la Fiera Letteraria - XII - n. 16 - 21 aprile 1957

Domenica 21 apr.ile 1957' t~ FTER~ tETTERi\RI~ Pag.. 3 E' CAMBIATOIL GUSTOD'INTENDERE E D'APPREZZARE DEL TRADURRE IN VERSO O IN PROS~i\_ * éonsertare il carattere di ciascun autore - come ammonì Leopardi. ,n moria ch'egli sia tutlo insieme forestiero e italiano Due recenti traduzioni in• prosa, delle Tragedie di Racine e delle Georgiche -di Virgilio (a r1speltiva egregia cura di Maria Ortiz per la collana dei Grandi. Classici stranieri. della Casa Sansoni e di Agostino Richelmy per la Nuova· col– lana di Poeti tradotti con testo a fronte d,ella Casa Eina,udi ), hanno rimo-sso e ravvivato in noi qualche osservazione jntorno ::il tradurre in prosa o in verso un'opera poetica: intorno cioè ai diffe– renti motivi che, di volta in volta: in– fluiscono sul criterio di scelta. relativa– mente al genere e aH'autore e· al secolo, nonché sul tipo di trad-uzione. più o meno filologicamente aderente alla let– tera e poeticamente fedele allo spirito del testo originale. * di R~ICll(;O li'A.L(tUI Cosi avrà ragione chi continuerà a nale. e Opere originali composte de' pen- ripetere che il traduttore in versi è un sieri altrui ,i: dconobbe il Leoparcti {Li. rivale e quello in prosa uno schiavo? baldone, 1, 289). Il che sembra eretico (Zukovskij: 1809. Cfr. V. Errante: Or- al Croce. e Come sopprimere ciò che è feo, Sansoni, Firenze. 1950.) Oggi in pur sempre nell'animo di chi traduce, vero si ha di quest'ultimo un concetto e a cui egli pur sempre si riferisce? Le migliore, quantunque non a lui com- oneste e modeste traduzioni debbono ri- peta riprodurre l'opera originale in un cardare e far desiderare gli originali: som.igliante sensibile organismo estetico per ciò sono traduzioni.> (Goethe, 145.) nel quale risulti assimilato ogni crit.i- Di conseguenza non dobbiamo aspettar- cismo. Oggi è cambiato il modo, il gusto cele dai poeti, in quanto essi, volendo d'intendere e d'apprezzare. E al mag- carpire il ritmo dello originale per tra- gior ossequio per il testo originale cor- sparlo in una diversa lingua, tendono risponde un maggiòre scrupolo nel- ad un'equivalenza e ad una nitidezza l'interpretarlo. Ogg'i si mira a bilanciare che non sempre comportano altrettanta gli svantaggi dell'estetismo (sempre in fedeltà. E le loro traduzioni sono sem- agguato nel poeticismo di w1a traduzio- pre delle e belle infedeli:,. La molteplicità -dei motivi e, di _pe– riodo in periodo. la costanza delle pr€– ferenze, fanno si che, senza infliggere al vocabolo e moda> un troppo esclu.t>ivo ingiusto significato sPrez.z.ante. puo dl– fermarsi che c·e una, moda anche nel}e traduzioni. Oggi, per esempio, essa por– ta• a dover registrare che, in tema di traduzioni da testi poetici si va am– pliando la tendenza a servirsi della prosa anzi eh(' del verso. ieratica e d'immediata suscettibilità del– le cose>, nonchè riaccordata all'c incon– tro di un'ingenuità quasi stupefatta:, (il pascoliano fanciullino) con una virile e quasi ironica esperienza dei vizi e del valore umano>. Ma, senza dubbio, nel ritrovare e riproporre Omero dopo i Li– rici greci, quel crudo oggettivismo dopo tanto raffinato ermetismo, c·era alcun– ché di polemico, in rispondenza ·col cam– biar del gusto e del bisogno; come del resto c'era già stato, da parte della Ro11da (settembre 1920) nel proporre le nobili traduzioni omeriche 111 prosa (Sandron. Palermo. 