la Fiera Letteraria - XI - n. 15 - 8 aprile 1956

Pag. 4 LA FIERA LETTERARIA Domenica 8 aprile 1956 Roma. 1912: Silvio d'Amico ai giardini del Quirinale, con i1 primo figlio Fedele L'ultima fotografia di Silvio d'Amico, a San Miniato, il 6 marzo 1955, con S. E. Granchi, allora Presidente della Camera (Continuaz. da pag. 1) pubblico, e agi concentricamente nelle tre direzioni. Boutet non aveva avuto un grande quotidiano, su! quale svolgere la sua battaglJa. La prima cura del neo!ita fu di procurarsi una degna pedana per diffondere le sue idee. Critico dramma– tico dell'Idea Nazionale, diretta da un al· tro critico drammatico, Domenico Oliva, dal '14, prima come < vice •• poi come tito– lare; critico drammatico della T1·ibuna nel '46, fondò e diresse nel '32 la rivista Scenari-O, un modello del genere, la Riui– sta Italiana del Dra,nma, poi del Teat,·o, dal '37; coHaborò a infiniti giorna,li e pe– riodici italiani e stranieri; girò i! mondo parlando di teatro e anche non di teatro, ma empre in modo che aJ teatro tornas– se; partecipò In patria e all'estero a tutti i congressi teatrali di qualche importan– za; raccolse in numerosi volumi il frutto del'le sue osservazioni. Sin dalle prime cose, hl suo intento è clùaro: rivencLlcare i diritti della poesia a teatro, mostrare agli attori o al loro di· rettore, qual ris~tto bisognasse a vere della parola In scena e come andasse inter– pretata. Comincia la battaglia contro il teatro corrente, contro il •mattatore• e il pubblico che li applaude. Oltre le super– stiti convenzioni, c'è Jn lui una guida sicu– ra: il bisogno di incidere durevolmente sulla rea,ltà. D'Amico ha con sè 11 suo buonsenso, la larga, cordiale apertura a tutte le idee, che non scalfiscono la sua, a tutti gli Impegni che mostrino il segno dell'lnteHigenza e dell'ardire: ha una cul– tura aghlissima. Ottiene la cattedra di Sto· ria del teatro nella Scuola di recitaz;ione ~ Eleonora Duse • ed espleta quei corsi che, tra una quindicina d'anni, gli consen– tiranno di pubblicare l'opera a:Ua quale è ancorata saldamente la sua concezione: la Storia del teatro drammatico dalle ori– gini ai giorni nostri. Nel frattempo, s'In– forma, spinge lo sguardo fuori d'Italia e si rende conto d'i persona dello stato del– l'arte e della produzione drammatica un po' da4)pertutto. Dovunque trova confer– me. A Salisburgo assiste al portenti spet– tacolari di Max Reùlhardt; Jo colpisce la rappresentazione sacra di Oberammerga,u; conosce in Francia Jacques Copeau e con lui rid !chia.ra guerra senza quartle,re alla routine. Torna dai suoi viaggi carico di libri, di fotografie, di stampe, di notizie. E si batte per la regia, la geniale incar– nazione scenica della parola, in cui tutti gli elementi siano posti armoniosamente al servizio del testo, e per una scuola mo– derna di attori. Tramonto del grande at– tore, de,J '29, è il grido d'alla,rme suHa de– cadenza del!' arte drammatica In Ita1ia e l'Invito alla rinascita. Gli chiedono il progetto d'una scuola statale d'a.rte sce• nica: d'Amico vuol mettervi a capo Pl– ramde!lo; per l'insegnamento della regia Copeau. li Ministro rifiuta Pirandello, Mussolini boccia Copeau (si era in tem– po di «sanzioni>). D'Amico diventa lui il capo del1a nuova scuola. Di essa, dei suoi maestri e dei suoi metodi, delle sue vicen– de e delle centinaia di attori che es.sa ha dato alla scena italiana, non è qui possi– bhle rifare la storia. Per ria vere un'idea della qualità del suo apporto, basterà ci– tare qualche nome, degli attori: Ave Nin– chl, Vittorio Gassmann, Gianni Santuccio, Rossella Falk, Antonio Orast, Giorgio de LuJ!o, Antooio Pierfederici, Edda Alberti– nl, Antonio Battistella; dei registi: Orazio Costa, Ettore Giannini, Luigi Squarzina, Alessandro Brissoni, Mario Ferrero, sen– za parlare degli Innumerevoli, ottimi, buoni e men buoni, che ha dato alla ra– diotelevisione, per riavere un'idea della qualità del suo apporto. Si può dire che una nuova dignità S<:enica s'è venuta ir– radiando daH'Istituto. NeHa sua Accade– mia, che egli avrebbe voluto denominaire semplicemente «centro>, il Presidente organizzò riunioni e conferenze su.i pro– blemi della regia, da parte di studiosi ed esperti, da lui stesso poi ordinate nel vo- JlN TEATRO JEGLll * JERA SE~.PJRE SILVIO D'AMICO un IIOfflO e il suo magistero l4me ~ regia teatrale. Sul piano prati– co, H Presidente favoriva nel '39 la for. mazione di una Compagnia che per es– sere costituita di neodiplomati della scuo– la fu generaimente chiamata dell'Accade– mia e successivamente diretta da Corra• do Pavotlini. A questo primo tentativo d· vento di un nuovo te~tro, /!'