al '44. ripresa ma rila– sciato nel ·45 e nel '51, e abbandonata per sempre nel '52. dopo il capitoletto su Ki-ya-koe. il boscimane massacratore di bianchi - ci sta davanti e vuol assere. a sua volta. giudicata. Liber scriptus proferettir. - in quo totum contincrur, - undtt mundu.s iudicetur. • Nell'Uomo finito, preconizzandola. avverti che gli sarebbero occorsi e il vento come respiro, il mare per orche– str:l. razze intere per cori e una lingua nuova. formidabile, perfetta e chiara. dove tutti i nostri suoni si ritrovassero, dal mugolio d'un poppante fino al rom– bo solenne delle cascate>. Le parole avrebbero dovuto suonarvi tremende co– me quelle di Dante, le figure apparirvi imponenti come quelle di Michelange– lo. la musica echeggiarvi più divina di quella di Wagner. Di tutto questo dannunzianissimo pro– gramma-sogno. che cosa è stato rea– lizzato'! Rimasto incompiuto, il Giudizio man– ca di architettura (né si riesce a im– maginare quale mai avrebbe potuto as– sumere. diversa dalla presente): e co– loro che han dovuto curarne la stampa si sono studiati d'impartire ai vari pezzi un ordinamento non lontano dall'inten– zione dell'Autore: hanno raggruppato. in successione storica. le confessioni e testimonianze e discolpe dei risorti a seconda dei peccati commessi e degli uf!ici ricoperti in vita: dividendo l'un gruppo dall'altro per mezzo dei , cori (enfatici per eccesso di turgore e tirati in lungo oltre misura) dei gludicandi. anch'essi raggruppati per peccati e per uffici. Mo dei 500 capitoli preventivati per e mostrare tutti gli aspetti della vita e del pensiero>. non se ne sono trovati che 352 (oltre agli scartati dall'Autore): e dei cori. solamente 21. Troppi: dirà qualcuno, deluso dal loro meccanico susseguirsi. Resta il fatto che un'opera cosi concepita e avviata avrebbe tratto ulteriore elemento d1 grandiosità - mo– notonia a parte - dal maggior numero di creature chiamate a discolparvisi. Tanto vero che, come se non bastes– sero. ali~ reali l'Autore volle aggiungere le ideala, ivi comprese le non nate an– cora. e Le difficoltà della dosatura e dell'ordine dei personaggi son grandi. E' necessario che sia universale il giu– dizio, non solo nel nome. Ogni passione. ogni arte. ogni rozza debbono essere rappresentate. Cinquecento anime. per qualsiasi altro tema, sarebbero troppe; ~er questo mio clurerunno gran fatica a bastare.• Eppure, anche ridotta, l'opera si pre- senta come un enorme cumulo di ma– teriale, bisognoso di assestamento e di equilibrio. Occorreva armonizzarè 18 fin– zione letterario con In funzione spiritua– le. la tecnica con l'apologetica. Ma Pa– pinl ha mirato n far grande. grandis– simo. Voleva che il libro riuscisse e il più possibile degno del pauroso tema: il genere umano che si contessa. per bocca mia, a Dio>. Ci ha invece traman– dato uno i-misurato catalogo, un imma– ne inventario. Da mettere e accanto agli antichi capolavori>? Considerato che lo Autore era persuaso di avervi speso - e se ne esaltava - tutte le sue eri– sorse e riserve di poeto. di pensatore. di credente, di moralista. di storico, di uomo vissuto i.? Mai più. Non sembri. dunque, illecito, da par– te nostra. confessare che il primo libro postumo di Papini - poiché le e scheg– ge> di Le fclicitd deU'infeUce (1956) s'eran già lette quand'era ancora vivo e continuava a dettarle alla nipote - ce lo saremmo augunllo più raccolto, più discreto, pili intimo. pH.1silenzioso, più persuasivo: il contrario di questo gi– gantesco e Lonitruante Giudizio u.niver– versale. Avremmo voluto riascoltare e riammlrare Papini nei suoi accenti più schiettamente poetici. senza timore di rimanere storditi dal rombo di un'ora– toria, che negli ultimi lustri. investendo temi spirituali o reli~iosi, s'era venuta appesantendo con ridondanze da qua– resimale. Qua,uus trernor est futurus - quando Judex est renturus Cosi nella speranza come nella dispe– razione. l'opera è pervasa proprio dalle e lungaggini della verbosa rettorica> 11 cui uso è pur !atto inibire. per mezzo dell'angelo. al povero Aretino. Una tem– pesta d'hwocazioni in un oceano di la– crime. Un diluvio di peccati in un de– serto di tango. Forse per