1919) d1 Nicola Fe. sta, al tempo della restaurazione morale e letteraria, susseguita .al Futurismo e allo prima Guerra mondiale. Ed era ed è una polemica in cui la peggio tocca sempre aJJ'Omero del Mon– ti. Che corr.isponderà magari perfetta– mente all'ideale neoclassico deUa gre– cità, ms. non ha niente da spartire col– l'Omero autentico. e Chi desideri una interpretazione diretta di Omero, l~gga Omero; o si affidi comunque a chi "lo aiuti a leggere Omero: e butti via il Monti,: così consiglia lo stesso Va.lgi– migli per il quale e la Itiade del Monti è vera e· grande poesia>. (1927. Cfr. La traduzione deH'c Iliade» nel volume an– tologico montiano dei (i Classici Rìccrnr– di ,: Milano-Napoli, 1953, pp. 4 e 15. Ma del Valgimigili cfr. anche Traduzioni. dall'antico in Carducci aUegro: Cap– pelli, Bologna, 1955). E sarà; ma non perciò noi butteremo via il Monti. Ci limiteremo a non tirarlo giù dallo scaf– fale quando vorremo rileggere un po' di Omero. Nella Hiad.e del Monti non è da gustare né da giudicare Omero, ben– sì Monti; con l'aggravante che, per il sentimento del suo poetare e per lo stile del suo tradurre, riesce vano il cercar cli stabilire qualsivoglia reale rispon– denza fra testo e rifacimento. ne versificata) coi vantaggi del filalo- Infedeltà che s'accentua di fronte ai gismo (sempre in serbo nel tecnicismo testi antichi: quando alla temerarietà Emilio Greco: "Ritratto di donna•• (quadro offerto per i colleghi esUli ungheresi) di una traduzione letterale). della traduzione poetica in sé s'aggiunge ,------------------------------ Ma le somiglianze delle espressioni quella di voler rinnovare e trasmettere e consistono semplicemente il\ ciò che si da un'età remota al tempo presente non chiama aria di famiglia. derivante dal- solo il pensiero ma l'accento e lo stile, le condizioni storiche in cui nascono le sempremai ineffabii, del testo originale. varie opere o dalle parentele d'anima Ne deriva infatti una duplicità di tra- degli artisti:,. Ed è sopra siffatte somi- duzione: dallo straniero e dall'antico; glianze che si fonda e la possibilità re- sia che la traduzione venga eseguita lativa delle traduzioni: non in quanto alla moderna oppure in arcaico. riproduzioni (che sarebbe vano tentare) E qui di nuovo ci soccorre il Leopar- delle medesime espressioni originali, ma di, con la sua somma esperiena. Leopar- in quanto produzioni di espressioni so- di assicura che la lingua italiana, e uni- miglianti e più o meno prossime a quel- ca fra le vive, può, nel tradurre, con- le. La traduzione, che si dice buona. è servare il carattere di ciascun autore in un·approssimazione. che ha valore ori- modo ch'egli sia tutto insieme forestiero ginale d'opera d'arte e può stare a sé•· e italiano. Nel che consiste 1a perfe- Così sentenziò Croce, una cinquantina zione ideale di una traduzione e del- d'anni addietro, nell'Esteaca (VI ediz., l'arte di tradurre>. e La piena e per- 82). E così tornò a ribadire, ogni volta fetta imitazione è ciò che costituisce che si r:ipresentò l'occasione, compresa !"'essenza della perfetta traduzione.> quella, nel '18, delle sue stesse piuttosto (Zibaldone, I, 1226, 1244.) Ma è mira- bruttine traàuzioni goethiane (Goetlte: colo di rado conseguibile: e il poeta Laterza, Bari, 1919, VIII-IX). Nè da stesso si trova nel contempo agevolato· allora la questione ha trovato imposta- e intralciato dalla sua natura di poeta, zioni teoriche differenti e migliori, pur più libera, più indipendente e insieme, se le soluzioni pratiche cercate sono sta- di necessità, più infedele, rispetto al te- te infinite. Ma ci limiteremo a due