~ra f,i.tta più stretta. Dalle colonne dei giornali e dalle pagine delle riviste più importanti. tra cui La Ntwva Antologia, sulla quale aveva già lottato Boutet e dove egli scrisse in!n· terrottamente dai! '31 al '46, d'Amico po– stula un dramma, che sia insieme poesia * nòn la tragedia, l'Italia attinge nella straordinaria perfezione forma,le del me– lodramma metastasiano il suo compenso e che, finalmente, in Goldoni la comme· dia italiana ha il suo poeta. Varcato ap– pena il Novecento, lo storico esa,lta nel– la Figlia di Torio di d'Annunzio i,J e fuoco Sih io d'Amico con Ludimilla Pitoeff, in una foto di questo dopoguerra Stabile ispirata a severi criteri d'arte s1 rifarà più tardi Orazio Costa per il suo Piccolo Teatro di Roma e si rifaranno Paolo Grassi e Giorgio StrehJer per quel– la Stabile milanese che, attraverso le ine– vitabili trasformazioni, ha tuttora vita felice. Intanto, sul fronte della poesia, !a lotta contro la « commedia borghese» per l'av- ed espressione del proprio tempo. Riuni– sce, presentandoli, saggi di vari sulla Storia del teatro italiano, affidandone l'introduzione a Pirandello, e pubblica la sostanza dei suoi giudizi su,! teatro italia– no contemporaneo organicamente inqua– drati nel volume Il teatro italiano del Novecento, nel quale tiene ad afferma,re che un bilancio come il suo, « dove tm iuta, qi,a11tità d.'011ere egregie se ne pi,ò annoverare d ' eccellenti, e uddiritti,ra qu,alche capolavoro • è un buon bilancio. spirituale>, e l'ardore di liberazione> dei suoi personaggi, « creature vive e dolo– ranti•· Finché si giunge a Pirandello. Pirandello fu la prova del nove dei criti– ci fra le due guerre. Due restarono: Adria– no Ti!gher e Silvio d'Amico. Ognuno con una personale visione dell'opera del dram• maturgo: l'uno, attraverso il contrasto di vita e forma, l'altro, attraverso H e teatro dello specchio , e « Il prisma delle perso– nalità>; l'uno. guardando l'opera con oc– chio filosofico, l'altro, evocandone hl sen– timento della pietà. Con la sua Storia del teatro dmmma– tico, Silvio d'Amico faceva il punto alla valutazione del teatro itauiano nel tempo e nel mondo. La serena oggettività del suo esame, il rispetto della prospettiva, la stessa visione panoramica, collocavano la scena e il dramma del nostro paese ai! lo– ro giusto posto, a un posto che le storie del teatro straniere, per malinteso sciovi– nismo e presuntuosa ignavia, non aveva– no ad es·s! mai riservato, segnalavano l'una e l'altro, una volta per empre, al· l'attenzione ammirata degli studiosi. Ma la sua sete di scoperte non s'arre– stava qui; e come era stato pronto a ri– conoscere e inquadrare la persona'lità pi– randelliana, cosi il critico v;de o indicò i «vocati• della nuova generazione: Mario Federici, Tuliio Pinelli, Valentino Bompia– ni, Diego Fabbri, Siro Angeli, fino agili ul– timi: Carlo Terron, Paolo Levi, Luigi Squarzina. Su tutte ascoltò e illustrò con particola,re rilievo le voci d•i Ugo Betti e di Eduardo de Filippo: ad Ugo Betti dedi– ca va un saggio pubblicato, mesi or sono, nei Cahiers di J. L. Barrault, dal titolo U. B., poète tragique. ti dalla R.A.L, nel quali raccolse le sue cronache, preziose come sempre per l'e• quilib1io e la chiarezza cristallina, della ormai celebre rubrica radiofonica del Chi è di scenarJ· e due volumetti, Mettere in. scena, sulla regia attraverso i tempi, e Epoche del teatro italiano, nitida epitome della sua passione di studioso di teatro. A conferma, se ve ne fosse bisogno, della perfetta impostazione da lui data ai pro– blemi teatrali del nostro tempo, basta guardare ai termini del discorso, che tut– teora si svolge sull'argomento e che, qua– lunque sia la posizione di chi discute, si muove sempre in quel cerchio. Un'opera doviziosa 1 t1.1ttaaccentrata nel teatro, ma che resterebbe monca, se non indagassimo il perché della vocazione. E' stato detto che nell'elezione del teatro a supremo godimento estetico da parte del critico abbia pesato il carattere di < ,ni– stero >, ohe è proprio del Dramma. Ed è giusto. Sarebbe stato ancor più giusto di– re che abbia pesato il carattere religioso che ha il teatro nei due sensi: del senti– mento metafisico e del legame collettivo, di ·quella che d'Amico stesso chiamava < religio >, unione dei singoli nella fo!la compresa daltlo stesso evento poetico: "l.!o– munione >. Da cui scaturiva il senso solen– ne del Dramma e di chi lo interpreta, li caratt:ere di <missione> riservato al!'atto– re, la riverenza verso una forma d'arte, in apparenza frivola o tenuta per tale, in realtà capace di adunare nel suo tempo effimero la più alta e complessa prova d'arte. Per un divino prodigio la parola si fa carne nell'attore e diventa poesia, ie– game caldo d'umanità. Era l'approdo ne– cessario del reaùismo di Silvio J'Amico, C'era in lui il senso di un destino c;imune, un bisogno cristiano di solidarietà (non filantropia, egli diceva, ma carità l, il bi– sogno di salvarsi insieme con gli altri, ma di salvarsi, dopo aver fatto ognuno il proprio dovere. Perché, dopo aver tanto parlato, non si è ancora detto niente, se non si rico!.·da che d'Amico era romano e cattolir.o e che .<Ila sua fede e a Roma ha dedlc~to non piccola parte del.a sua attività di giorna– lista e di scrittore. Allora, veramente, s'intende appieno la sua personalità e il come e il senso della sua vocazione. D' A· mica non era e non si senti va mai solo. Aveva secoli di storia dietro di sè ed altri ne vedeva innanzi a perdita di vista. Bi– sogna va leggere le pagine che egli ha de– dicato a Roma nel suo libro Bocca della veri.tà per intendere come per lui la Cat– tolicità fosse lo sbocco naturale d~l de– stino eterno d-i Roma e come in essa ve– desse unita tutta l'umanità in marcia verso un altro eterno. Perciò, la sua chie– sa era San Pietro e il suo poeta era Belli. Spkito liberalissimo in fatto d'arte, pronto ad accogliere tutte le espressioni purché segnate dalla grazia creativa. Sll– vio d'Amico concepì il teatro come un ri– scatto e un completamento della ,•ita. Avendo appresa dal Boutet la lezione re– llgiosa del teatro come « tempio>, come luogo d! celebrazione poetica d'una verità collettiva, s'appuntò nel sogno d'un Dram– ma che, per la terza volta nella storia del– la civiltà occidentale, ripetesse Pincontro felice tra palcoscenico e platea e rinno– vasse ora, in forma e accenti originali, la miracolosa scommessa del medioevo cristiano, imbrigliata e arricchlta dalle numerose esperienze dei secoli posteriori. Qui, lo storico dà la mano all'uomo di fede e dalle conferme attuali trae l'impul– so a ritrovare In Dio e nel destino dell'uo– mo sollecitato dal Cristo la via maestra della poesia teatrale. )iessuna occasione è negletta perchè l'idea si convalidL Fin– ché, egli stesso, il critico, si mette all'o– pera e dai vivi brani del dramma sacro ricostruiS<:e l'unità della vita del Salvato– re: fatica preziosa, che ancora una volta gli mostra la vanità di far teatro vivo con le stupende ma Ineguali composizio– ni medioevali bisognose di raccordi e l'ur– genza di un nuovo dramma sacro o alme– no cristiano, contesto delle più ricche e dolorose esperienze moderne. San Miniato. La prima Festa del Tea– tro Indetta dall'Istituto del Dramma Po– polare nel '47 si farà senza di lui, che in giro per conferenze teeatrali in America non può intervenire. ?vla l'anno dopo il critico assiste ali' Assassinio nella Catte• drale di Eliot e accusa li colpo. D'ora In poi, San Miniato avrà trovato li suo Inter– prete e consigliere, i:! suo custode appas– sionato. In San Miniato risuonerà l'ulti– ma sua pa.rola e sarà una parola di vita. Si dice di solito che dal dire al !are c'è cLlmezzo il mare. Per d'Amico questo pro– verbio non esi,;teva. Per noi d'Amico era movimento e diS<:orso: la stessa parola scritta viveva come richiamo, come una voce più composta, ma calda. Quante pa· role ha detto, quanti richiami ha lancia– to, quante pagine ha S<:ritto, quanto ca– lore ha dispensato! E quanti consigli partirono da lui, In quanti congressi e Iniziative e riunioni, in quanti frangenti fece sentire la sua vo– ce, o!!rl il contributo appassionato e chia– rificatore del suo grande Ingegno, della sua vasta· cultura (vera cultura, di pri– missima mano e rifatta suo sangue), del– la sua personalità animatrice e ricon– fortante! Si, il teatro fu la sua passione, Ja nota tematica della sua vita. E noi lo ricordia– mo per questo. Ma le dita che cavavano quella nota erano innamorate. Ciò che egli scrisse e fece per il teatro non sa– rebbe niente, se non vi scorresse dentro sempre questo fervore, questa vita, que– sta presa diretta di possesso, e questo realismo sicuro, questo bene concreto, questo ,;gore ed equilibrio. E' questa lie– ta dedizione, questa facoltà di darsi tut– to a tutti che costitulsce il fukro della sua personalità, l'indice rivelatore del suo mondo. Dovendo fornire un documento augµsto alla memoria di una sua allieva diletta, Sl!vio d'Amico ricorse all'Imitazione di Cristo; e come accade che, volendo ll!u– strare se stessi, d'Amico scelse il brano strare sè stessi, d'Amico scelse il brano che parla dell'amore ispirato da Dio. Dice quel brano: < L'aniante 1.,:ola,corre, giu,. bila, è libero e niente lo può tratte,nere. L'anwre spesso non conosce ·misura, ma fuor di misura divampa. L'amore no11 sen– te il peso, non teme le fatiche, vorrebbe fare più di quello che puÒ, senza scusarai coll'impossibilità, perchè si crede lecito e pos.;-ibile tutto. L'amore veglia, ed anche dormendo vigila. Affaticato 110n si stan– ca; pressato non opera per forza,; minac– ciato non si tt.rba, ma qual uivida fiam– ma e ardente fiaccola si spinge in alto e sic!kramente va oltre.> Silvio d'Amico fu l'immagine ,iva. l'incarnazione urna• na di questo amore. ACHILLE FIOCCO red~ anche < La. miuione teatrale cU Silvio d'A.. mico >, ln La Nuova Antologia del mano 19.55. Carneule 1955, all'Accademia d'Arte Drammatica di Di dove proviene tanto ottimismo? Co– me mai d'Amico è cosl positivo nell'esa– me del più recente teatro itail!ano? Che cosa è accaduto 7 E' accaduto che lo sto– rico ha rifatto pazientemente il corso dei teatro in tutti i paesi e ha conchiuso che l'Italia ha dato al Dramma e .r!la Scena mondiale un cont•ributo dal quale non si prescinde. La Storia del teatro dramma– tico, pubblicata nel '49, è la magna charta del nuovo statuto. In essa si accerta che una tradizione drammatica esiste, ecco• me, anche in Italia, che per certi aspetti l'Italia ha dato ii <la>, è servita di mo– dello al teatro degli a,ltri paesi, che li dramma sacro è fiorito con particolare ardore tra noi e ha effuso la sua luce dalle strofe angosciate del Pianto della Madonna di Jacopone da Todi; che dalile scene dell'Orfeo dei Poliziano è nato un genere, la < pastorale •· e che il genere dopo aver dato un capolavoro nell'Aminta dei Tasso ha dli aga to per ogni dove crean– do una moda; che H Cinquecento adempie come massa al compito di tramandare il meglio dell'antica materia e offre il calco ai massimi drammaturghi europei; che nella Mundragola di Machiavelli la Rina– scenza ha colto un altro capolavoro, men• tre i commediogra!i dialettali sfuggono alla soggezione umanistica; che la Com– media dell'arte conta bene per decine d1 commedie e come organizzazione e spJ.ri– to impronta di sè la Scena del tempo e del secoli ulteriori, sino ad oggl;__che, se L'ultima sua impresa si chiama Enci– clopedia dello Spettacolo, che nel '45 sem• brò un'utopia e che oggi è viva realtà, con uh corpo imponente di redattori e di col– laboratori di tutte le parti del mondo. Le sue ultime pubblicazioni sono: i due volumi, Palcoscenico del dopoguerra, edi- A Roma nel 1953: coi bambini della Meschini Romagnoli (loto Palleschi) '

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