la Fiera Letteraria - XI - n. 39 - 30 settembre 1956

Domenica 30 settembre 1956 * Pubblicando il raccon- to « Rafaniello n, tratto dalla raccolta « Storie di pae-,e », e l'altro brano inedito dal racconto «Ta– ta Marchetto», pensiamo di ricordare nel mcdo più significativo e diretto - e cioè attraverso il vigo– re delle sue pagine - la figura di Lina Pietraval– le, scrittrice recentemen– te scomparsa. * Non dirò una cosa esagerata se guar– dando indietro io vedo rappresentati ta– luni periodi della mia vita dai modesti animali domestici. animali che hanno vis– suto confusamente alle altre cose. come i piccoli frammenti di vetro comuni che spesso vediamo sr:lendere sui mantelli sfarzosi dei prati. o sulla strade assolale o sulle spiaggic iridiscenti. Quand·ero ragazza e sposa. ingenua e gialla di capelli come un fior di zucca, del tempo pa saio coi miei buoni suoceri in un piccolo e scabro villaggio di meditativi pastori molisani, non ricordo che il prode « ciuccio Rafaniello » con quella sua aria di « meninpippo patria », e certi so! che facevano scottare l'aria fredda e sottile della montagna tant'erano incendiari. Si piantava, pe.r inna1zare questi fa1nosi sol, dietro una certa siepe di boschi neri e di rosmarini chiari e arguti che aprivano il passo alla strada. pettoruto e gallonato di briglie bellissime, e scuotendo un fiero pennacchio rosso e blu nel mezzo della fronte rispondeva c!1e del carretto non se ne parlava e del carrozzino nemmeno; quanto a chiamarlo con la frusta da lon– tano lui la considerava semplicemente una fanfaronata del suo collerico padrone. lo eccellente mio suocero Don Diego. Dietro alla siepe lui stava cucinando piselli e fa– ve. poi alzando il muso c'era ancora da crocchiare ceste piccole mele vivaci e chiacchierine. appollaiale sui rami bassi del melo, e infine, ben satollo, doveva stendersi sul prato, avvoltolarsi sull'erba alta ed asciutta e poetare con la pancia in aria, voluttuosamente stesa al pio sole di settembre. Niente fatica, niente dovere, niente padroni che urlano e minacciano, tutte cose che il ciuccio « Rafaniello ha in non cale cale » e delle quali a lui impor– ta un solennissimo fico. Eh si. io vi assicuro che gli si leggeva– no in fronte. questi ragionamenti, a com– pare RafanielJo, ed io li scrivo perchè lPa me e lui c·era un'intesa allora, lui di far la commedia ed io dalla finestra o sul– lo scalo del portoncino a ridere. aizzando le sue intemperanze e ribellioni a una ri– scossa sempre più generosa e stupefacente. Dunque Rafaniello, non appena mi sen– tiva a ridere co1ninciava a riempire d>aria le narici e poi a mandarla fuori con un suono di trombetta. quindi mentre il gar– zone gli corre,·a attorno col morso in una mano e nell'altra un bellissimo nerbo di bue, eccolo a trottare in tondo come se fosse al circo, poi s'infilava nella stalla poi ricompariva in un viottolino sinistro che sbucava sul greto del fiume. e accom-– pagnato da ih oh sperticati saltava alle– gramente siepi e muretti. finchè gettan– dosi s•Jl prato. sl:acco e lussurioso, lan– ciava le zampe in aria pronte a far par– tire certi argomenti saldi, robusti e pepati se avessero osato ancora oltraggiarlo e annoiarlo. Tutti correvano e minaccia· vano, ma alla larga in verità, il garzone lo prendeva a pietrate, mia suocera lo chiamava « pelle di tamburo e maledetto; quanto a mi, suocero l'apostrofava pres– so a poco così: - Alzati, Rafaniello, che li spacco con l'accetta e spaccato ti metto al carozzino. Don Diego s'avanzava. incespicando verso Rafaniello, malfermo e feroce per– chè le malattie avevano frustrato la sua gigantesca figura solamente nelle gambe. ma la faccia è terribile, il naso scoppiava di rosso e nella bocca una certa smorfia gli fa tremare il labbro secco e veemente scoprendo una dentatura di vecchio ma– stino. - Mamma veni - invocava allora il mio bambinello, guardando in su verso la finestra da dove io mi sporgevo. nascon– dendo la più saporita risata col fazzoletto - mamma veni. ho parura, ha parura. - Rosina - grido ia alla balia - por- tatemi il bambino. Rosina detta « la romana » col viso ne– ro e il capo unto d·una formica, era nelle buone grazie di mio suocero e cercava di calmarlo: - Don Diego, lo lasci perde', essì bono, don Diego. Ma mio suocero che non ama le confi– denze ringhia: - Dov·è, Norema? - e fischia dai bù– chi del florido naso come un serpente. Ma LA FIERA I.ETTERARTA ilARRATORI DELLA <<FIERA LETTERARI.A» * B -A F A N I E L L O B acco11,to tli * LlilTA PIETRAJtALLE io a,·evo già cambiato finestra e stavo proprio alla sua terga e dirimpetto all'or– to dove Rafanicllo compiva le sue evolu– luzioni a pancia in aria, tetragono e spu– dorlto. sbirciando la scena coi suoi ciglio– ni ubriachi. Mio suocero e il garzone an1mannisco– no lunghe pertiche e cominciano a pio– vere le bastonate del potentissimo don Diego. Lui le riceve seduto o sdraiato, of– frendo il petto alla mitraglia, dando ogni tan lo un maestoso calcio e destra e uno a sinistra, e continuava a fare il lazzaro· ne sbracato che si cuoce sotto il sole .. ri· gato di sangue e stracciato di pelle come un eroe. Lui non cede la sue filosofie, lui sta bene cosi a rosicchiar torsoli di mele, e non lo interessano nè gli « essi bono ll della romana. nè le inique allusioni alla sua famiglia di quel rodomonte di don Diego, e nemmeno le punzature delle per– tiche: no ... - Dagli. dagli Rafaniello - urlo io dalla finestra felice. - Quanto sei simpatico! - Sotto Rafaniello! E lui con la bava spessa e luccicante che cade a terra a lembi come un sulta– no annoiato, si voltava di profilo e mi fa l'occhietto. perchè capisce che anch'io sono una compagna di lavori forzati e divido le suP. idee sull'onesta fatica, la moderazione e la pazienza e l'esser com– pagna dell'uomo, ma la sorte mi ha negato quei bellissimi quattro zoccoli e la forza di springar alto le piote e usar la coda a frusta. Intanto mio suocero urla il suo truculento: - Ma sangue di ... dov'è Nòrema? - ed io gli irispomivo con voce querula dal– l'alto: - Eccomi: ch<è'volete Papà? - O!1e volete Papà? - Scendi e vieni da questo vituperio! Non vuole att;:ccare e se più mi fa infru– stichire, questa è la volta che lo sparo! Eccomi a scendere, col sembiante della gentile e casta sposa ,timoreccia e casa– linga e le guance arrostite fino agli occhi per il gran ridere. - Che ti è successo? - Niente, dormivo. Mia suocera poverina, con gli occhiali da presbite sulla punta del naso furbo e segaligno mi incoraggiava: - Lo viziasti. bella di mamma. e vacci tu se no oggi è l'ultimo di questo sforca– to di Rafanrello. Mai vidi Diego cosi. Io mi avvicinavo a un certo stipo pie– no di leccornie e prendevo una manciata di confetti. Poi anelavo da Rafaniello e gli dicevo una paroletta all'orecchio. Lui si rialzava. col muso fremente nella