sto originale. Egli tende a interpretare Venticinque trent'anni fa, al tempo in cui - regnante Valéry e legiferante l'abbé Bremo?1d - trionfa-,,a la e Poesia pura> con tutti i suoi posttùati estetici e corollari tecnici, una traduzione in prosa deHe Tragedie di Racine, pur condotta con occhio vigile e con penna accorta, come quella fornitaci adesso dalla Ortiz, · avrebbe (giusta l'osserva– zione del Lugli: Mondo, 10 maggio 1955) e stupito e quasi scandalizzato>. D~i tanti volgarizza~enti raciniani sussegui– tisi dal Settecento al Novecento, due soli infatti (Bergallì: 1736: a·ernardi: 1939) sono in prosa; tutti gli altri, in Versi: dai martelliani rimat.1 a1 ~tte– nari e quinari raddoppiati. E siccome' il procedimento della Ortiz, luqgi dall'as– sociarsi ad esigenze snobistiche o dal soggiacere a intimidazioni polemiche., per poco che sia messo in relazione con le numerose buone _prove ana~oghe, vuol essere considerato come la riprova di un autentico e non casuale. non effimero mutamento di gusto, riesce spontaneo domandarsi in qua-i conto convenga te- nerlo. . . Ma la risposta rimane subordinata alla differente proveniènza e destinazione della traduzione. E, circa )'odierno pre– valel"é della prosa nelle traduzioni poe– tiche-è da ricordare ché, anni addietro, Cesare Pavese aveva esattainente avver·– tito come e il gusto del lettore moder– no. quando ricerca un· autore di cui ignori Ia· lingua. si compiaccia ormai sempre più della traduzione oggettiva, filologica, interlineare, se fosse possibi– le >; giacche e a ,noi gJi svolazzi. gli adattamenti. i travestimenti in un deter– minato costume e linguaggiq poetico. rie- - scono oggi intollerabili:,. Rifacimento: ecco il termine che ser– ve a contraddistinguere e a valutare con esattezza il tipo di traduzione praticato dai ·poeti. E proprio il Leopardi dei lim– pidi rifacimenti dal greco lasciò anno– tato, nello Zibaldone, che e la perfe– zion della traduzione consiste in questo che l'autore non sia per esempio greco in italiano ... ma tale in italiano ... quale egli è · in greco» (Zibaldo11e; Flora. I. 1311). Ed è perfezione cui solo, pertan– to. può accostarsi un poeta: rifacend"O. esempi. e a ricreare; 11011 a introdurre e a spie- Particolarmente probante si conserva gare. infatti quello documentato dall'Anèeschi Del resto - come osservò Pavese, che nella raccolta d;r.Poeti antich~ e moderni era interessato anche in proprio all'in- tradottt dai Lirici nuovi ( Balcone, Mila- dagine di certi problemi - ogni tradu- no, 1945), intesa, attraverso interpreta- zione, in verso o in prosa, è e una messa zioni-rifacimenti. a cogliere •e il passato in scena che adatta un testo perlomeno nella sua realtà di passato> e nel suo a un nuovo clima verbale e lo colloca in e largo• e mosso consentire con iJ pre- un gioco di riflessi e di richiami, di so- sente :,_ Né altri meglio di quei Lirici praggiunte oscurità e insospettate pos- poteva riuscirvi, nati com'erano e in sibilità ò'echi, che è sempre un trave- que,lla cultura, tra il 1919 e iJ 1939, che stimento >. E giusto di e travestimento>, in Europa fu dominata dall'idea mag- a ·proposito de-1 tradurre, aveva parlato ricreando. · T.radurre in poesia significa infatti vo– I~r creare degli equivalenti, quantunque inevitabilmente diversi. Ed essendo im– presa da poeti. ai poeti riesce meg.Jio; fino a rendere giustificabili le libertà e le licenze che essi si prendono ma che 'tuttavia esigono, per esser lecite, con– geniali ragioni di esperienza e di tecni– ca, di lingua e di fantasia. Virtù tali che, quando pervengono ad una nuova immagine e ad una nuova armonia, tra– mutano in una sorta di imitazione quel temerario tradurre in poesia; e ce lo rivelano per quello che è: un omaggio da poeta a poeta, da lingua a lingua. specia'lrne·nte se il testo originale finis.ce col diventare, nella traduzio1re, quasi una fo!lte cli ispirazione per una nuova poesia. giore di un .Jluov.o classicismo> e che il Pascoli ai suoi scolari di Pisa, nella ~~!