la Fiera Letteraria - XI - n. 18 - 29 aprile 1956
Pag. 4 LA FIERA LETTERARIA Domenica 29 aprile 1956 ""E TU., MORTALE PESO D'HNGANN[E D[ TRISTEZZA., VITA - ALLE RIVIERE AZZURRE DEL MATTINO,., (Continua da pag. 3) dei ve1iti dell'aprile e la tu,a bocca arde come l,a 1·esina che sbocca dalla corteccia dei pineti, a _grmni. Languore di profondo oblio, bellezza colma di oblio, lacustre fiore languoroso, sono le espressioni che meglio si addlco• no a questa creatura. Se talora è parago– nata, con antica similitudine, al frutto, al flore, alla pianta, con una inflessione che non è puramente vocale, eccola diventare un termine diretto del paesaggio come in Sei disfatta d'està: ' Polvere az.:-urra le ,nontagne ìn. cielo, la terra è vaporata negli spa,i. Sei levitante e molle. E la tua cari,e palpita le1tta come l'acqua al sole. Eccola diventare un essere arboreo: Nel tuo corpo arde un segreto stimolo di pianta che nµtre il vento di siie linfe e fiori. Nella donna il poeta sente i gradi delle stagioni: Hai nel pianto l'aroma autwmale dei . . [prati e nel canto la g,o,a delle allodole i>1 [festa. Il rapporto tra la donna e lì mondo naturale è come di una reciproca tra• sfusione dell'uno nell'altro: le strade o i cieli immalinconiti portano ancora im· pr~ssi i gesti di una donna: ed ecco: I ,qesti delle tue mani lasciamno, a vol• [ te, nell'aria, un esile albore indeciso 1 come di u,i i'nistico ii,me. Immagine che torna frequente: R~stano i segni dei tltoi gesti incisi quasi nell'aria e l'oro dei capelli. E una donna può ricordargli « un silen– zio di valli e di campagna>: o in una gi:;:glore intensità verbale egli potrà Il tuo sorriso è nella sera, cade con le foglie e s'impiglia fra i roseti dove il tempo (e il ricordo) ha il tuo [colore. E notate questo ampliarsi del significato della donna nel mondo naturale e già in quello dell'intuizione del tempo. Ben più profondo si fa questo motivo, quando spogliato da ogni ingorgo sensua– le, diventa un canto elegiaco alla giova– ne morta, la eui presenza è tuttora nelle cose: E tu sei rimasta 1'ell'o,nbra delle strade, ove passasti col tuo fiato; e tutto, dalla terra e dal vanto, a me ritorna 8egn,ato della tua in11ta presenza, in questa p1·i1navera senza tempo, pere/tè t11vivi, ed hai voce di tomba. In questo frequente paesaggio che sem– bra esistere per cingere d'aria e luce, di campi e case la donna, quasi direi il mi– to della donna, il poeta coglie anche im– pressioni dal vero, intonate a un senti– mento patetico senza s\'enevolezze. Si pensino / sobborghi con le case dai letti disfatti, le vecchie al sole, i pianti del bimbi fra gli acciottolii dei piatti. Ritorni malinconici per vie batt1tte dal fcarri che si trasèlnano tristi con rauchi la· [menti di mote; mentre nei veccki cortili, s11i mu,·i, la [pergola scuote le foglie morte sco11re,ido gli amori dei [tardi rania1Ti. Talvolta è un'impressione più oggettl· va, che non oltrepassa la \'isione, e na· sce dal mondo minore e 11011 essenziale del poeta; come, ad esempio, se egli seri· va Jazz-band: <E, con tocco epllettico e concorde, - suona Il pianista un suo fox• trot convulso>; che è detto bene, ma non oltrepassa il tratto descrittivo. Ma anche è possibile incontrare rapide e sofferte notazioni, come quella che si legge, ad esempio, in Lampada votiva: e Mio padre ti guardò dall'uscio aperto - e pianse. E ti gridò piangendo: Figlia!• Si può giungere con queste analisi a sco• prire l'efficacia dell'aggettivo o de1 ver– bo In uso insolito: e Il tuo passo è not• tt,rno >, oppure <S'ode il flusso del ma• re che dimpa - tra scor.:lio e scoglio•: si può finanche notare i efficacia di pa• role insuete, quale ad esempio, « altll· lenlo >. E poiché s'è parlato della frag-rante si– cllianltà del Vlllaroel, che è come una maniera di solarità con tutto ii peso di .una luce a piombo, si noterà come que– sta solas-ità si accompagni non di rado a un lunare romanticismo visivo, che non ha nullla della semi-cantata autoironia crepuscolare, di foglie ingiallite intravi– ste nei punto in cui cadono, di tramonti estenuati, di lune viziate. Se egli scrive: Fra le bmme diafane s'affaccia, col bianco volto di convalescente, la l1t11a