mia mano, e crocchiando i confetti, con l!i\T ringhi sommessi si faceva attaccare alla carozzella di Castellamare, elegantuccia ed azzimata, che aspettava Lì accanto con le sue stanghe sottili e storte che Rafa– niello aveva tante volte rotte. Bardato di ar~nlo, celeberrimo e pomposo, ecco Ra– faniello, come un re selvaggio in catene a trascinar la carrozzina con dietro me e mio suocero, facendola ballonzolare, lric– chettare e saltellare che pare abbia be– vuto e preso 1·oppio. Non appena poi passava una somara, , ecchia e coi denti gialli, o giovane con la testolina arruflala e i fianchi acerbi, ecco Rafaniello sullE: orme della disgra– ziata a troncarle i passi. Quindi si fer– mava a bere, scuotendo i sonagli e spaz– zolando col ciuffo gli asini musoni e le povere asine bigotte che si scostavano melanconiche, senza capir nulla delle sue provocazioni. Poi Rafaniello riprendeva il cammino. Le nerbate di Don Diego lo ì\'lario Russo: ••Sedia con ombrello" fanno sempre più ghirib'lzzoso e allegro, e la gaia carrozzella di Castellamare pa– reva un grillo sulle pietre della strada. Mio suocero si stende tutto, per mena,– gliele a ,, scorciapelle », come diceva lui, e bestemmi:i come un turco. E io: - Ma papà, lasciate stare i santi. E lui: - Se ci sono c-!1emi rompano le corna. E io: - Ci sono e ve ne pentirete. ln.anto Rafaniello ha rotto le tirelle e m :o suocero, rosso e apoplettico. scende dal carrozzino a riaccomodare. Si usava– no le gonne s,rette e io devo saltare sul– la strada a piè pari. Allora grido a Ra· faniello: - Statti fermo. compare! E lw scucle un orecchio e punta i gar– retti come un soldato sull'attenti. - La faccia òel venninaro! - os rva mio suocero. - Gli piacciono le donne cortesi, le ciambel1e e i confetti. Intanto l'autunno sui monti era decli– nato rapidan1ente; l'aria pareva cenere soffiata. appena e le montagne s'erano fatte tetre e solenni con i corvi blu e neri che gracchiavano passando dispera– zione e vendetta. Piccole e smorte farfal– line venivano a scaldarsi intorno al muso caloroso di Rafanicllo immobile che s'in– ginocchiava piamente e guardava il cie– lo, patetico e taciturno, annusando l'aria d'attorno, con le narici spesse piene di mortificazione e di nostalgia. L'aspro vento dele prime gelature get– tava intorno a llu a mucchi le foglioline arrossite del melo e lui, così ignor~nte e senza poesia, capiva che quel cric cric blando era l'annunzio della fine, era lo addio. Mio povero Rafaniello! E' arri– vato per lui il cosicietto regno della giu– stizia umana e l'uomo carnefice, truce e mercatante avaro lo aveva già proces– sato e condannato. Addio. buon Rafa– niello! Mio suocero molto amava, nella sua rude maniera, me e il bambino, e aveva deciso di rianimare la sua frusta esisten– za nella calda vita della nostra piccola famiglia, riunendosi con noi a Roma. Tutti insieme dunque. E Rafaniello? Dove gettare questo sciagurato che man– giava per dieci e lavorava come un po– tente sultano. soffocato adipe fino agli occhi? Mio marito che era venuto a rile– vare il carico familiare per il trasbordo Roma. spinto da me, s·occupò generosa· menle di Rafaniello, ma nemmeno uno ci cascò. anche pagato. Costui era un assassino di somaro, uno scialacquatore, un donnaiolo pernicioso. Biase il garzone, ci aveva perduto due cienti. una somara inseguila aveva figliato per la paura anzitempo ed era morta. Sfondava i muri coi