la Fiera Letteraria - XII - n. 37 - 15 settembre 1957

Domenica 15 settembre 1957 LA FIEflA LETTEflARIA ALCUNE PAGINE DEL NUOVO ROMANZO <:< I CAJIOSCI ARRIVERANNO» * ca~:i:ci in a~~iC:!~a!:~:~~ •i} nuovo romanzo di R. l\J. Dc I PONTI DELLA SENNA. ~~fi~~i:hi J{'Jficnz~.c ~l.to; ~ Dc Anlt'elis è nato a Terra– nova di Sibari Il 4 maggio 1908, Redattore capo dc • L'Italia Letteraria• nel 1936. si è ,•cnulo afferman– do In maniera crescente nel Jiornallsmo e nella lettera– tura. Come inviato speciale ha girato quasi tutta l'Euro– pa e Il Brasll-e. Le sue ope– re principali suno : Inverno in palude. OrO\•Crde. Pilcse del caucc1ù, La peste a U– rana, Panche gialle, Sangue nero. La brutta bestia, I briga'nt1, Una giorn.Ha d1 paztia, Samba, Amore e impostura. Il regno segreto, Poe!tie, Il giocatore fortuna– to, Sloria di uno scono– sc1uto. * e Se non è mai stato o Parigi, non ci vada di autunno inoltrato o d'invçrno, alllorchè 1 1ungosenne si popolano dei fantasmi dello nebbia. Io sono uno di quei fantasmi, e (inirò col gettarmi nel buio delle acque da uno di quei ponti. « SI può amare, Giovanni, sino al punto di tradire? Sacrilicare qualcuno, per sal– varne un altro? Ed essere schiava del– l'uomo salvato, sino a diventarne il com– plice e il carceriere della moglie? Si trotto. di me: ho tradito la causa della libertà, ho sacriticato mio marito, uno spagnolo, rHuglato, per salvare mio fratello dalla morte. Ora, vedova, faccio la carceriera di mio. cognata: e persino di Jean, che adoro. Mio fratello mi di– sprezza, Corinne. mi odia, Jean ha paura del mJo sguardo e della mia presenza: lo pare.Uzzo, se o.ppena lo sfioro con una involontaria carezza. Voi tutti mi sfug– gite, dacchè la colpe mi ha asciugata la carne col rimorso che finirà col divorar– mi anche il cuore: intanto sceva dentro, implacabllmente. Per salvarmi, mi baste– rebbe un po' di amore. E invece nessuno ha pietà. Nemmeno lei, Giovanni: soprat– tutto lei. Al cuore non si comanda: e in– vece io ho creduto di potergli comandare: e il cuore si è ribellato, mi rimbalzo in petto, vuole uscire del mio petto stra– ziato. E un giorno non lo sentirò più battere. Dio voglia che non debba sen– tire altro e che questo sentiTe sia la fine. Avrò espiato abbastanza? Dio vorrà, al– meno Lui, perdonarmi? « Manolo. di sera, cantava sempre le canzoni della sua terra natia: cosi tristi. e dolci, e nostalgiche. che ci imbalsama• vano inumidendoci di lacrime di tene– rezz:1. L'avevo incontrato appunto su un ponte del lungosenna, tra le prime nebbie dell'autunno, una sera, appena più tardi del framonto. Mi perseguitò con lo sguar– do dapprima, poi con certi versi di Garcia Lorca di cui sapeva a mente Intere bal– late. Avevo vent'anni e nessuna inten– zione di resistere all'amore o all'evventu• ra. Gli diedi il primo bacio dopo un'ora, e lo ,invitai cin un bar dove si ballava, P.Cr Jàrlo càntarè accoml:;)8-gnato· dalla' chitarra. Suonava anche la chiten-a. come tutti gli spagnoli. Aveva corobattuto, era stato ferito a un fianco: per poco non era morto: dipingeva cartelloni e toreri, scene di cond3nnati elle fucilazione e decors di balletti. pennelli, subito appena entrati: non so quale pudore me lo impedisse. Forse me lo impedì lo sguardo di lui. Menalo, i cenci che mi mise addosso, con furia Ispi– rata, l'Ingordigia delle prime pennellate suila tela già pronte sul cavalletto. Anche l'orte, per lui, era una maniera di amare: la più !orte, la più esclusiva