neppur questa è una figurazione dai sol• tintesi ironici. Il più delle volte, nelle fre· quenti immagini lunari, la visione non contrasta alla n-atura meridiana che nel poeta prevale: e e il cigolio dei carri nei paesi - bianchi di lna a gomito di stra– da>, « li fiato della luna a filo d'onda - tremola sulla nera ansa del lago>. E ma· gari preeenterà una luna UJ1 poco parnas· siana ma suggestiva: La luna semb,·a un orologio fermo che segni sul quadrante, a filo d'ombra, perennemente un'ora indecifrabile. La donna-terra (donna-stagione, donna– orizzonte) che abbiamo individuata nel• l'opera dei Villaroel, viene anche dipinta in un gruppo cli poesie mino1;, alcune del– le quali s'intitolano N1tdi, ora felici, ora sfocate per immediatezza realistica, co– munque più convincenti di quelle un po' facili e galeotte ove ricorrono pizzi, trine o altre più intime vesti. Ma la donna assunta come centro e simbolo del mondo naturale diverrà an• che il simbolo della bellezza e il simbolo trepido della felicità., quando, in un pri– mo stadio oltrepassando il senso, il poe– tea si solleva a contemplare la realtà e il desiderio o sogno, avvertendone l'urto e talora l'ambivalenza angosciosa. Felicità, sei mia. Nuvola e fiore, e in. cielo e in te1-raJ verità e idea, anima e carne, umana Jonna e dea, lontaria dal 1nio cuore nel ·mio cuore. Che è un primo stadio, ancora vago, stadio ideale e non cronologico, in cui quel dissidio tra realtà e desiderio bale– na: poi si svolgerà: e il dissidio scoperto con malinconia e dislnc;,.n to non è la pre– messa di chi a.bbia rinunziato alla realtà con prevenuta e ironica r11-ssegnazione ce• OTTONE ROSAI: Paesaggio rebrale, ma è la costante insoddisfazione per una realtà con tutti i sensi bramata e vagheggiata, donde si genera lo sgo– mento dell'esistere con tutto quel carico di senso inappagato e di inappagata ra– gione: e se ne paleserà infine la trepidan– te immagine cli tln Dio inquieto che sof– !re l'affanno stesso della sua creazione. Il sentimento delle cose non raggiun– te, la bellezza intravista che egli dlce sua sebbene non mai posseduta; le terre non viste; gli occhi delle donne sconosciute; l'inaccessibile: sono alcuni momenti di questa appren&one del dissidio tra la realtà e il deside1io: O vita, è dolce qr,ello che 111i /,ttgi, o vita, è t,-iste quello che mi dai. Anche tra le composizioni ancora im· mature delle l'ia del silett.zio può fermar– ci quel motivo un po' collegiale dell'in· contro con la sconoscil;ta alla quale egli può toccare la mano nel movimento del treno: e son versi troppo spiegati, sebbe• ne il primo tra quelli che trascrivo con– tenga una pensosa immagine:< Come due fogli ci distaccheremo. - Io l'ivivrò nel tuo sogno supremo, - Tu nella mia spe- • ranza rivivrai >. La speranza rimane -lun– gamente incolume, più forte dello stesso desiderio, anche se forse è quella soltan· to che trova l'ultimo rifugio nella terra nativa: < Forse la terra, i.n cui la giovi– nezza - prima sorrise a questo umano affanno, - potrà ridare un sogno -alla vecchiezza>. In Moli1•i cl'alt1•i tempi ascol– tando una musica sul piano dirà: < Non so perchè piango. Rivedo la casa ma.ter– na, l'ora - quieta del de inare. Mia ma– dre in cucina. La passiflora - della ve– randa. E lontano, sul porto, il ritmo len– to della gru>. E molti sono i componi– menti in cui ll vaese de1la giovinezza, come egli intitola una sua poesia, è il rifugio della speran7.a: < E mentre tutto si rinnova e muta - io solo resto nel mio tempo fermo - ricercando la mia vita perduta>. La realtà che non delude è dunque i'l sogno? Prigioniero dell'ora il corpo infermo, indar1io il sogno ascende oltre i confini di tanta pena nella carne chiusa. Cadono i soli, toniario i ,mattini, " i nati e i morti e questa vita illusa passano come !'ombre sttllo schermo. Altra volta, rivolgendosi, troppo verbal– mente scoperto, ai fratelli che soffrono la sua stessa pena, vagando come lui nel sogno. dirà: < Siamo i di persi, i non com· presei eroi - del ogno. E li so~no è il nostro stesso male! >. A un punto, tra il vero e l'inganno egli smarrisce la li,:,ea che li divide: Gli opposti desideri mi rifanno , g1on1.o per giorno, ttn ani.mo