~~.nse -allora la realtà di una lirica ~;~~us~y 1 :e s~:i\to~~03~nii~~si~~~~;J~r1~ L'occasione era stata offerta, allora, da una nuova traduzione dell'Iliade (a · cura della Calz:ecchi-Onesti: Einaudi. Torino, 1950) volutamente emanci.pata dagli schemi nepclassici e parnassiano– decadenti ma in compenso riavvicinata all'c-arcaico. impasto di rigidezza quasi Ben· diverso, confuso e discorde, fu una veste nuova, anzi che travestirlo. invece il risultato raggiunto dall'Erran- P2scoli raccomandava di conservare e la te con la raccolta Orfeo, a causa dei stessa proporzione che è nel testo, del turgidi impulsi lirici e delle smence ra- pensiero con Ja forma, dell'anima col gioni critiche che Io impegnarono (a parte corpo, del di dentro col di fuori >;\rac- 0 circostante caos della silloge) in tra- comandava di svecchiare quello che duzioni ultrapoetiche, quasi tutte ripor- e nella nostra lingua pareva morto•• tabili a un comune denominatore dan- trovando e quasi creando e qualcosa che nunzianeg'giante. nella nostra letteratura non è ancora>. Eppure non è da sottovalutare rarric- Ma ciò avviene di rado, e sempre ad chimento di pensieri e di forme che, se opera di poeti; né risulta troppo rispon- ben realizzata, una traduzione in verso d~nte a_l,g~ st0 d'oggi. (La mia_ sctt:ola può costituire per la nuova lingua in d umamta, m Prose [Mondador1, Mila- cui .è conSeguita, specialmente quando \ no, l946], I, 24 7 .) ad eseguirla è un poeta e può quindi tra- ENRICO FALQUI sformarla in· un componimento erigi- {Continua In 6. pagina) CRONACHE DEL * PIACERE IL FREDDO ALLA ·SCHIENA L'ultima volta che ho rivisto Charlot è stato lo annò scorso all'Arena di Milano. una sera di fine agosto gjà fredda. Nel cinema all'aperto,. povero e popolare, sedevamo sulle gradinate ove una volta sta– vamo in ,piedi a vedere Meazza. Lo schermo piantato in mezzo al .prato era mosso da quel vento fuon sta– gione che ci faceva stringere nei panni. Mi trovai ·a dire all'amico vicino ch'era proprio un'• aria al!a Charlot >. Una vaga timida nebbia pioveva dagli a i– beri del Parco sulFanello napoleonico. Sembrava di essere in una perif-ena senza rumore. S'udiva a volte soltanto · il •ronzio della macchina di proiezione in quelle pause deserte in· CUi anche Mpnsieur Verdoux stava solo col suo silenzio. Gli spettatori intorno si lasciavano· vedere in penombre., suj loro voi ti il sor– riso noù riusciva a prendere, si fermava agli angoli della bocca, correva come un impr:ovviso sudore alie tempie ove si ferfnava, anche gli occhi rimanevano sospesi. Credevano fosse il caldo del-la stagione che in pieno agosto, dopo tutto, era al suo tempo, e 'll– largava.no giacche e scialli, di fortuna per stringerli subito dopo in fretta.' Cercavano di star comodi, sco– standosi e avvicinandosi ai propri vicini. Un padre s'alzò persin'o a chiamare forte il figlio che se ne stava attaccato ai cancelli per vèder meglio, tùlti si volta– rono di scatto senza zittirlo. Ma non era solo l'aria . del preéoce autunno. Era