calci e spezzava le stanghe come zolfanelli, senza conta– re che papparsi un orto per lui era zero. Persino il grano giovane della Santa Pasqua del curato, in un momento di BHA1\ O DA l]J\T RACCOi\lTO li\TEDITO * '' Tata Marchetto '' Tata Marchetto stava a. impa.g!ilire una sedia. perchè questo era. il suo poverissi– mo mestiere. Venne giù, più stinto e lo goro che m a.i, perchè da. quando se n'era. sca.ppa.ta sua. figlia., viveva. sempre dentro, c ome una mosca. schiacciata. contro il muro che al– lunga. di tanto in tanto l e due a11te nne tremule che non furono fra.ccissa.te ma stan !i. sempre lì. - Che volessi. compare? ... - Téccoti li portagal!i, e teccoti il por- toga.!!o. Te lo mmida figlieta. Dolorata.. Mare/tetto guardò nei giornali: - E che è? Non capiva. Poi capi, si strappò tre o quattro peli sulla. fronte, si tirò una orecchia e si fece sbucciare via l'orecchino. Ahiemé! Ahiemé Come faccio ? E col pacco dei gio rno.ti bagnati in braccio, si mise a urlare c ome un lupo perseguitato nella. sua tana.: - Malandrina! Cuore di cicuta! Passa via.! Passa. via! • • • Il bambino si fece grandetto, si chiamo Ma.reo, Ma.reuccio e poi siccome era cre– sciuto di stenti gli rimase un pezzetto solo del .mo nome e si cltiamò Cticcio. Pareva difatti uno di quei cuccioli bas– sotti bastardi che ridono da un occhio e piangono dall'altro. Era peloso come una bestiola e aveva il pel di carota. come il nonno. Tata. Mar– chetto lo aveva pressochè allattato, cu– stodito, cresciuto. Egli lo chiamava « Tatillo • clte vuol dire « piccolo nonno• e qualche volta • papà grosso•. Ma il nonno si imper– maliva. Pa.parò, mi scappa il sonno. - Pa.parò, mi scappa la. fame. - Voltati vicino a! muro - risponde- va papa.rosso - che io ti darà l'educa– zione con la mazza. se tu mi chiami cosi. Si, mazza. Nei momenti più tragici, quando Cuccio aveva la verminata dei capricci e dei dispetti egli strillava: - Tu sei il demonio scatenato! Tu sei la trappola mia! Adesso ci pe1iso io ... sca.lpittava, piangeva. e a Tata. Marchetto gridava: - Pagami le mie giornate che me ne va.do! Tatillo scimunito, Ta.tiUo ma.la. – me nte! Avete capito? Scimunito. ma la– mente a lui che s'era spremuto come un Limone per questo tristanzuolo, e usciva di notte per andare cercando la. Limo– sina del latte dal!e femmine pietose ..... E s'era messo come un tra.pano 11el cervello dei vicini per cantargli la ni,ina nanna che sapeva. lui: - Zu. zu zu. Com·a te ngi stà nisù ... (Come te non ci sta nessuno). - Scioglimi, scioglimi - pregava al– lora C uccio pentito - che ti voglio cer– ca.re pace, TatiUo mio/ Che non lo fa– c io p iù ..... Tati!lo lo scioglieva, col cuore fracido di pianto, e si chiamava dentro di sé: • pessimo legume •· per poter seviziare così un povero bambino innocente. Gli puliva i! naso, gli lavava la faccia. Cuccio gli si abbarb icava int orno a!le gambe malferme e gli fruga.va snbito in saccoccia. Ci hai la noce? - Non ci ho la noce. - Ci hai il soldo che me la va.do a comprare? - Non ci ho i! soldo. - Uh come debbo fare? Io voglio il soldo, la noce, il soldo! - Trappola.ro di Palermo! Libertino! Mo' chiamo il carctbiniere e ti faccio met– tere le manette ... Ma intanto cavava il soldo ~ si sarebbe fatto mettere lui le manette. Cuccio rideva., sdentc1to e garrulo come un vecchiere!lo, poi si appendeva al collo del nonno per dargli un bacio. Era. questa la sua principale mafia. Ma