e tirannica. Mi abituai alle sue manl sporche. o quel d!Herlre l'atto ai amore che per lui era sempre amore e per mc tormentosa attese: ci sp06ammo controvoglia, soltan– to per evitore lo scandalo che minaccia– va di troncare la carriera di mio padre e di mio fratello. Mio padre ne morì lo stesso di dolore: era un uomo all'anti– ca, aveva creduto in me, nello mia lealtà di figlia. Ebbene, lo non sono mai stata leale: nemmeno con mc stessa; né con Manalo. Avrei dovuto rinunziare a lui: lo avrei * ,ti Il. ,I/. sempre commossa e fe lice, e non ricor• davo più la ragione del nost.ro litigio. Oh, Dio, Manalo rim piangeva le Spa– gna, e si portavo nello studio ogni ra– gazza che avesse le nacchere sotto li grembiule. A volte cantavano e bollava– no sino all'elb-1 insieme ad altri esuli che avevano trovato un ri!uglo a Parigi. « Tu sei Il mio nido •, mi sussurrava Manolo. « Senza di 'le, che cosa avrei fatto In una città cosi grande?•. Avresti continuano a dipingere e a inseguire rogazze dalla pelle scura». « Anche tu sei olivastra: ml sei subito piaciuta per il colore della pelle a, Sono francese, lo a. • E che importa?». E canterellava !'In. ternazlonale, « In !atto di donne, querida, io non sono spagnolo ». Invece lo ora, oh, se lo era; con tutti i suol istinti e sensi, mente, animo e fan– tasia. Non parlava che d! Barcellona. o Mi portò nel suo studio in cima ai tetti, e mi abbigliò da gitana con stracci multi– colori. Si mise subito e dipingere il mio ritratto, al lume di una grossa lampada. dlmenlioondo che mi aveva incendiato il sangue, stringendomi nel bello con la complicità del ritmo e della penombra. Fini il mi ritratto in tre ore; lo m'ero già addormentate, quando mi sentii bru– ciare dentro da una fiamma che mj in– debolì la spina dorsale: ere lui, Manalo, che m'imbrettava la pelle di colori con le sue mani sporche di rosso di nero di giallo ... Ardengo Sof!ici : «Cortile• (eTu non sei un modello (acile», mi gridava. « Tu ti rifiuti all'arte, ti sottrai aWamore, Perché ti sei addormentata? Credevi di sfuggirmi. e di rifugiarti nel sogno?•). Invece io avrei voluto spegnere la lam– pada, e buttare dalla finestra I suoi cento salvato; e avrei forse salvato me stessa. Non so se fummo felici. I primi tempi almeno litigavamo spesso, per via dellé modelle di Manalo, che ne camb.iava una ogni tre giorni: tutte di taglia grande, bionde o brune, ma larghe d\ fianchi e di petto. « Non ti sazi mai •, gli gridavo tra la rabbia e il gioco; e lui m'imbrattava il viso di col01i, o ml .rispondeva con la strofe di una canzone. Anche senui. chi• tarro. Ciniva con il commuovermi, e avere partita vinta: uscehdo dal suo studio ero Gio\'anni Consolazione: « Domenica romana N. 2 • 11 di Granada, e di Siviglia, del Greco, di Goya, di Velasquez. Sapeva a mente ca– pitoli interi del Don Chisciotte e versi di Gongora, branl di Calderon e intere bai• late di Garcia Lorce. Mi parlava degli aranci di Valenc1a, facendomeli apparire sul palmo della mano. Forse anche lui era un gitano. o -almeno amava gli zin– gari come Federico Gar'Cla Lorca. Ai suoi quadri mancava sempre il giusto tono, un colore e une luce ch'erano quelli della stessa Spagna. E lui spergiurava che nes– suno sarebbe stato capace di metterli a freddo. lontano da quel cielo incantato. Lo abbandonai alle sue modelle, elle sue corride di tori e cenci, nacchere e maschere. al suo carnevale pittoresco come un piedigrotta napoletano: ubbriaco