Cbarlot che tornava nel cuore de!la sua vecchia Europa in una fredda net.te d'agosto. E io dicevo all'amico che questo era Charlot, un impaziente spietato che compiva sino in fondo il suo dovere, fingendo di pensare per noi quanto aveva gi.i: pronto in testa. La sua memoria. poteva essere. o era, il tempo fra due istantanee. un tempo eterno e fui– mineo, l'infinito che è un'idea e uno sguardo soltanto. il gesto che sj ripete invisibile e ricade su se stesso come la musica; un sospetto• sempre, una destrezza che lo lasciava pulito e iJleso. La pasticceria degli imbrog.li montati a prova delia sempl:cità in;isoria d. scioglierne il nodo. di ritmi per un attimo perduti e arrot.olail su se stessi come le molle rotte, di rabbuffi ~ -; e sè goduti con smanceria. si disperdeva a un scifflo. qµas: allo -sca 1 dere di un'ora fissa e la vita viva crollava nelle sue stesse ceneri ed era morte per u:1 ·istante, poi nemmeno morie: pulizia soltanto, tabula rasa, avvio d'un nuovo pensiero. di un nuovo orario * d i A I, FON SO - G A T 'I' O che sta per scadere. Il preseqtìmento vive d'anticipo sul sentimento, l'attesa sul fatto, la psicologia sulla morale: ma sono tutte probabilità calcolate con eStrema fiducia nell'errore che ne decide la storia e ne concludè il raggiro. L'uomo uscito dalla terra di Amleto ba sciolto il problema dell'essere e del non essere in un'ubiquità controllata direi ferroviaria che è fatta per disarmare e per sconcertare anche D10, in un alibi perenne .in fondo al quale c'è l'amara spe– ranza della bontà come di una paralisi che ferma tutto, anche il pensiero. Non per nulla la moglie di Monsieur Verdoux se ne sta Immobile sulla sedia a ruote a rappresentare l'impos.c;lbile idillio del suo uomo che non riesce più a fermarsi ed accelera la pro– pria .impazienza da fei:;mo nell'idea che già lo pre– cede, nel delitto che quasi si consuma da solo. Lui correrà soltanto•a sparecchiarlo, a disarmarlo, a ve– derlo fallire per la meticolosità stessa con cui lo prepara e se ne sta ad a.§pettarlo, lasciando in noi il vero il grande terrore, che un uomo così flagrante– mente sconfitto dal caso è un uomo che ha in mano la sicurezza dei propri errori e gioca con essi la sua suprema virtù patetica. Questo •patetico» ci dà il freddo alla schiena, è il vento che muov_e lo schermo di tela piantato sol prato della povera Arena. Il messaggio apparente di Charlot è una oen po– vera cosa, quanto il suo sentimentalismo cosiddetto poetico. Ma dove sono questo messaggio e questo sentimentalismo, se non nelle parole che gli hanno fatto dire gli altri, prima come adulatori e poi come provocatori? I suoi adulatori sono .stati i crepusco– lari e i primitivi usciti dalla manica dl Wilson e dì Rousseau, gli, angeli populisti delle periferie, gli uo– mini corrott.: che insegnano I-a pietà agli innocenti. I suoi provocatori sono stati Hitler e Mussolini e insieme gli automi di un mondo che vuole aver sem– pre ragione non conosce errori e verità, ma soltanto sconfitte e vittorie. Lui, Charfot. è muto inesorabile come la pace, come le. morte e da sè, in sè, per sè. contro di sè, è il demone di quella estemporanea ubiquità dell'uomo che fugge la sua maledizione. in– contrandola sempre in faccia,· trovando in essa la fìgura dei propri pensieri, la forma delle propne ma– .ni, una perenne identità d'att!mi eterni e tutti soli come son soli i battìti del cuore. Non possiamo che commuoverci, non possiamo che raggiungere le cose. ferirle, spiccandole nel segno deHa loro