il nonno, tetragono all'impost·ura. resisteva e serrava i labruzzi secclii clte sparivano nette gengive e: - Vattene - gli diceva - che tu intorbidi sempre l'acqua puWa ... Vattene, non ti voglio ... * gUeva il mestiere di ma.no. Era. lui, era lui vecchio pessimo, co rrotto, infradicia– to da!La vecchiaia, era !ui che lo seviziava. • • • Al paese infieriva. la. scarlattina. Cuccio che s'intruffolava. dappertutto la prese tra. i primi. I! suo sangue s'inftwcò del perverso ,germe e si ca.prì di mttschio rosso, virulento come una scot.tatura.. Pa– reva, cosi arso, con gli occhi brillanti e smaltati di luce, che la. sua vita e la sua allegria si fosse ro moltiplicati. Inve ce sta.va così assai male. e s'aggra.-· va.va, senza respiro, di ora in ora. E p a reva a tata Marchetto, di vederlo a fa.rg! i !e ca priole per i g·reppì de! fiume, come q uando andava.no a cogliere i giun– clti e le saggine, ma in giù in gitì., verso un gorgo nero e limaccioso come quello della. montagna spaccata. I! bambino sapeva la. paura del non– no e m entre gli cercava. Le saggine si cava.va quatto quatto g!i zoccoli e corre– va suUa rocci.a più a.Lia.,con !e sue zam– p ette a dunclie d'ttcceUo, -urlandogli da ! onta.no: - Ju ! Ju! Mo' mi jetto! Mo' mi jetto! E si curvava. imperterrito, verso quel girone d'inferno de! precipizio crepitante nel fragor dell'acqua e tenebroso come la gola d'un mostro. - Ju! Ju! Mo' mi jetto! Mo' mi jetto! Questo gridino acuto, pieno di fram– menti di vetro egli l'aveva nel cuore, povero tata. Marchetto! Qiiando il medico gli diceva: - on glie la fa, 11011 glie la fa... - egli si grattava sotto !'ascella, e s'incitrulliva, poi improvvisa mente si stracciava la fac– cia. e lo scongiurava di ricredersi. di non dire • infamifà • hLi che era uomo col cervello grande come una pagnotta. - Cà , che dici signoria? Volessimo li– tiga.re? Io s e mi scrivi la medicina bona, ti faccio !a carta e ti dò la maccliia mia del bosco. la casa, la capra ... Anzi, la serri stessa gli mandò, per una ragazzina del vicinato. la capra con l'erba in bocca e le poppe gonfie di nutrimento. Se tu regali la capra, vecchio incimur– rito, come vuoi ass · tere il tuo cito!ino? Che gli dai da mangi are, l'erba di m uro? - Ah! - fece lui acca.rtoccia.to su sè stesso come uni foglia macera di tabacco. - Ah! E come faccio a.desso?... - E si mise a piangere e mugolare come un ca– gnolino battuto. - Che volete comaruc– cia mia? Io sto vivo dentro la fossa. Credetemi faceva !e fischelle per la ri– cotta come se avesse avuto le vespe ai ditucci e poi, sentì, comare mia. in Cristo, te lo gitiro ... - Azzittati... - interrompeva. comare Gelsomina. - Ti è venuta la malattia sputarella e non sei buono a niente. Allora egli saliva. su, alla stanza. di Cttccio clte era tutto foderato di santini e dormiva. immobile nel coma.. con le pinne de! nasino annerite da.! male che battevano fi!iformt. tenili, come q1ielle dei più piccoli pesci di fiume boccheggianti sul! a sponda. Gli passava uno stracciolino bagnato stille palpebre semiaperte. La stia vita tessuta tra due steli, da ima bava di ra– gno, era. ormai come un soffio. Il medico annunziò che si doveva pen– sctre alle co~e ultime: le scarpe, il vesti– tiiccio buono. la cassa foderata di mus– sola. nera. Tata Marclietto andò a San Rocco in cltiesa a cliiedergli strettissimo conto del suo male operato e lo chiamò sempUce– mente « faccia di traditore •· Al che San Rocco rimase trasecolato, e. sebbene verniciato a ntwvo, si inverdì come un fico immaturo. e gli si attaccò la lingua al palato dalla paura. Disse tata Marchetto: - Ttt vuoi la pelle mia dopo clie ti ho portato torce gmsse come code di somaro, io, !a. tua: abbada. Certo si è che San Rocco abbadò. e Cucci o da. quella sera cominciò a miglio– ra.re. Spalancò qttei suoi occlii pesti di b estiola moribonda che la scarlattina ac– cendeva il sangue aggrmninato e balbet– tò, lui che non parlava da una settimana: - Paparò, la noce. la noce ... - Eccomi eccomi - rispose il vec- Domenico Cantatore: "Figura - E gli legava le mani dietro il dorso femminile" mentre Cuccio, moccioso ed iracondo, -Ah bene mio! Core di tata! Ucce!!ino della Madonna! A sette anni, qtiei tratti quei modi. .. Sapeva bagnare la paglia per le sedie così bene. Per poco, eh sì, per poco, non gli to- Gli disse allora comare Gelsomina, che faceva per Cuccto il riso col latte: chio e gli mise il suo piccolo crttnio pe– lato sulla manina inaridita da.!!a febbr<'. Qtiella sì che era. una bella noce. LINA PIETRA ALLE Pag. 3 Antonio Amore: ,. Figura a ca vallo'' storditaggine, se lo inghiottì tutto Il sul sagrato: e fu un pianto di femmine tale da inaffiarcì un semenzaio. - E gli uomini non c'erano a tratte– nerlo? - domandò, mio marito. - E chi ci può, Don Pasquale mio, con questo gigante? Fu una sparata tale di calci che l'aria scottò per un·ora! Lui si voltava a me, col pizzo acuto della barbetta nera che saltellava per !e risate e l'epopea grandiosa di Rafaniel:o lo solleticava sempre più e voleva rispar– marlo a forza. - Linuccia. ci senti? - Pasqualino mio, te ne scongiuro; questi son marrani che si fan scannare per un soldo! - Modestino, ti dò cento lire! Pren– diti Rafaniello! - Signoria. li porlo la ricotta e le ca– stagne, ma nemmeno per mille. E tu lacco? Ti passerò crusca e fieno. - ·on ci potemmo! Accidilo! - E tu Vittore campanaro? Vole,i il mio fucile eia caccia e pagarlo! Te lo re– galo e prendili Rafaniello. - Dammi il fucHe per schioppettarlo. ohi don Pasquale. Così il destino di Rafaniello fu deciso, e come eroe da leggenda egli medita due o tre giorni. sul prato spoglio e melan– conico. servito come un re e senza mo– lestia alcuna. Poi il terzo giorno be,·e il be•:erone classico del condannato. Don Diego tossicchia dal letto: - Metteteci il vino per conto mio. Io scendo alla stalla. lo bacio ~ul muso e gli offro due caramelle. Se le mangia con la carta. poi sternu– tisce e sorride. mostrando due grossi inci– sivi ironici nella gengh·a araente, 3emplice socratico, tranquillo. In quel momento pare il più onesto e mito degli asini e i suoi sguardi per abbracciare d'attorno sono lenti, mesti e sinceri. s·aha subito dalla paglia dov'è sdraiato all'innto del garzone e gli rimane qualche festura d'oro qua e là nel pelo irto. Mia suocera s·allontana piangendo nel grembiale: - E chi potrà scordare quanti guai ci hai dato? E chi potrà scordare le tue bellezze ingrate? Rafaniello si volta e risponde con un piccolo raglio tenero e soffocato. Sì, aveva ben capito. doveva morire. Poi aggrotta le ciglia, nell',matura su– perba del suo costato d'acciaio, e s'al– lontana senza voltarsi indietro, tutto di ferro e n'argento. come un guerriero antico ... LINA PlETRA \'ALLE illcnzio: '' i\1anichino e brocea"

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