fradicio, nemmeno si accorse ch.'io ero entrata nel suo studio popolato di zin– gare più o meno vestite. Trovò il mio biglietto di addio, appun– to su una tela vergine, dopo due giorni di sbornia e mi telefonò per di1mi che partiva. ora che la guerra stava per scop– pi-are. Credetti a un suo scherzo e gli auguroi buo11 viaggio, di tutto cuore; ma egli non insisté per fermi gli addii. Si– cura di incontrarlo al più presto, di ri• torno. su uno dei ponti sul fiume, non pensai alla sua profezia: e invece la guer– re scoppiò. la Francia fu invasa, Pe.rigl occupata. Tutto accadde come in un in– cubo e ci trovammo prigionieri, in una città che mancava di ogni cosa per con– tinuare a vivere. M!o fratello scomparve da casa notte– tempo. affidandomi la moglie in custo– die: una donna frivola, ex-attrice. sma– niosa di applausi e di corteggiatori. che era riuscita a farsi sposarè, fingendosi incinte: Corinne. Tre donne in una casa immensa, con pochi mezzi e tanta paura. Ero sempre io o trovare quello che mancava, il latte per mia madre inferma, la verdura e lo zucchero, il caffè e le sigarette per Co– rinne. A me bastavano gli allarmi per vivere. lo squillo del telefono in cui una cara voce sibillava qualche parola con– venzionale. .. Il cavalier Fabrizio • stava bene e sarebbe passato tra una settima– na al settimo ponte, o al caffè, o in Piaz– za dell'Opera. alla solita ora dell'altra volta. Mi travestivo da operaia per correre a quei convegni con mio fratello che com– batteva con quelli delle Resistenze, per la Libertà: portavo messaggi, rischiavo a mia volta la vita: una sera mi parve di intravvedere dietro una porta di une casa, in cui ero penetrata per consegnare una lettera. l'ombra di Manalo con la sua chitan·a. Dunque anche lui era con noi: soltanto che, per essere più libero, aveva accettato il mio congedo per Cingere una partenza immaginaria. Del resto, quale A,"VGELIS treno avrebbe potuto prendere? Per quale viaggio? Insistei col padrone di casa et quale consegnavo i me:.se.ggJ per Incontrare mio marito. Invece. uno sera, me he fecero sentire la voce, e il suono della chitarra, dietro lo schermo di una vetrata. No, non era prigioniero; el contrarlo, ma non si fidavano di nessuno, specie di una moglie che lo avevo liquidato a causa di qualche modella e di una sbornia notturna. Non tardai o capire che mio fratello, da una parte, e Monolo dall'altra si ser– vivano di me, per non esporsi, e si servi– vano di mc, perchè essendo costretti e. con!idarsl a qualcuno, non avrebbero proprio saputo chi scegliere. Ero nel gibco. il rischio ml ringiovaniva,\ avevo rapide avventure di amore che ml fa– cevano certa di essere donna, amata, e a volte persino contesa dai ragazzi esposti più dJ me al pedcolo di finire con una palla dietro la nuca. C'è sempre une volta nelle vita. Eb– bene, quella volta Ingoiai la lettera di cui ignoravo Il contenuto, ma Fabrizio, mio fratell<1. era sulla spalletta del ponte; Si tuffò nelle acque con un salto di sui– cida; ru ripescato semlasflssioto dagll ar– piani dei tedeschi appostali sotto il ponte con due battelli a motore. Non c'eoono prove contro di me. che passavo per caso da quelle parti. e mio fratello aveva documenti con un altro nome: credetti, per qualche giorno, di es– sere riuscila o Ingannarli, e invece quelli giocavano con me come gatti col topo. In ogni caso sapevano dove trovarmi, e intanto speravano In qualche mio passo falso, in qualche visito