netteZ?.a e della loro impenetrabilità, non possiamo che diffidare le idee che ci precedono in bianco come cambfali che altrj segneranno di cifre e di scadenza, non possiamo ohe sperare .nella paralisi del nostro pensiero esplica– tare ed esplicito per implicarci come vecchi • fisici")> nei limiti, nella graz:i.a e nella prigione dei nostri gesti e dei nostri movimenti, sentendoci di nuovo re– gola ed eccezione, conferma e smentita d'una legge. Così soltanto litrovefemo il teatro della nostra soli– tudine e della nostra perenne intransitività, l'estrema mimica e l'ineffabHe ironia dell'appartenerci, dello amarci, del fuggirci e del rimaner sempre con no:, con un'idea sempre inperfetta della nostra identità. Charlot ha rotto tutti gli specchi. La sua vanità è una mano moltiplicata fino all'ossessione che cancella tutti i segni che traccia. Il cinema per Charlot nasce a questo punto, è il diagramma di un ritmo, il ritratto di un'ombra che s; scompone per estreme trasparenze restando opaca come la nebbia e ·attingendo, sempre estranea a se, la ultima radiosità del proprio squallore. Il freddo della sua suprema virtù ·patetica - il più inconsolab:le della nostra vita d'oggi - è nella trag:ica coscienza che tutto il bene che riusciamo a fare è soltanto iì frutto dei nostri errori. Siamo tutti carnefici che man– cano agli appuntamenti con la vittima per il neces– sario disguido che dovrà portare noi stessi a esser,:, vittime un'altra volta. Ricordiamo « Il monello», la neve, gli angeli p;ù grandi delle case su cui planano dolcemente: ricor– diamo la masche,ra del tubino, delle ciabatte, dei du.e occhi a virgola. del bambù tracciato in fretta col suo tremarella: ricordiamo gh orizzonti della sconso– lata silhou.ette. No, non sono mesti paradisi crepu– scolari. favole edificanlj del nostro vivere quotidiano, non sono angeli custodi. Questi lasciateli a Capra. E restituite a Clair la satira cocotte del suo cha11so11. riier filmato. Quella di Charlot è l'innocenza scate– nata dell'µomo che cerca gli aspetti ostili e freddi dell'ironia di Dio e che parla con Rimbaud lo stesso linguaggio della vita: « Je voi~. la suite! Ma saggesse est aussi dédaignée que le chaos. Qu'est mon néant auprès de la stupeur qui vous attend »? Il suo dovere gli è condonato. Comincia, semmai. il nostro. di spet– tatori. Rimbaud ci raccomanda: '\Niente cominissioni~. • ALFONSO GATTO POETI STRANIERI DEL NOVECENTO * .JORGE GUILL-ÉN « armonia dell' i nsien1e >> .. cli GIORGIO CAPRO/I I Per una copertina rossa come il Dia– volo (il quale, secondo Gide che non ci crede, ha sempre la meglio) finiremo con l'apparire segreti agenti pubblicitari di Vanni Scheiwiller? Sarebbe dopotut– to un titolo di più, fra i pochi e mode– stissimi che abbiamo; ma ·il fatto è che, oltre a non aver saputo resistere a quel luciferino colore (e al titolo più luci– ferino ancora di Luzbet desconcertado: traducibile pressappoco, secondo il Pre– fatore; con l;ucifero e in disarmonia col creato :,, e fuori del cQncerto della vita e dell'universo>) non é nientaffatto no– stra la colpa se proprio a Scbeiwiller (sempre All'Insegna del Pesce d'Oro) si devono alcune delle più gradevoli iniziative in fatto di po,esia; come· que– st'ultima, che ogni buon cronista non può tacere, apparsa e sotto il motto cir– colare ungarettiano di C'est 'ici que l'on prend le bateaw,. Si tratta, per esser precisi, d'una col– lana di testi inediti o rari di poeti stra– nieri del '900 raccolti da Renato Pog– gioli (della quale tutt9 