dit:erso; ed io no,i so se questo oscuro atta,ino, che fa parte di me nell'inverso, - onde tutto è a sé uguale e tutto è [avverso - sia più vero nel vero o nell'inganno. Cosi gli avverrà di confessarsi: Ed io no-nso se questo ignoto affanno sia la mia stessa inutile fatìca di vivere &truggendo og-n.t,nio 3ogn.o, mentre lo creo dal nulla, ove sconfina ogni pensiero, ogni atto, ogni speranza, amando, a ttn tem,po, e disaniando U [mondo. Che cosa dunque agogniamo? il nostro . cuore trasmuta la gioia raggiunta in af. fa.nno • e il sogno è una stella fuggente - che solca lo spazio profondo - ma quan• do cade sul mondo - si spegne improvvi• samente>. Cercando un bene ignorato sa• gulamo un miraggio: quello che sempre c'i,wita senza la– [sciarsi scoprire perchè bMogna morire per ritrovare [la vita! Meta ultima, dunque, la morte. Pelle• grinare sospinti da un'ansia di ignoto ver• so la. morte, questo è Il destino: colmare qiiest'o,·dbile vnoto, domare ft1,tti gl'istinti, finché non av,·emo conqiiisa la gioia [suprema o la morte che è la pa;;sione pi,, forte con una [ meta precisa. La passione più forte, la meta del mon– do sensibile il cui miraggio su tutti por· tentoso fu la carnalità terrestre silvestre marina aerea della donna. E in tal modo prima s'in inua appena, poi si schiude sempre più aperto nel poeta il pensiero della morte < a cui - schiavo è il morta· le che se stesso ignora >. Ma i gradi 'di questa contemplazione della morte son diversi e talvolta indiret· ti, quasi soltanto allusivi. Lo impegnano il mistero e l'infinito della vita naturale, l'identità delle cose: Respirnno le foglie come l'onda. Nell'onda è il flr,sso delle messi. l'ibra dentro l'ete,·e il suono e in ogni fi.bra. Dirà che il grido a sommo çlella sua potenza ridiventa silenzio: e ancora dirà del pensiero ch'esso è < o cura carne che s'illumina>, e altre volte: < Pensiero !al· to corpo è la materia>. Le cose vedono e sentono e la pietra respira e gli alberi guardano: Parlano con gli uccelli e con le nuvo– fle. Aspettano l'alba. La sentono tra le foglie; gridano quasi quando ar,·i~a il sole. E guar– f dano, dalle mille ,Qemme, i miei occhi stnpiti. Infine: • Ad ogni esenza che muore, un'altra essenza risorge, ad ogri nota, Quell'articolo su Reader Digest conti– nuava dicendo come la zitella della Nuo– va Inghi1terra, pur non a vendo nessuna pratica dei bambini, impara ad amare li trovatello che è stato abbandonato sulla soglia di casa sua. Ma più che amarlo, si infiamma molto per tutto quel che ri– guarda educazione dei bambini e la psico• logia infantile e roba del genere. ALlUNE PAGINE Dl lJN FAMOSO ROMANZO Dl PATRICK DENNIS * Quando arriva il momento in cui biso– gna mandare a scuola il trovate1lo, la signorina Indimenticabile si trova in se, rio contrasto di vedute con la commissio– ne scolastica del villaggio e coi suoi meto• di. Il trnant officer (funzionario incarica– to di ricercare i bambini che non frequen– tano la scuola N.d.T.) si mette in cerca del bambino, giorno e notte, ma la dolce zi. tellina resiste e da sola riesce a provo– care drastiche riforme nel sistema sco• lastico. Zia Mamle e l'ora dei ha111hlnl Be', questa è una cosa che non ml fa né freddo nè caldo. Anche zia Marne aveva idee discretamente originali sulla pslcolo• gia e l'educazione scolastica. Ripensando alla brillante farfalla che era zia Marne nel lontano 1929, mi rendo conto che deve essersi sentita sgomenta all'idea di dover allevare un ragazzo di dieci annJ; completamente sconosciuto, co– m'ero io per lei, quando per la prima volta, piombai, spaventato e sgranando gli occhi nello splendore orientale del suo appartamento nella Beekman Piace. Ma la zia Marne non era donna da darsi per vinta. In un certo senso, mia zia aveva lo spirito battagliero di una giovane espilo• ratrlce di speak-easy. E sebbene le sue idee sulla educazione infantile potessero sembrare un po' eterodosse - come in realtà le sue idee su qualunque altra cosa - il sistema unico di mia zia Marne, agi– va abbastanza bene, sia pure occasional– mente. Il nostro primo colloquio avvenne al– l'!\na pomeridiana nella grande camera da letto di mia zia Marne, nel secondo gio11no che passai a New York. Mi sen– tivo estraneo, non amato, non desiderato e terribilmente solo mentre mi aggiravo per il grande aJl)partamento duplex (appar– tamento in due piani. dove le stanze prin· cipall sono alte il doppio delle altre N.d.T.) senz'altra compagnia all'infuori di Nora. Ito, Il piccolo cameriere giapponese, mi , aveva dato una buona colazione, mi ave– va rivolto molte risatine, dopo di che non si ebbero altre comunicazioni con lui. Pri• ma dell'una, ero già tanto disperato da poter leggere: Eroi della Bibbia che ogni bambino dovrebbe conoscere. l'ecchio Te– stamento, quando lto venne in camera mia e ml disse: • Adesso tu vieni a vedere Madame>. Zia Marne mi ricevette nella sua came– ra al secondo piano. Era una stanza enor– me, con le pareti nere, un tappeto bianco, il soffitto dorato. Tutta la mobilia consi– steva in un enorme letto d'oro sopra una piattaforma e in un comodino. Una came– ra simile avrebbe potuto avere un effetto depl1imente sulla maggior parte delle per– sone, ma non su zia Mame. Lei era alle• gra come un uccello. Pareva davvero un uccello nella sua giaccheftina da notte di piume di struzzo color rosa. Leggeva i Faua; Monnayei,rs di Gide, fumando siga• rette Melacrino in un lungo bocchino di ambra. « Buongiorno, amorino mio >, gorgheg– giò, < vieni qui, bacia la tua zia Marne, ma piano piano, caro. La zietta oggi si sente in un modo atroce>. La baciai più piano che potei. < Che dolcezza, caro, un giorno farai felice una donna molto for• tunata. Or_a siediti sul letto della zia; ma piano piano, faremo una piccola chiac– chierata mattutina. Bisogna Imparare a conoscerci fra noi>. Come scoprii presto, per la zia Marne, l'una era mattina. Mattina presto erano •le undici; metà della notte, erano le nove. « Non adori anche tu questo momento perlaceo del giorno! >, disse con ampiò gesto spargendo una quantità di cenere sulle lenzuola di raso nero. e E ora, tesoro>, disse, « bisogna ,·e• dere di imparare a conoscere parecchie cose sul conto l'uno dell'altra. Prima di adesso non ho mai avuto un bambino, e oplà, ecco la colazione! •· <E ora, vediamo un po'>, disse <!.He• gramente. Frugò in mezzo a un caos di forrli sul comodino acca<nto al letto e ne tirò fuori una copia del testamento di mio padre, che Bila aveva abbelHta con molti numeri telefonici e qualche breve lista di commissioni da fare. Ne tirò fuo, rl anche un enorme blocco d'appunti gial• lo e un grosso lapis nero. < Dunque, io sono la tua butrice. Questo lo sappiamo entrambi, su questo non c'è bisogno di discutere tanto. Ora, tuo padre dice che devi e~ere educato nella religione prole• stante. Non ho nulla in contrario, certa• mente, sebbene ml sembri un vero pec• cato che ti debbano essere vietati gli squisiti misteri di alcune religioni orien• tali. Comunque, tuo padre è sempre stato un retrogrado per certe cose. on che voglia dir male di mio fratello. A che chiE>.;aandavi, tesoro? > « Alla quarta calvinista>, dissi imba– razzato. « Mio Dio, bambino, non vorrai dirmi che in una città come Chica~o vi son'o quattro chiese cailviniste! Be, non im– porta. Credo che potremo scovare unà chiesa calvinista, da queste parti>. Levò drammaticamente gli occhi al soffitto dorato. e on credo che a tuo babbo di– spiacerebbe troppo se ti presentassi a monsignor Malarky, un tal tesoro, e cosi colto, e certi occhi come zaffiri. In un giorno della settimana prossima verrà qui a prendere il cocktail, però gli tarò promettere di non parlare d~l mestiere con te>. Zia Marne tornò agJi a.ffari e a,J testa– mento. « Cosi, dunque, la questione della tua educazione religiosa è ri olta. Ora, pas iamo alla uola. A che punto sei, precisamente, a scuola, caro?>. e Sono nella quinta classe alla scuola di latino di Chicago>. « Quinta classe! Gran Dio! ma tu non sei capace per la. prima, ragazzo? A mè semb!'Ì abbastan7,a sveglio>. Con la pazienza di un deçenne le spie– gai che la quinta classe vòleva dire quin• to anno. « Oh, dove dovresti essere a dieci anni?,. e ella quinta classe, ma avevo solo nove :,nni quando la cominciai>. • Allora vuol dire che sei precoce?>. <Per fa ,·ore, come dici? >. « Precoce, tesoro. Sveglio per la tua età. Avanti agli a,ltri, a scuola>. «Si>, dissi, e sono stato pre ... come hai detto tu ... per tutto li semestre>. « Oh, ne sono tantò contenta, tesoro!>, gorgheggiò la zia Marne, notando qual• cosa suJ blocco per appunti. « Siamo sem– pre stati una famiglia intellettuale, seb– bene tuo padre abbia fatto tutto il pos• sibile per nasconderlo>. Tornò ai testamento. « Ora, tuo padre dice che devi andare in una scuola con– servatrice: questo c'era da aspèttarselò, da lui. Ma dimmi un po' questa faccenda latina era conservatrice?>. « Non so esattamente quel che vuol di• re>, risposi arrossendo. « Era una cosa noiosa? Monotona? Stantia? >. < Sl, molto stantia>. • * • • Oh, ragazzo. ragazzo >, ella esclamò, e le sue piumose maniche svolaztareno sopra il letto, « che cosa possiamo fare per arricchire il tuo vocabolario? Tuo padre non parlava mal con te?>. « Quasi mai>, ammisi. e Mio ca,ro, un ricco vocabola.rio è il segno di qualsiasi per5ona. intel-lettuaJe. Ecco ... >, frugò nella confusione del como– dino e ne tirò fuori un altro blocco di aippunti e un lapis, « ogni volta che io dico una parola o tu senti dire una pa, rola che non capisci, la metti per iscritto, e ti spiegherò io che cosa vuol dire. Poi, l'imparerai a memoria e presto avrai un discreto voca,bolario. O, che bella avven– tura>, gridò estatica, < poter plasmare una nuova giovane vita!>. Fece un aillro ampio gesto, ma questo, non so come, andò male; zia Marne ro• vesciò la caffettiera, e lo subito annotai sei parole nuove che la zia Marne ml disse di canceJ.lare e dimenticare. Poi, zia Marne riprese lo studio del te, stamento. « In quanto aJ rimborso da quell'IsUtu– to di Gest:ione ... >. < Come si scrive rimborso? >. • Non interrompere. In quanto al rim• borso da l'Istituto di Gestione, io sono perfettamente pronta e capace di man– tenerti>. Socchiuse gli occhi e mi fissò con sguardo penetrante. • Penso che oi sarà una macchina ca!, colatrice umana, la quale si occuperà dei tuoi denari e dirà come bisogna edu– ca,rti? >. < Vuoi dire il mio curatore'/>. « Si, bambino, che tipo è? >. < Be', porta il cappello d1 paglia, gli occhiali, abita in un pos·to che S'Ì chiama Scar5dale, ha un raga 7-ZO· circa della mia età, e lui si chia.m a si,gnor Babcock>. ·• Sca,rsdale, a vre i do vuto imma,gjna.r•' lo>. La .cia Marne scri~e: Knickerbo• cker Tru t. e Baobcock. « Vedo già che egli sarà la mia personale béte tto,re per i prossimi otto anni. Io ho la respon– sabilità e lui l'autorità!>. < Vuol dire bestia nera, no?>. Mi pa• reva u•na entusiasmante definizione del signor Babcock. «Tesoro!>, ella disse sfavillando e mi baciò, < il tuo vocabolario si arricchisce meravi,gliosamente. Forse sarebbe me• glio pac1,1are sempre in francese in ca• sa>. Ma pro egul in inglese: e Affronte• rò il Babcock quando crederò giunto il momento. Dio sa che potraì impa,rare di più in dieci minuti neJ mio salotto di quanto hai imparato in dieci am1i con quel tuo padre. Che modo criminale di tirar su u,n bambino!,. Guardò l'orolo• gio e tutte le piume svolazzarono. e San– to cielo! devo uscire con Vera per com– missioni. Forse ti piacerebbe venir con noi. Del resto ci con=iamo abbastanza bene per cominciare>. Diede un'occhiata a,! mio vestito a lutto, da mezza stagio– ne. « Per amor dei cielo, bambino, non hai altri vestiti che non ti diano l'aria di un corvo ammalato?•· Dissi di si. • Be', mettiteli, se vuoi venire con me, e non dimenticare il blocchetto per il tuo vocabolairio >. Obbediente, mi avviai al– la porta. « A proposito, senti bambino>, ella disse. I suoi occhi avevano di nuovo uno sguardo pe-netl'an te. • Si. zia Marne >, « Tuo padre, ti ha mai detto nulla, cioè non ti ha mal parlato di me, prima di morire? •· Nora mi aveva detto ehe i bugiardi e vanno dritti filati all'inferno, perciò in• ghiotti! un po' dl saliva e proruppi: « Mi ha detto soltanto che tu sei una donna strana, che esser~ affidato aHe nue ma– ni è un destino che non lo augurerebbe nemmeno a un cane, ma che non c'era altra scelta, e che tu sei Ja mia sola pa• rente in vita>. Zia Maime si raschiò la gola con cal– ma. • Che bastardo>, di se con voce piana. Afferrai il blocchetto del mio vocabo• lario. <Si, cairo, la parola è bastardo>, ella disse con dolcezza. <Si scrive b-a-s•t-a-r-<i-o, e vuol dire il tuo compianto pad,re! Ora, fuori e val a vestirti>. Passai quel,la prima estate a New York trotterellando di qua e di là con ia zia Marne, sempre accompagnato dal mio vo– cabolario, ,in Piccole Ohiacchierate Mat– tutine ogni pomeriggio, e assistendo ai suoi tè letterari, al suoi ricevimenti, ai suoi cocktadl, facendomi vedere e non sentire. Adoperavano parecchie pa.role nuove, cosi io potei mettere i.nsieme un discreto vocabolario prima che finisse l'estate. H.o ancora alcuni fogJieUi degli svariati vo– caboli ra<:co!N alle serate di zia Marne. Uno di questi foglietti in data 14 luglio 1929 comprende parole come: presa della Bastiglia, circolo hotsy-totsy, battaglia delle gang. id, daiquiri - non credo di averlo scritrto correttaimente - rela1tività, amore libero, complesso di Edipo - an• che qui ho. sbagliato a oorivere - mobile, stinko - da qui ho cominciato a scriver all'lmpa~ata - narcisistico, Biar ritz, psi– coneurotico, Schoenberg. La 7.ia Marne mi spiegava tiutte le parole c he g-iudicava dovessi sapere, poi mi disse di formarne periodi e di esercita,rmi con Ito mentre lui d•isponeva fiori a!Ja gia,pponese e l.'i• dacchiava. I miei progressi durante quell'estate del 1929 furono notevoli, anche se non furono precisamente quelli che avrebbe raccomandali la Rivista di tutti i genito– ri.. Prima della fine di luglio sapevo me– scolare quello che il signor Woolcott chia– mava II un piccolo martin-i luculliano" e avevo impat'ato a non spaventarmi da– vanti ai più stupefacenti amici di mia zia Marne. Le giornate della zia Ma.me passavano in un perpetuo vortice di visi te ai negozi, feste. visite nelle case, visite dalla sarta, per farsi vestiti alla moda esotica di al· !ora - ma quelli di zia Marne erano sem• pre un poco più esotici - visite a gallerie di pitture e sculture incomprensibili, e la se ra, a teatri e teatrini sperimentali che si chiudeva.no e si apnivano come ar,selle in t utta New York, a pranzi a cui si fa. ceva accompagna re da ttna serie di si– gnori intellettuali. Però con tutta quella sua vita febbrile e vuota, zia Marne tro• vava molto tempo da dedicare a me. Ero trascinato a quasi tutte le mostre e nelle orge di pe e che facevano lei e la sua amica Vera, e in tutte quelle cerimonie che zia Marne giu(licava opportune, sti• TlJ0lanti e illuminant.i per un bambino di dieci anni. LI che comprendeva una gran– de varietà d•i cose. In realtà zia Marne e io imparammo a volerci bene nel periodo più breve possi– bile e in modo perfettamente indolore. Già in anticipo si capiva che anch'io sa– rei stato attratto dalla sua trabiliante individualità, come migliaia d\ altri ne erano stati sedotti. n suo complicato fa. scino era evidente, ed ella, dopo tutto, rappresentava la prima autentica fami• glia che avessi ma i conosciuto. Ma che ella avesse potu•to affe7.ionarsi anche po– co, a un ragazzo insulso. insignificante di dieci anni, era per me una continua ragione di ~onpresa. di gfoia e un miste- 1'0. Eppure mi si affezionò, e io ho em– pre pensato che nonostante fosse tanto nota, nonostante si intaressasse di tante cose, doveva sen 1 tirsi un po' s9la. Chi vo– leva criticarla, diceva che per lei io ero semplicemente un nuovo pezzo di argilla da poter formare ,a,llungare, battere e plasmare a volontà, ed è vero che zia Marne non poté mai resistere adJa tenta– zione di immischiarsi nella vita degli al– tri. Era una donna suJJa quale si poteva fa,re affidamento, anche ,nelle sue follie. Comunque una nube di tempe ta, nella persona dp,! mio curatore, presto ca1lò sul nostro idillio. Zia Marne e io eravamo occupati in una delle nostre Piccole Chiac, chierate Maibtutrne. Lei quel giorno si sentiva molto materna e mi leggeva passi scelti di Addio alle Armi, quando un espresso della Knkkerbocker Trust Com– pany interruppe ,la n05tra ora di pace con Hemingway. In questa le~tera, il signor Babcock di– ceva di aver tanto desiderato dt venirci a tro\'are, ma gli affari eccetera eccetera, poi lui e la famiglia andavano sempre nel .Ma,ine, durante H periodo più caldo eccetera eccetera, ,ne erano appena tor• nati quando suo figlio aveva subito una grave operazione alle tonsille duran-te la quale H me dico ec cetera eccetera, ma ora che le cose twa.no di nuovo eccetera ecce– tera, e v'era da d iscutere di parecchie cose riguardanti il signorino Patrizio ec– cetera eccetera, sarebbe stata davvero una bell a cosa ohe la signorina Dennis pote~e porta.re il giovane si1rn01,ino Den, nis a Scarsàale per un buon pranzo al– l'antica eccetera eccetera, che sarebbe finito presto in modo da permettere ai ragazzi di coricarsi di buonora eccetera eccetera, i treni che partivano dalla Sta- 2>ione Grand Centrai. menrre non il più comodo eccetera eccetera, la zia Marne doveva far la gentilezza di confermare la da•ta. La zia Marne diede un gemito, ml pas– sò la lettera e suonò per chiedere un whisky con limone. « Tesoro mio>, gridò, < ecco ,ta campana a morte. Quel curatore! Lo v1:do come vedo te in questo momen, to: il uo odioso piano per schiacciare e frustrare tutte le mie spera•nze su di te•· Presi nota di frustrare e schiacciare e poi I~ a sicurai che veramente il signor Babcock era un ometto simpaticissimo e tl'anquillo. • Oh, bambino~. ella urlò. « sono i peg– giori. quei talponi. U1'ia.h Heep tutti fino a uno!::. Secondo una sua inveterata abitudine, zia llfame si abbandonò a una mezz'ora di rappresentazione tragica, poi si calmò e decise di affrontare l'avvenimento. Ser– vendosi della sua voce flautata. te)efonò al signor Babcock, dicendogli che tutti e due noi si sarebbe stati felicissimi di pranzare con la sua fa.miglia a Scarsdale >l giorno successivo; non doveva distu,r– bar5i per venirci a prendere alla stazio– ne, perché noi si sarebbe arrivati in mac– china. Fu molto mollo signorile. Dopo di che telefonò alla sua amica intima, Vera, dicendole di lasciar stare tutto e venire da lei immediatamente, un'altra nota. Non, eterna è la voce. Eterno è il canto>. Pure egli Immagina a un punto • un silenzio trasfuso in Iolgorio - senza tem– po, né spazio, né misura> e lo dice, con un verso che rimane più definitorio che lirico; « lerri!icante fantasia di Dio>. L'immagine di Dio appare come il CO· ronamento del pensiero della morte, vera ,·eligio in cui tutte le cose si legano e sciolgono a nuovi destini, poiché < favo– loso è il tempo - e l'essere e il non es– sere un baleno>: Fatica del/.'essere ,·ana: ... Fatica dell'aria, del mare, del tempo; fatica dei cosmi: disfare, rifare, sparire, apparire. . In questa universale. fatica, anche Dio i signore e schiavo di se stesso: O non sei, forse, signore e schiavo di te stes~oJ o Dio, H,>1-ivers a co8cien.za, entro i.l groviglio dei /ili ch e ti, fili e tu dipani creato e creatore unico giro 1 E l'uomo Ignora Il fine dell'affanno di Dio. Ma v'è poi un momento in cui Il POf!· tea pensa l'epilogo ultimo: Q1wndo compre1'derà l'1tmana vita l'insoluto p1'0digio del creato la fatica di Dio sarà finita. Nei versi più recenti, come si riscon trerà anche in questo Quasi vento d'apri– le che in ordine di temp0 è la raccolta più vicina si avverte qua e là un senso di preghiéra, per lo sgomento dell'esl– stere, per l'ignota incomprensibile fatica dell'esistere. ignota all'uomo che ignora anche se stesso, ignota all'universo. E l'uomo soltanto con l'arte sforza l'oblio della morte: che è la poetica, per cosi dire, del Villaroel: Uomo, quotidiana esperienza della mente di Dio, fragile creta e avvio d'amore e intelligenza, solo con l'arte, puro folgorio della tua limitata consistenza, sforzi il mortale oblio. Questo a me pare il cammino e il si• gnificato della diseguale arte di Giusep– pe Villaroel, che si è venuta sempre più purificando, e che, come s'è visto, é mo!• to più complessa di quanto a un superfi– ciale i.guardo o ascolto poteva apparire. La donna che diventa sostanza della ter– ra, fiore e frutto e orizzonte, e si iden• tifica con la realtà, suprema bellez,.a e supremo in ganno del desiderio, e illude al sogno che è un vero preferibile al \'e– ro, diventa per vie spontanee la scala ver- o la contemplazione dell'universo nel suo sparire e apparire, nella tela tessuta e disfatta, nello ~gomento dell'esistere al cui vertice è la fatica di Dio e la preghie– ra umana che si placa nel ri!ugio del· l'arte. Il poeta che poteva perdersi e più volte si sciupò nella parola antiparola dei– l'ars amattdi ha nel suo fondo più rac– colto e più veramente suo, di là dalle ten– tazioni e dalle cadute, una sua vena e una sua voce di candore e di verità. Sa– perla cogliere non è solo un riconosci– mento alla strenua fedeltà che questo poeta e amico dei poeti ha profess· · • per la poesia, ma un contributo di ' rezza allo studio della presente con ne letteraria nelle più varie e pc tendenze. FRANCESCO FLO,,., Vera, l'amica di zia Marne, era una r "· lebre attrice di Pittsburgh che pari· con una tale eleganza alla Mayfair lasciar capire a fatica solo qualche • rola di tutte quelle che diceva. 'or piacevano i bambini, ma era vero t anche lei non piaceva a loro, però 7, Marne aveva investito del danaro nel!« sua flUOva commedia, e Vera con me era cortese. Arrivò in una nuvola di volpi bianche. poi lei e zia Marne recitarono insieme un altro atto unico della disperazione. Fi– nalmente, Vera, che delle due era la plù posata, venne al sodo. < Mia cara>, disse Vera, < non devi la– sciarti smontare in questo modo. Questo è isterismo. Su. prendi un sorso di questa roba e calmati, mentre io ti dico alcune cosine. Prima di tutto non hai nulla da temere. Non ti manca né una bella pre• se!17.a, né educazione, né intelligenza, né cultura, né danaro, né posizione sociale; hai tutto. Soltanto, può darsi che a Scar– sdale ti giudichino un po', un po' vistosa. Ma tesoro, basta semplicemente che tu ti attenui un poco, per un momento. Senti, io, quando recitai la parte di Lady Esme in FoUia Estiva ... >. « Follie estive>, gridò zia Ma.me, « ma è questa la mia follia estiva; ,non sai far altro che parlare dei tuoi trionfi! Chà cosa devo fare io... >. Si mordicchiò le unghie dorate. e Come dicevo, caua >, 11iprese Vera con alba,gia, « quando recitavo la parte di Lady Esme, tutti i miei vestiti li fecè Chanel, e lei mi diceva: "Chérie (mi chia– mava sempre Chérie), i vestiti creano lo stato d'animo, l'individuaJità, tutto". E aveva rag:one. Ti ricordi dell'ultimo at– to. quando io scendo la scala dopo che Cedric si è parato? Bene, io volevo ve• stire cli nero, ma Chanel disse: "Chérie, in que,;to caso, tu ·v~ti di gr;gio. Una giornata grigia, uno stato d'animo gri– gio, un vestito grigio, con appena un sot– fio di zibellino». Tesoro mio, non cl]. menticherò mal quello che diss e Brook6 Atkinson di quel vestito. Ha innalza.te quel polpettone sullo stesso piano di Sh a– kespeare>. Qualunque discorso sui vestiti conqui– stava sempre la completa attenzione di zia Marne, che parve immediatamente consolala. « Si, Vera>, disse lentamente, < hai ragione. Adesso capisco; quei pie• colo chimono grigio a ricami scarlatJti, e forse una camelia color sangue su ogni...>. < Marne, cara>, disse Vera con tatto, < non pensavo davvero a un chimono giap– ponese per questa, questa prova del fuo– co. Tu a Scarsdale dovrai essere un'altTa te stessa: qualcosa come la Jane Cowl. Avrei pensato piuttosto alla linea di un abitino semplice. Qualcosa dl morbido e di signorile con tutti gli accessori neri. Sai, ca11a, clO'lente, si, ma non proprio in lutto stretto, e molto tipo conservatore; ispira fiducia in un curatore>. La zia Marne non era persuasa, però dimostrava di interessarsi, e mentre Il cognac - ,·enuto di contrabbando dal• l' Ile de France - cala va sempre più nella bottiglia. le accorate pitture che Vera faceva della rispettabile zia zitella sali– vano ad altezze sempre più celestiali. La zia Marne aveva il gusto del teatro. e ailla fine le due donne si misero a fru– gare nel vasto guardaroba della zia, teli– ci come due ragazzine. Mentre io leggevo ad alta voce un li· bro di poesie di Elinor Wylie intitolato Angeli e Ornature Terre,ie, badando a serbare sempre pieno il bicchiere di Vera, un vecchio négligé di chiffon grigio ven– ne trasformato nell'opportuno abito SQ· brio, che unito al cappellone nero di Ve– ra, diafanamente velato, e una collana di giaietto, diede alla zia Marne la desi– derata aria di delicata malinconia. PATRICK DENNIS Il romanzo « Zia Marnie > sta p!Jr appa– rire, in ita.Uano, nelle edizioni Bòmpiani.
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