che fornisse nuove piste ai loro bracchi sempre all'erta. Mi accorsi subito di essere guardata a vista, J)edinato. Allora troncai ogni tele– fonata con una parola convenuta che si– gnificeva allarme. Ero francese qualche amico potente mi aiutò, e mi pi-esentai alle prigione, Il gior– no delle visite, come tante altre spose e sorelle e mad1·! che avevano un figlio un marito o un fratello da con!ortere. Per tre c;ettimane di fila mi fecero stare ogni volta quasi un'ora nel parla– torio con Fabrizio: il quale, per tema di microfoni occultati, m( parlava più a segni che a parole, trocciando sul piano del tavolo il nome di Manolo, e metten– dosi l1 dito in croce sulle labbra. E ogni volta, all'uscita, ero ricevuta da un capitano delle SS, biondo, delicato, dagli occhi azzurri, che ml recitava versi di Rimbaud e di Garcia Lorca, sospiran– do sulle infamie della guerra e compian– gendo il mio destino. Era il tempo degli agguati e furia di bombe, e gli ostaggi innocenti venivano fucilati a diecine: dieci ostaggi per ogni tedesco assassinato a tradimento. ti capitano Peters compiangeva i mar– tiri francesi, facendomene scorrere le lunghe Uste dei fucilati, le liste che si allungavano ogni giorno di un decimetro: un centimetro per ogni morto. Sapeva tutto di me e di Menalo: soltanto che non sapeva né suonare né cantare. Altri– menti, un giorno si sarebbe fatto trovare con una chitarre in mano. Mi parlava del– le Spagna. delle zingare, del flamenco; poi, improvvisamente chiedeva notirie di mio marito. Ed !o. che non lo vedevo de mesi, mi difendevo con un sorriso ironi– co. che mi straziava il cuore, senza che egli, il capitano, lo indovinasse. Del resto. nemmeno ìo m\ capivo. Amavo !orse Manalo? « Non lo vedo da mesi •, rispondevo. « E' ancoro a Parigi?». « Ben nescoslo, s'Intende. Suona sem– pre la chitarra. Lo cerchi, Madame, ve– drà che lo trova. Noi le permetteremo di passare con lui più di une notte. Chissà quante cose ovrete da dirvi?:.. « E voi vorreste ascoltarle. non è vero?». « Sia prudente, Madame: anche ore ci ascoltano•. mi sillabava senza voce, co– me Fabrizio, muovendo appena le labbra. Cl 'ascoltavano, s'intende. Dunque ere. nascosto un Invisibile orecchio meccani• co. sensibile come un·ontenna, che tra– smetteva persino t so~piri e i battili del cuore. Fabrizio, alla terza visita, mi disse che non ci saremmo più inconlTaU, che mi avrebbero proibito di vederlo: onche essi, i priglonlerl, avevano i loro « orecchi » nascosti. Infatti, cosi fu, Ml negarono il permesso e, a ricever– mi, trovai non più il delicato dicitore di versi, trovai Hons, il maggiore Hans. sfr1,?giato, calvo, con il monocolo all'occhio sinistro, le mani pelose, e l'unica pupille integre. di un grigio appannato senza rag– gi, implacebile, che sj accendeva, solo durante gli interrogatori, di un fuoco di diamante: bruciava ogni resistenza, quel fuoco. lo non feci che piangere, implora– re. Il maggiore Hans mi lasciò andare, tenendomi le meni tra le sue, sudaticce e ardenti; Il monocolo gli era caduto per l'emozione che sapeva fingere come un mediocre attore di varietà, mostrando raltra pupilla c;penta, straziata da un rosso davvero infernale. Pensei al ritratto che Manalo ne avreb• be fatto con i suoi colori, a quel rosso impietoso e imprevisto. Non potei fare a meno di evocare i colori spavaldi e dram– matici di Manolo, ch'erano i suoi accenti sensuali, le amorose modulazioni di un cuore sempre cerico di sangue. Impavido sangue. In quel momento lo amai, il tra– ditore Manalo, cosi felice di vivere e di– pingere, spogliare donne .per imbrattarne i corpi nudi di ditate lascive di colore. Manalo dalla bocce piena di sughi e di versi, di ritmi e di bugie, dal petto sel– voso, dal capo ricciuto, delle labbra di– pinte di un minio che nemmeno lui, p:t– tore. riusciva e ripetere sulla tela. l\.'li sentii tremare il cuore; e il maggiore Hans impallidì, credendo che fossero le sue mani e comunicarmi quel brivido. Non ero nemmeno rientirata in casa che sentii il telefono squillare: ascoltai. alzando il ricevitore, sperando in un mes– saggio cifrato dei compagni, o, chissà perchè, dello stesso Manalo. Invece era lui, il magg-iore Hans, con la voce tre– mante ,il cuore in tumulto: l'avevo stre– gato. aveva bisogno di rivedermi. par– larmi, mi avrebbe aiutato. Andai all'ap– punte.mento in un caCCè del centro, al Dome, se ben ricordo, e fui gentile, finsi di credere o tutto quello che mi mor– morò, di accettare tutto quello che mi offriva per Fabrizio. Poi ml accompagnò In macchina a casa. Fu durante Il lungo percorso che par;ò seriamente: « Io vi amo, Sylvla, è inutile tacerlo più e lungo. Potrete ottenere tutto de me. Io sono molto potente. E voi avete la– sciato da tempo vostro merito. Mentre adorate vostro fratello. Non è cosi? Fa– brizio ~ un ragazzo unprudentc. E' nella Resistenza, s'intende. Tutti J ragazzi di cuore lovoreno nello Resistenze contro il tedesco invasore. Liberté, chère Uberté Come condannarlo? Vostro fratello sarà libero a un mio cenno. Anche domani In cambio, noi VI aiuteremo a dlventare « vedovo ». se cl date qualche Informa– zione. Oppure, bosterà che voi vi rechia– te nelle casa che ospita vostro marito . Che VI importa. di lui? Lo avete ebb.ln• donato, oo? VI tradiva. Era Inde gno d i vol. Invece io passerò la vita o! vostri piedi. Tenti Innocenti pegano, con la vita. la libertà di vostro marito. Tanlj frances di cuore. Cosi giovani. Ragazzi quasi. E lui, lo spagnolo senza patria, seguita a suonare la sua chitarra., a spog'liare mo• delle francesi, e dare ordini ai ragazzi francesi, che mettono bombe dovunque e assassinano i buoni tedeschi al mio co– mando. E' lui, il vero assassino. Manalo! Aiutateci -a prenderlo: riavrete vostro fratello, salverete centinaia di ragazZ1. E avrete me, Hans, per tutta la vila Sarete potente. onorata. '?-.1olte madr! francesi benediranno il vostro gesto», Ri!iutal piangendo. Che cosa avrei po• tuto dare, se non lacrime, in cambio del– la vergogna e del dolore che mi strazia• vano con artigli avvelenati? Consegnare Manolo in cambio di Fabrizio: o perder• li. forse, entrambi. insieme a tenti altri innocenti che, nell'attesa. avrebbero pa• gato per l'Inafferrabile Manalo? Corinne ml chiese, al ritorno, se rossi riuscita almeno a farmi dare un pac• chetto di sigarette. Oh si, ne avevo la borsetta. piena: le avevo comprate per Fabrizio, suo marito. Gliele buttai in fac– cia, sperando che esplodessero come bom• be. Come quelle bombe giustiriere di cui Hans mi aveva tento perlato. Tutta la notte, nel donniveglia ango– scioso, udii il rumore sgangherato di quc:– le bombe. E a quel rumore ne seguiva R. )t Dt Anttli'i morto di dolore o che si sarebbe sui– cidato. Gl. 1 ostaggi continuarono a essere fu– cilati. Anche Manolo pagò con la vita. E' da quel tempo che sorveglio Co– rinne. Poi nacque Jeen. Sl, sono la car– ceriera di mia cognata. Ho dimostrato di essere un'ottima spia. Mio fratello ama Corlnne: ml ha retto dono della v•ta. senza perdonarmi, e patto ch'io continui ad essere spia per tutta la vita. Mi ascolta ancora, Giovanni? Aspetta ancore i camosci? L·arrivo dei camosci? Ma non comprende che gl: ani– mali hanno paura del sangue che mac– chia le nostre mani di assassini? Che gli uomini non rispe,.ttano alcun petto. e tradiscono persino l'amore? Ci rifugiamo in queste solitudini di neve e o.rie azzurra, illudendoci di ab– bandonare in città i rimorsi o !e colpe. Ognuno di noi porta, invece, con se i! Domenico Cantatore: ~ Natura morta• un altro, di mitra: quello delle esecuzioni degli ostaggi. Gridavano in coro, i ragaz– zi fre.ncesi, alla scarica: « Vive In Fran– ce!». Anche il mio cuore gridava, in s1• lenzio, rispondeva all'infame proposta del maggiore Hans con quel grido. « E tout le reste est Htterat1tre, Giovan– ni. Un uomo contro un altro uomo, ecco tutto. Aveva già ucciso mio padre. Ora avrei continuato con mio fratello? Con la scuse. dell'amore? Avevo abbandonato Manalo da tempo, Ne ricordavo solo l'ac• cento, e le melodie della sua chitarra sp.J– gnola. n maggiore Hans mi telefonava tutti i giorni ,ogni sera, prima di andare a letto. Poi una sera mi disse che avrei potuto rivedere mio fratelle, senza por– mi condizioni. Un'ora d( felicità con Fabrizio. Gli con– fidai ogni cosa, la scelleratezza del pat– to, Ja tortura, le promesse. Egli ml rispo.5::! soltanto mettendosi il dito in croce sulle labbra. E invece io, come una sonnambuì.t, uscendo dal parlatorio, proseguii verso il solito ponte, lo oltrepassai, mi misi a guardare la nota casa, facendo segno c::>n le dita a che piano dovessero salire Hans e i suoi uomini. Quella notte udii soltanto suoni di chi– tarre, ossessionanti e lunghi, durati in gola, gemiti di viscere umane più che <li corde metalliche. Fabrizio mi svegliò con uno schiaf!n; mi martoriò con la sferze sino allo stre– mo delle forze. Io ebbi paura che sarebbe proprio scheletro, l'odore del sangue versato da un petto innocente. I camosci preferiranno morire di gelo, in libertà. accanto al loro cielo. Nessuno di noi crede più alle favole, Giovanni. E lei. l'unico, si? Non mi faccìa ridere. I ca– mosci non arriveranno. Hanno imparato a fuggire la ferocia dell'uomo». 1t Syl\'ia. ora debbo restituirle quel ba– cio che mi ha dato in sogno. Nessuno, più di lei. merita perdono. Ha troppo soUerto. E non ha tradito che se stessa. Manalo sarebbe morto in ogni caro. E lei ha sal– vato Fabrizio. lo ero della stessa parte della barricata, Sylvia. Non ho tradito nessuno. E ho salvato quanti ho potuto. Posso perdonarle non soltanto a nome mio. Abbiamo tutti bisogno di perdono. Non di– pietà: di perdono, E allora anche i camosci arriveranno. Dovranno credere di nuovo all'innocenza dell'uomo che ha tanto saHerto in nome della libertà >1. Corinne si affacciò, forse richiamata da una voce: « E' tardi. Sylvia. Non vieni a riposa– re? 11 l\la non era una danni gelosa a par· lare: al contrario. Né si meravigliò al ba– cio di Giovanni. Un b~cio sui capelli. Syl– via tese le mani all'uomo per l'addio. con un sorriso estatico. Erano beili quegli oc– chi al raggio di una sola lacrima. Corinne salutò Giovanni col gesto del– la mano. Si erano spente le luci. E il barman dor– miva: sognava l'arrivo dei camosci intor• no alla fontana gelata della piazza? R. 1\1. DE ANGELIS

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