ci piace, meno l'ibrido titolo di Bateau book), il cui N. 1 - appun.to Lu.zbel desconcertado, di J orge Guillèn - e apparso in questi giorni, anche se retrodatato al 31 dicem– bre del '56. e Questa. collana - dice l'editore - farà seguire alla primizia di Guillén e alla raccolta inedita di Salinas, Volverse sombra (di prossima pubblicazione), te– sti in inglese, francese, tedesco, rus_ so, ecc., se - aggiunge - i pochi "tifo– si" della poesia in Italia e fuori sapran– no mantenere a galla queste fragili bar– chette di carta, che sono i buoni libri di poesia>. . Il carattere aristocratico della colla– na è evidente (e Nous savons que nous serons com.pris d'un petit nombre, mai.s cela nous suffit >), ma forse e più evi– dente e commovente ancora, appunto per tale forzato carattere, la raccomanda– zione al buon cuore, che una volta di più viene a t.estimoniare con quale de– sperati.o non fid·uciaUs, e con quali pra– tiche speculazioni, un editore si accinga oggi a pubblicare testi di poesia. E che testi, aggiungiamo subito, se tutti riuscirari.no a mantenersi alla .pari con questo di Guillén, interessante non soltanto perchè di Guillén, ma perché d'un Guillén in c~r-to senso nuovo,• in quanto appartenente a una nuova sta– gione del poeta ormai Sessantaquattren– ne, per nulla piegato alla compiaciuta ripetizione (legittima, dopotutto, da par– te di chi ha già saputo raggiungere tan– ta altezza) dei motivi inesauribili del proprio Càntico. Il presente poemetto infatti - ci in– forma Renato Poggioli nella sua Prefa– zione - non è che la prima serie com– piuta (che sta per apparire in Argenti– na, col sottotitolo di Maremàgnum, ter– mine che in castigliano significa accoz– zo, caos, pandemonio) d'una vasta opera in cot'So intitolata Clamor, intorno alla , quale ora Guillén - sono sempre pa– rqle di Poggioli - sta consacrando i"I verde autunno ,dei suoi anni, dopo aver dedicato la primavera e l'estate della sua vita a Càntico, unico libro apparso in quattro epoche diverse, in volumi di varia mole e str:uttura. e Mentre Cdntico - scrive ancora Poggioli - è una delle più lucide e ori– ginali varianti del modo lirico, quale è stato sentito e svolto dalla poesia mo– derna, Clamor · intende riprendere in nuove interpretazionk e sviluppi modi più solidi e fermi, dal" drammatico al narrativo, dallo gnomico al satirico>. « Tecnicamente il poemetto> (Luzbel desco,icertado, che di Olamor forma, come abbiamo detto. la prima sene) e non è· che un monologo del protago– nista> (il Diavolo), e brevemente inter– rotto da un dialogo di pochi e astratti personaggi>. -c Guillen riprende l'antica idea che il demonio è l'incarnazione, o l'ipostasi. del principio di negazione: a cui, con vivace originalità, dà un'i-nterpretazione simbolica d'indole estetica e letteraria. e Luzbel, come lo lago di Shakespeare, non è che un critico, che non ama né intende l'opera altrui. e 'che anzi la condanna, in nome della propria inC"a– pacità, o non volontà, di creare ... >. e La chiave del poemetto va trovata in quelle serie identiche e parallele di monosillabi che l'aprono e lo conchiu– dono, rispettivamente composte dal più "odioso"' fra i pronomi, e dalla più ne– gativa di tutte- le partico?lle: 110-yo, no-no ... >. e E'· evidente - dice ancora Pugg1oh - che per quanto cerchi di compren– dere il proprio personaggio. il poeta v1 s'oppone il più compiutamente possi– bile, proprio perché si rifiuta di cre– dere, quasi fosse una bestemmia, a quel– la che Valéry, il suo grande maestro francese, chiamò una volta la purete du non-étre >. Siamo dunque nella più alta sfera della più alta ~poesia, e D10 ci liberi dalla tentazione di voler spiegare con altre parole (e, con l'unica penna che abbiamo) ciò che Renato Poggiolt. cosi cristallinamente, ha già spiegato nella sua impeccabile didascalia. Ma maledet– tamente pettegoli come siamo (e timo– rosi, in poesia. più delle astrazioni che del diavolo in carne e ossa). Dio do– vrebbe pur liberarci dalla tentazione, che è forte, di cedere alle nostre povere emozioni di lettori. rimasti per un atti– mo col fiato sospeso sulla soglia di que– sto poemetto: quasi col capogiro di chi - un pie' sull'ardo d'un precipizio - teme di capitombolarè da un momento all'altro nel vuoto. (Nell-a rarefazione, appunto, d"una p"oesia interamente men– tale). Colmo il cuore delle .consuete armo– nie affermative di Guillén (Oh luna! quanto abril! I Qué vasto y dutcis el aire! I Todo lo que perdi I vo_lverà con ias aves, I Sl, con Lasauecillas I que en coro de alborada , pian y pian, pian I Sin designio de gracia ...). e abbracciati a questo Guilléi, forse di comodo e forse troppo confidenzialmente amato (e con un alma in.mediata, si, visìble, total ,, e in-ventor de distancia-s >, e libertad de la l-uz>), la uostra piccola cavalcatura sconcertata (ma questa volta non in puro senso etimologico), come prendeva ombra di fronte al primo sospetto in cui aveva inciampato: quello appunto d'un altro Guillén (d 1 un Guillén addi– rittura capovolto nella negazione), e per di più irretito, con inevitabile danno, in un prefabbricato schema compositivo. Ma mosso il primo passo nella lettu– ~a. la quale ha subito decapitato il pre– giudizio, ecco che abbiamo invece sco– perto (prendendo alacre 11 trotto) un Guillen altrettantu affermativo e libero nel e rigido disegno:,, e con una va– rietà e allegria di movimenti - in tutti e sette i tempi della composizione -, tale non soltanto da confermarci la non esausta forza inventiva di questo ~'lae– stro (nei ritmi. nei suoni. nelle caden– ze), ma addirittura da assumere ì1 va– lore d'una lezione. non certo d1 poco peso nel particolare momento in cui vie– ne offerta: la possibilità. che Il poemetto ci testimonia, di uscire alfine dal' troppo frammentismo (oggi. forse. più morale che estetico) in cui ar.cora si sfuma molta odierna poesia. Anche se Guillén --:-. è inutile dirlo - rimane . .sempre, p1u dalla parte di Valéry che non da quella di Apollinaire. il che tuttavia non gli impedisce - così poco idolatra co– m'è - i più ardimentosi innesti di prosa (e perfino di certe battute da vecchio palcoscenico. efficaci nella loro forza iro– nica) che non guastano, ma anzi accre– scono. e l'armonia dell'insieme:,. ·C'est ici que /'on prend le bareau. E' da opere come queste che si può pren– dere !'aire per disimpigliarci dalle ama– bili secche, e dalle dolci e soffici nebbie. E il verso con cui Giuseppe Unoaretti chiudeva l'Allegria di Naufragi Ci'f qua– le, preso ad insegna. e più che un au- . gurio per l'iniziativa internazionale rea– lizzata in Italia. vuole es....~re un dove– roso .omaggio al poeta e maestro ita– liano>) perderà del tutto ogni ecceden– za di s.ignificato attribuitagli dalla ridu– zione sottilmente pubblicitaria. se dav– vero i testi successivi (e l'autorità di Renato Poggioli, pilota della flottiglia • rende retorico il dubbio) riusciranno a preqdere il largo col buon vento di questo. GIORGIO CAPRONI

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