ciò, a lungo andare. qui si finisce col prestar orec– chio più sveglio ai pagani, agli eretici. agli apostati, ai blastemi e agli aberranti d'ogni risma. Paplni stesso ha prestato loro e uno partecipazione. addirittura una immedesimazione>, che .inche ai devoti presentatori dell'opera, oltre a sembrare la condizione per il conse– guimento di una data e resa artistica>, pare la riprova della • simpatia, o più viva comprensione> sempre nutrita da Gian falco • per certi atteggiamenti. per certe avventure dello splritP •. E non che, con il motivo, non ne avesse capito anche il pericolo. e Molte idee e fan– tasie che mi perseguitano le !o mani– festare ai Risorti e vuoto cosi, in parte. quello oscuro fondo dell'anima dal qua– le vengon su miasmi e spettri.> Per esempio: non si serve. fra gli altri, di Lucrezio. di Voltaire, di Schiller, di Hebbcl, di Lautréamont come di suoi portavoce? Ma cosi non diventa occa– siane di schermaglia furbesca. di gher– minella dialettica, quello che, secondo l'assunto di Papini, dovrebbe essere lo ultimo scampo offerto dallo Misericor– dia agli uomini, • tutti eguali nella re– surrezione e nella trepidazione. tutti eguali dinanzi a un medesimo Giudi– ce>, prima di venir consegnati alla Giustizia divina? Per giunta lavori simili son sempre minacciati dal dover sottostare a un esercizio e a uno sfoggio di !orza. Non– ché di esperienza. Chi la dura. la vince. Ma che cosa vince? Di persuadere i dub– biosi, di placare i disperati, di frenare j ribelli, di appagare gli scontenti. in ossequio a quello che pur dovrebbe ri– manere il fine supremo. anche attra– verso la finzione letteraria. di un'opera cui si vuol riserbare la qualifica di e apologia del Cristianesimo>? La con– cezione e la iattura restano fatalmente papinlane. Nihit novi ... E Paplni stesso. in una lettera del '44 all'editore Val– lecchi, respinse la interpretazione del Giudizio come d1 un libro soltanto re– ligioso: • Niente affatto! Le vicende es– senziali di tutta la vita. di tutti gli uomini. di tutti I secoli, di tutti i popoli. di tutte le attività pazzie illusioni umane. La religione avrà la sua parte; nulla di più. Non bisogna far credere che si tratti di un libro devoto: è un libro universale dove non manca nessun ele– mento terrestre>. • Appunto questa terrestrità, se osser– \'ata in tutta la sua reale pienezza. avrebbe dovuto accrescere drammatici– tà alla confessione dei risorti. t\ta trop– po spesso il paradosso non rinunzia ei propri inganni. Eppoi succede che, sus– seguendosi e sovrapponendosi. tutte que– ste voci si ammassano e si fondono come in un unico panegirico. dove pe– raltro frequenti echeggiano le in,·oca– ziom al perdono divmo. (Quanto legit– time. cioò plausibili. esse siano. non sappiamo. Ma è problema che lasciamo ai teologi.) Confutatis maledictis, flammis acribus addictis, - voca. me cum benedlctis. • Cosl sia. Ma ~i che Papini volle sempre mostrarsi maestro tra coloro che dicon pane al pane, non vorremo certo noi, onche se non potemmo iscri– verlo tra i nostri maestri, mancare di riguardo alla sua memoria, usando con lui regola diversa. Papin:i ricordava che • giudicare significa porsi al di sopra dei giudioandi > e che , l'uomo non può essere ol di sopra dell'uomo>. E con l'aria d'emmonirsi e di farla finita con simili progetti, si domandò: • Sono io un uomo? Possi giudicare gli altri"!> In realtà, si sentiva superuomo e, come tale, si reputava preposto a impartirci la lezione suprema. Di chi sarà la colpa. se non se n'è potuto approfittare? Fermo restando che nel suo deside– rio di grandezza c'è qualcosa di since– ramente eroico e nella !orza del suo la– voro qualcosa di eccezionalmente esem– plare, resta altresl vero che neU'asceti– ca di Papini 11 titanico ha sempre pre– valso sull'evangelico. E noi abbiamo biMgr'IO di parole più umane. più vi– cine alla nostra miseria. ENRlCO FALQUt Trn Jlt aulogrnrl !asciati d:1-Giovanni Paplnl è stato rinvenuto q u e 5 t o forllett h ò considerarsi 1111rlmo subitaneo ap11unto allorchè di colpo do,•ette balenargli l'Id:~ ~le s!:a. ,•ere un • Giudizio universale•· Aveva 23 &nui
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy