la Fiera Letteraria - XI - n. 2 - 8 gennaio 1956

Domenica 8 gennaio 1956 LA FIERA LETTERARIA FRANR LLOJ?D WRIGHT Qnesle pagine inedie.e del grande arehhelto a111erl• cauo Frank Lloyd ";right fanno parte dl una auto– biografia in 3 ,•ohuni che prossiJ11an1en1e verrà pu.b– blical a dall'editore ~lon– dadori di ~Ulano nella Serie d'Arte della sua «Bi– blioteca couteu1poranea» IO. E L' AD(JDITETTURA Il u1aestro L'andatura stessa del Maestro, allora, era pericolosamente tronfia e orgogllosa. Egli non aveva la minima considerazione per i disegnatori, come, negli anni suc– cessivi, ml confidò più d'una volta. Né, a quanto mi constava, nutriva rispetto per chiunque, eccettuati il gran capo Dank– mar Adler. che amava e nel quale aveva fiducia, e Paul Mueller. Nessuno dei suoi contemporanei ebbe mai da Louls Sullivan altro che disprezzo, tranne H. H. Richadson, Si degnava di criticare costui, e non era cosi spietato con John Wellborn Root come con tutti gli altri. Evidentemente lo apprezzava. Ma Richardson influenzò notevolmen– te, in quel periodo, l'opera di Sullivan,' come è dimostrato dall'esterno dell'Au– ditorio, dal • Walker Wholesale > e di altri edifici. Questa Influenza è eviden– tissima. anche se egli non sembrava te– nere R!chardson in grande considera– zione. Ritengo che Sullivan, il Maestro, soles– se parlarmi per dare llbero sfogo al pro– pri sentimenti e pensieri, noncurante e li più delle volte dimentico di me. Ma riuscivo a seguirlo. E la radicale valuta– zione delle cose che già. intuitivamente, m'ero formata, ritraeva da lui grande In– coraggiamento. In Sullivan. anzi, agiva– no quegli stessi Impulsi ch'io avevo sen– tito come una ribell!one, Ero tutto calato, allora, In quello che sembrava un vero e proprio culto di Wagner. Non potevo condividerlo, ma riu– scivo a comprenderlo. Più, volte, seduto al mio tavolo da disegno, tentava di can– ticchiarmi I motivi condutto1i e di de– scrivermi le scene alle quali si accom– pagnavano. Adorava, e in ciò ero con lui, Whitman. E, spiegatevelo come vi pare, conosceva a fondo Herbert Spencer. Ml 'diede la Filosofia sintetica, di Spencer, da• portarmi a casa In lettura. Egli stesso ave– va appena scritto Ispirazione. Me lo les– se. Lo giudicai una specie di abbaiamento alla luna. Una volta di più, troppo senti– mentalismo. In quei primi tempi, non mi piacquero mal I suoi scritti. Ancora e sempre, l'In– sidioso sentimentalismo faceva capolino anche lui. E quello ch'era stato sempllce sospetto cominciò ora a maturare in ap~r– ta ribellione contro il sentimentalismo in genere. Ben presto. terminato l'Auditorio, ven– nero nuovi lavori: il teatro d'opera di Pueblo (poi distrutto da un Incendio), Il Salt Lake City Hotel, del quale furono gettate le fondamenta, ma che non venne mal costruito :una delle tragedie dello studio. Lavorai molto al progetti, assieme a lui. Fin dall'inizio, la riga a T e la squadra erano stati facili mezzi di espressione per il mio senso geometrico delle cose. Ma, in quel periodo, l'ornamentazione •·sul– l!vanlana" era puro e semplice stile flo– reale. Il signor Sullivan parlava ancora di John Edelman. Lo aveva conosciuto a Parigi e gli aveva fatto visita a New York. John Edelman era Il suo critico più rispettato ,per non dire maestro. NU-: trivo rispetto per Eàelman, non sapendo più di questo sul suo conto. Possiedo un certo numero di disegni eseguiti da Louls Sullivan a Parigi e dedicati a John Edelman. Ogni volta che Il Maestro affidava a me relaborazione di un particolare, ln– frammenttevo nel suo st:le floreale, tutto senso, qualche disegno geometrico, per– chè, presumo, non sapevo fare altrettanto bene alcun'altra cosa. E. inoltre, ml pare– va che quel modo di lavorare valorizzasse le superfici, consentisse i necessari con– trasti, fosse più architettonico. E, infine, meno sentimentale. Ma non potevo dirgli questo, e non ne ero certo io stesso. Varie volte mi riprese a questo ri– guardo, per tentare di "darmi vita", come soleva dire, finchè non riuscii a disegnare cosi bene alla sua manlera che, nella vec– chiaia, scambiò a volte per suoi miei disegni. Divenni un bravo disegnatore nelle ma– ni del Maestro, e in un momento In cui egli aveva estrema necessità di un abile collaboratore. E poichè riuscii ad essere questo per lui, potè disporre di maggior tempo libero che per Il passato. Suol com– pagni inseparabili erano. allora Healy e Millet, con i quali aveva stretto amicizia a Parigi. Trascorreva gran parte del suo tempo con loro e con Larry Donovan, dello studio Yale e Towne. · Il n1aestro. e io E cominciarono a trasconere· I primi Incomparabili anni di magistero e appren– distato-. Louls Sullivan, il Maestro. e io, Io svegHo apprendista, dalle tendenze ra– dicali e sempre pronto alla critica, ma sempre disposto a Imparare. Cl eravamo già trasferiti all'ultimo plano della torre dell'Auditorio, ove io occupavo una pic– cola stanza accanto alla sua e sorvegliavo li lavoro d'una squadra di trenta disegna– tori in fatto di progetti ed elaborazione di particolari. A Mueller adesso facevano capo gli ingegneri e · capi-eantiere; gli era riservata l'estremità opposta della lunga sala, con la :ma fila di finestre orientale a nord. Adler e Sullivan erano ormai assurti a un'Importanza di primis– simo plano nslla loro professione. f! la– voro soprattutto palazzi di uffici, teat1•i e club,' passava senza posa per lo studio in una Ininterrotta sequenza. Il nostro era uno degli studi più all'avanguardia e più, fortunati di tutto 11 Paese. Dankmar Adler aveva fatto parte dei genio militare. Riusciva a conquistarsi la fiducia sia degli impresari sia dei clienti, e sapeva trattare con entrambi In modo magistrale. Sollevava di peso un appalta– tore come il mastino potrebbe afferrare un gatto Io scrollava e lo lasciava cadere. Cer!;Uni ~vevano l'abitudine di fortificJrsi con uno o due bicchierini di liquore prima di• salire a parlargli. Tutti lo adoravano. Era un buon proggettlsta, un abile critico, ma criticava tutti tranne Sulllvan, nel cui genio aveva f!du_çia illimitata. Sempre che "Io credo debba nulla la consegmre possa ma,, semplicità, essere semplice di per nel senso che gli artisti una· parte perfellamenle sè, ma che ogni cosa dovrebbero attribuire realizzala di un tulio al termine, come organico soltanto Gesù ha parole: · scritto Guardate il supremo saggio come crescono i gigli sulla semplicità del campo,, con queste si rlvolge;a a lui chiamandolo Sulllvan, mal Louls. Sembra che lo avesse assunto come di– segnatore quando, giovanissimo. Sulllvan era uscito dalla scuola di Belle Arti. In seguito lo fece suo socio, quello che già da allora si chiamava socio progettista. Gli architetti tutti consideravano l'archi– tettura dal di fuori ... a quel tempi. E cosi v'era un uomo per farla, e un altro per nsmerciarlan. Ma Adler e Sullivan non erano proprio cosl. Dankmar Adler era ebreo. Louls -Sulll– van Irlandese. E polchè tutti j clienti era– no clienti di Adler, molto di essi facevano obiezioni contro Sullivan. Ma non avevn ;m– p6rtanza. Dovevano· accettare Sllllivan o ri– nunciare <1 Adler. Gli atteggiamenti e il ca. rattere di Sullivan in quel periodo li si 'p11ò desumere dal destino di Weatherwax, lo sfor– tunato disegnatore uscito dallo studio lo stesso giorno che io v'ero entrato. Ma, fin Un'immagine r{i 'Wright in età gio\•anile dall'inlzio, avevo intravisto un lato diverso di -Sulllvan. Gli piaceva disconere con me e più volte stavo ad ascoltarlo quando già s'erano spente le luci negli uffici ai plani più alti della gran ,torre dell'Auditorlo che dominava il lago di Michigan o la città lilumina.ta . Talora seguitava a par– lare come se si fosse dimenticato di me; seguitava a parlare fino a notte Inoltrata. Probabilmente cl provava gusto a eserci– tarsi 'In quel modo. E io saltavo sull'ulti– mo tram per Oak Park, e andavo a letto senza cena. Come ho avuto agio di riflettere in se– ,guito, sembrava ignorare la macchina quale diretto elemento dell'arcl1itettura, astratta o concreta. Non vi accennò mal. E gli premeva "una regot·a cosi ampia 'da non ammettere eccezioni". Ma a nessun costo io potevo invece fare a meno, allera come oggi, di Interessarmi alle eccezioni, per confermare !!utilità o l'Inutilità delie regole. · · ,Tuttavia, queste sue confidenze a me, ammirato ,e affezionato, anche se critico. ascoltatore, miconsentirono ben presto di comprenderlo. Al pari di tutti I geni. era un chiuso- egocent,:ico: esage,:ata sensi– bilità, vitalità senza limiti. Un tale egoti– smo, però, è più corazza che carattere, più guscio che sostanza. E'' la consueta difesa contro un'esasperata sensioilità, dl– fesa che si tramuta In abituciine. E, no– nostante le sua ansia di verità incapace di compromessi, era un Incorreggibile l'O– mantico. Ho imparato a non vedere In ciò nulla di contraadittorlo, t,:anrle quan– do Il romantico degenera nel sentimen– tale. Anche Louls Sulllvan si abbandona– va a volte' al sentimalismo. Quale ricco temperamento, però, non vi Indulge, a volte. e quando meno sospetta la verità non nega con Indignazione di lasciarsi andare a Intenerimenti?· Ma nel corso di tutto questo periodo, in cui Il gotico alla generale Frant fu la voga prevalente· e Chicago divenne Il cen– tro della bruttura fondamentalista unita degli Stati Uniti, Il suo buon' senso tagliò netto nella plaga. Le costruzioni del romantico Rlchardson e del sensibile Root cominciavano ad ap– parire, ma edifici come la Potter Palmer House, sulla Lake Shore Drive, erano tut– tora il non plus ultra. La Palmer Home, la · Palmer House e la Camera di Com-· mercio rappresentavano l'architettura a,1- Iora di moda. Gli edifici di Adle1· e Sul– Jlvan erano In confronto puri e scabri. Si pensi al Borden Block ,al Gage Bullding e ad altre costruzioni nella zona mercan– tile· di Chicago di questo primo periodo. Nell'ornamentazione di quel primi edifici è visibile l'influenza di John Edelman. Uostrue1u1o la casa nuova Per prima cosa, costruendo'Ia casa nuo– va, ,bisogna va liberarsl della soffitta, e pertanto dell'abbaino. Eliminare le Inutili false altezze sopra la casa. Poi liberarsi dell'Intero scantinato, si, assolutamente. In qualsiasi casa costruita nella prateria. In luogo degli esili comignoli di mattoni che' spuntavano dappertutto come a evo– care il giorno del Giudizio, vedevo la ne– cessità di un solo comignolo. Un comi– gnolo ampio e generoso, o al massimo due. E di altezza limitata su tetti a dolce spio– vente o magari su tetti piani. Il grande camino nell'abitazione .sottostante diven– ne ora un luogo in cui accendere auten– tico fuoco. A quell'epoca un vern focolare era qualcosa di straordinario. Lo sosti– tuivano i caminetti. Il caminetto era una incorniciatura di marmo per ospitare po- chi pezzi di carbone sulla grata. Oppure un vero e proprio mobile di legno rivesti– to di cotto all'interno, addossato - sol– tanto addossato - alla parete a stucco o a tappezzeria. Un Insulto alla comodità. E cosi il camino "integrale" divenne un elemento importante nella costruzione stessa delle case che ml venne consentito di erigere nella prateria. Ml confortava vedere Il fuoco bruciare profondamente nella sollda muratura del– la casa ... Una sensazione che mi ha. sem– pre accompqgnato. Prendendo come metro un essere uma– no, ridussi l'intera casa in •':1:ltezzain modo che si adattasse a un uolno di sta– tura media, vale a dire a un uomo alto un metro e settanta. E' questa· la mia statura. E polchè non credevo , in alcun altro metro, all'lnfuO)'i di quello umano, allargai le masse per quanto ml. era pos– sibile, In modo che guadagnassero spazio in senso orizzontale. Si è detto che· se fos– si stato più alto di sei o sette ce11tlmeM, tutte le mie case' avrebbero avµto propor– zioni moltò diverse. Può darsi. Le mura della casa poggiavano ora dl– rettamertte sul teneno con una superficie di cemento o di pietra che somigliava a una bassa piattaforma sotto l'edificio, e di solito lo era. Ma le mura si fermavano all'altezza del davanzale delle finestre del secondo piano per far si che le camere da letto si alyneassero con una serie inin- , terrotta di finestre sotto l'aggetto dell'am– pia gronda di un tetto a dolce pendenza. In questa casa nuova 11 muro cominciava a essere considerato un ostacolo contro là. luce e l'aria e la bellezza esterna. Era– no state le mura a dar luogo alle scatole nelle quali occorreva praticare fori. Pro– gettando la casa Winslow non mi ero an– cora llberato da questa concezione delle mura nella costruz\one. Ma In seguito Il mio pensiero cominciò a modificai-si. Non consideravo più la parete come il lato di una scatola. ma come la chiusura di uno spazio destinata a consentire pro– tezione contro Il maltempo o contro Il ca.Jore. quando ciò si rendesse necessario. Ma doveva a!tresl portare nella casa il mondo esterno e permettere che l'interno della casa si espandesse all'esterno. In questo senso eliminavo la "parete" come tate: e l'avvicinavo alla sua funzione di scherno, di mezzo per aprire lo spazio, che, con il progredire del dominio uma– no sul materiali da costruzione, avrebbe Infine permesso ,il libero uso dell'inte)'o spazio senza Infirmare la solidità della struttura. E Il clima essendo quello che era, vio– lento nelle variazioni di temperatura, di umidità e aridità, di luce e oscurità, diedi all'insie~e la protezione. di un ampio tet– to, restituendo cosi alla gronda la sua funzione originaria. La parte Inferiore di essa era plana e In tinte chiare per crea– re uµa lumlrtosità riflessa che si dif(on– deva senza abbagliare nelle stanze supe– riori. Gli aggetti dei tetto avevano una duplice utilità: riparo e difesa per le mu– ra della. casa, nonchè questa poiezlone di luce riflessa nel secondo plano attrnverso gl,I "schermi luminosi" che sostituivano le pareti e spesso erano ormai costituiti da finestre In serie' Ininterrotta. E in questo periodo concepii essenzial– mente la casa come spazio interno abita– bile posto sotto un ampio riparo. Ml pia– ceva il "senso del riparo" nell'aspetto del– l'edificio. E ml piace tuttora. · La ,casa cominciò a integrarsi col ter– reno, a 'connaturarsi con la prateria che costituiva il suo ambiente. E crederebbe il giovane architetto che tutto questo allora co,stituiva una novità? Sì, non solo novità, ma distruttiva eresia ... ri– dicola eccentricità. Un poco lo è tuttora. Fuori dal comune, ancora, ma· allora tut– to era cosi nuovo che le mie prospetti ve di gÙadagnarmi da vivere costruendo ca– se, per poco non naufragarono. A tutta prima ' 'lo.re " definirono le mie case "tipo riforma del vestiario", perchè la Società era In quel tempo tutta presa da tale particolare riforma. La mia semplifica– zione costruttiva apparve ai provinciali come una specie di riforma. · Ciò che ho appena descritto si trqvava all' "esterno" della casa. Ma vi si trovava soprattutto In rapporto a quanto aveva avuto luogo all' 11 tnterno". • Le abitazioni di quel periodo erano sud- divise, deliberatamente e completamente, con la truce determinazione che è logico si accompagni ad ogni J?rocesso di disse– zione. Gli Interni consistevano in una serie di scatole affiancate, o scaLole inter– ne, chiamate camere. Tutte le scatole e1·a– no racchiuse' In una complicata scatola esterna. Ogni attività domestica si com– pendiava In un rapporto di scatola a scatola. Ml pareva che vi fosse ben poc.o di ra– gionevole In questa Inibizione. In questo seque~tro cellulare che faceva pensare ad antenati pratici di Istituti penali, fatta eccezione per l'Intimità delle camere da letto al primo plano. Come scatole per dormirvi andavano forse benl,ssimo. Per– tanto considerai l'Intero pianterreno co– me un unico ambiente, separandone la cucina in quanto laboratorio, ponendo gli alloggi della servitù accanto alla cucina, ma semi-separati. Poi "schermai" con tra– mezzi vari settori del vasto ambiente per certi· fini domestici, come quelli del ci- barsi, leggere, ricevere visite. · A quel tempo nessuna abitazione era mal stata distribuita in questo modo. Ma I miei cllentl si lasciavano tutti convin– cere a tali Idee In quanto utili a risolvere 11 noioso problema della servitù. Scom– parvero decine di inutili porte e innume– revoli pareti divisorie. Sia I clienti che I loro domestici apprezzavano la nuova li– bertà. La casa divenne più libera nel sen– so dello spazio e anche più abltablle. La "spaziosità" cominciava a farsi luce. Era la fine deila casa caotica. Méno porte. me.no buchi per finestre berichè alle finestre si aprisse uno spazio assai maggiore; finestre e porte abbassate fino a convenlen'tt altezze umane. Una yolta realizzati tali cambiamenti, i soffitti delle stanze potevano essere collegati alle pa– reti per mezzo delle ampie fasce orizzon– tali di gesso che correvano sulle pareti stesse sopra le finestre ed erano della stessa tinta del soffitti. Ciò faceva si che la superficie e Il co!oi·e dei soffitto si ab– bassassero fino alle finestre. I soffitti cosi ampliati dalla fascia alla parete sopra le finestre davano un generoso senso di spazio anche alle stanze più piccole. L'ef– fetto complessivo era ampliato e reso, pla– stico da tale espediente.' Qui entrava in giuoco l'importante, !\Uo– vo elemento della plasticità, cosi come io Io concepivo. E lo concepivo come un 'In– dispensabile elemento dell'uLlle uso della macchina. Le finestre venivano a volte Incurvate Intorno agli angoli della casa come una Interna enfasi di plasticità, e per Intensificare il senso dello spazio in– terno. Ml battei per le finestre che· si aprivano verso l'esterno poiché ta,le si– stema associava la casa èon l'ambiente circostante ma le dava libero sbocco al– l'esterno. In altre parole, la cosiddetta finestra a cerniera era non solo semplice, ma, più umana nell'uso e nei i:isultati. E molto più naturale. Se non fosse esistita, l'avrei inventata. Ma non veniva utiliz– zata a quel tempi• negli Stati Uniti •e perdetti molti clienti per aver insistito affinché l'adottassero. II cliente de,sidera– ,;a In genere la finestra ad apertura ver– ticale Oa finestra a gh1gJi·ottina). allora in voga, anche se non era nè semplice nè umana. Me ne· servii una sola volta, nella casa Winsiow, e in ,seguito la rifiutai sem– pre. Nè, per Il momento, eliminai del tut– to le incorniciature decorative di legno. Le resi plastiche, però, vale a dire sottili e lnintenotte, In' luogo di quelle allora predominanti, pesanti ·e scolpite, lavori di falegnameria. La macchina era In grado di produrle alla perfezione cosi come lo le disponevo, In questa 'ricerca di serenità. Le lncornlçiature plastiche consentivano di nascondere la scarsa abilità degli arti– giani. E v'era un gran bisogno, 'allora, di nasconderla, poichè la battaglia fra le macchine e la Trade Unlon aveva già cominciato a demoralizzare gli operai: Le possibilità. delle macchine di 9uel periodo erano' comprese in cosi scarsa misura che occorreva preparare disegni particolareggiati so)tanto per far capire all'operalo· che cosa non dovesse fare. Non solo nelle decorazioni ma in molti altri modi che sarebbe troppo noioso de- . scrivere, q_uesto rivoluzionario concetto di un Insieme plastico cominciò a operare In modo sempre più intelligente e ad avl!re affascinanti, impreviste co,nseguenze. La La famosa casa sulla cascata grande maggioranza delle persone aveva sopportato tino al limite della pazienza le case di quel periodo, a giudicare da come Il mutamento venne apprezzato. Veniva ora realizzato un Ideale di semplicità or– ganica, con storiche conseguenze non solo sui nostro Paese, ma sul pensiero del mondo civile. Semplieità Nel corso di questi primi sforzi costrut– tivi. ml resi ben presto conto che la sem– plicità organica dipendeva dalla compren– sione con la quale si riusciva ad attuare la coordinazione da me descritta. L'Inge– nuità non era per necessità di cose sem– p\lcltà. Questo era evidente. I rozzi mo– bili nello stile cosiddetto Roycrofb-Stlc– k!ey-Mlsslon, venuti di moda In seguito, erano sf,cclatamente Ingenui. ingenui F. L. "'right con la moglie quanto la porta di un granalo, ma non furono mai semplici nel vero senso della parola. E neppure, me ne resi conto, erano di per se stessi necessariamente semplici gli oggetti fabbricati a macchina. • Pen– sare • soleva' dire Il Maestro significa oc– cuparsi di cose semplici>. E ciò significa tenere presente il tulto. E' questo, ritengo. l'unico segreto della semplicità: dobbiamo cioè essere convinti che nessuna cosa è di per se stessa sem– plice. Io credo che nulla possa mal essere 'semplice di per sè, ma che ogni cosa debba conseguire la semplicità, nel senso che gli artisti dovrebbero attI-ibulre al termine, soltanto come una parte pe1•fet– tamente realizzata di un tutto organico. Solo in quanto un particolare, o una parte qualsiasi diviene elemènto armonioso del– l'armonico tutto. può pervenire allo stato di semplicità. Qualsiasi fiore selvatico è realmente semplice, ma se si riproduce lo stesso fiore selvatico coltivandolo, esso cessa di essere tale. Lo schema dell'origi– nale non appare più chiaramente. Chia- 1 rezza di struttura e, perfetto significato sono entrambi fattori essenzialissimi alla innata semplicità del gigli di campo. ".Essi non faticano nè filano." Gesù ha scritto il supremo saggio sulla semplicità con q_ueste parole: "Guardate come crescono i gigli del campo". · Cinque linee dove ne bast:ano tre sono sempre stupidità. Nove chili dove ne ba– stano tre. sono obeslLà. Ma eliminare i termini espressivi, parlando o scrivendo, le parole che intensificano o rendono vivo il significato, non è semplicità. Nè è sempli– cità una analoga eliminazione nel'l'archi– tettura. Può essere invece, e di solito è, stupidità. In architettura. gli espressivi mutamen– ti· di superficie, Il risalto attribuito alla linea e particolarmente alla tessitw·a del materiale, all'idea base, possono rendere I fatti più eloquenti, le forme più signifi– cative. L'eliminazione, pertanto, può es– sere priva di signlficatò quanto l'elabora– zione ,forse lo è anche più di frequente. Sapere ciò che si deve escludere e ciò che va accolto; esattamente dove, e in modo, ah, questo si vuol dil'e essere edu– cati alla conòscenza' del "semplice", ai fini dell'estrema libertà di espressione. In quanto agli oggetti d'arLe nella casa, a,nche In quel primo periodo essi furoQo le bétes noires della nuova semplicità. Se scelti bene, niente da dire. Ma solo nel caso che ciascuno di essi si armonizzasse opportunamente con l'Insieme. Sculture antiche e moderne .diplutl, ceramiche, potevano benissimo entrare come scopi nella progettazione architettonici\, E io li accettavo, miravo spesso ad essi, ma li assimilavo. Questi preziosi oggetti posso– no non di rado trovare li loro giusto posto come elementi nella struttura di qualsiasi casa, e può darsi che sia gradevole e bello vivere loro accanto. Ma una tale assimi– lazione è straordinariamente difficile. E' prefe)'ibile, in ge11ere, prngettare tutto come caratteristiche integrali. Tentavo di convincere I miei clienti del fatto che I mobili e l'arredamento non costruiti come parti integrali dell'edificio avrebbern dovuto essere disegnati In mo– do da esser complementi di qualsiasi cosà ne facesSe parte e considerati come aces– sorl dell'edificio stesso, anche se staccati o tenuti da parte per essere impiegati solo in determinate occasioni. Ma quando la casa era finita, di solito i vecchi mobili che I clienti già possede– vano vi entravano assieme ad essi. ad aspettarvi il momento in cui l'interno potesse essere completato in tal senso. Ben poche case, pertanto, non mi riusci– vano penose dopo che i clienti vi avevano portato la lorn roba. Pag. 3 Presto, comunque, trovai difficile pro– gettare parte dell'arredamento In astrat– to. Progettarlo, cioè, come architettura e renderlo al contempo umano ... adatto agli usi umani. Per quasi tutta la mia vltà. ho sempre avuto del lividi In qualche punto del corpo, In seguito a troppo Intimi con– tatti con I miei primi mobili. Gli esseri umani debbono 1iunirsi. star– sene seduti o . allungati, maledizione a loro, e debbono mangiare. Ma la necessità del. pasti è assai più !acile a risolversi ed offrire sempre grandi opportunità arti– stiche. Predisporre un ambiente In cui talune persone se ne staranno comoda– mente sedute, sole o In gruppo, e fare In modo che nonostante li disordine si Inte– grino nello schema come un tutto: questo sl è difficile a compiersi. Ma cl si può riu– scire, ora, e ci si dovrebbe riuscire, polchè solo possono essere armoniosi quegli at– tributi di comodità e di vantaggio umano che appartengono al tutto in questo sen– so moderno di Integrazione. La praticità e la comodità umana non dovrebbero essere sacrificate alle idiosin– crasie di qualsiasi progettista. La prati– cità e la comodità umane dovrebbero per– vadere ogni In terno, essere senti te in ogni esterno. La decorazione ha per fine di rendere l'uso più attraente, e la comodità più appropriata; In caso contrarlo, si abu– sa di un privilegio. DI mano in mano che questi ideali si concreta vano di casa In casa, la Ubertà. di spazio e l'eliniinazione delle Inutile al– tezze diedero infine luogo al miracolo del– l'abitazione nuova. Un senso di appropria– ta libertà ne aveva mutato l'Intero aspetto. L'Insieme divenne diverso, ma più adatto a essere abitato dall'uomo e più naturale nel suo ambiente. Una volta che una casa fosse stata costruita In base a tali prin– cipi, era Impossibile immaginarla altrove. Era sorto nel nostro Paese un senso com– pletamente nuovo del valori spaziali in architettura. E ora appare chiaro che qu~– stl nuovi valori entrarono a far parte dell'architettura di tutto li mondo. SI era pervenuti a un nuovo senso di riposo dovuto ai sereni effetti delle linee rette. La linea retta e la superfl~e piana valo– rizzata orizzontalmente entrarono di col– po. trentasette anni or sono a far parte degli edifici, cosl come le vediamo nei piroscafi, negll aerei e nelle automo– bili, per quanto fossero in intima relazjone con I materiali da costruzione, con l'am– biente e con l'uomo. Ma, più importante d'ogni cosa, e a tutt'oggi - man mano che se ne estende l'applicazione - assurgente a sempre mag– giore dignità in quanto idea, era l'lde!'le della plasticità. Tale ideale comincia ora a farsi luce come mezzo per realizzare l'archltettw·a organica. Plastleità. La plasticità è visibile nell'espressivo rivestimento di carne dello scheletro, ,[n contrasto con l'articolazione dello schele– tro stesso. Se davvero la forma si "ade– guava alla funzione" - come dichiarava il Maestro - ecco il diretto mezzo di espressione dell'idea - più spirituale - che forma e funzione coincidono: Il solo autentico mezzo che riuscissi a intrave– dere allora. e anche adesso, per eliminare la separazione e la compilazione dei tagli e degli incastri della falegnameria In fa– vore dell'espressivo fluire di superfici con– tinue. Ecco che, a tutta prima per Istinto entrò nelle costruzioni un principio che ha da allora continuato a svilupparsi. Nel mio lavoro, il concetto di plasticità è ora visibile come l'elemento della ·continuità. In architettura, la plasticità non è che la moderna manifestazione ài un antico concetto. Ma il concetto trasferito nella struttura e nei rapporti umani, ricreerà. In un mondo gravemente "disunito" e di– sperato, l'intera impalcatura della società umana. Il magico aggettivo "plastico" era. un termine di cui lo stesso Louls SuJIJvan ama va servirsi in rapporto al suo concetto dell'orn~mentazipne. Ma perchè non ap– plicarlo in- senso più vasto alla struttura dell'edificio stesso? Perchè applicare un principio a. una parte, se esso non vive nel tutto? Se davvern la forma si adeguava alla funzione - lo faceva in senso materiale pér mezzo di questo ideale della plasticità, il concetto spirituale della forma. e della. funzione come un tutto - perchè non rinunciare completamente al suggertmen- _ ti della colonna. o verticale, e della' trave, o orizzontale? Fare a meno delle travi e delle colonne che si ammonticchiano come un lavoro di "falegnamer:a". E delle mo– danature. E di "caratteristiche" quali [li 1n. fissi. Niente di tutto questo. Nessuna app!I. cazione di alcun genere, come pilastri, ar– chitravi, modanature. Evitare di porre nell'edificio qualsiasi infisso, in quanto "Infisso". Eliminare le separazioni. L'ar– chitettura classica non era che fissazione– degll-infissl. Sì, esclusivamente questo. Ora, perchè non lasciare che le pareti, I sof– fitti. i pavimenti siano "visti" comé parti componenti l'uno dell'altro, e fare In modo che le loro superfici fluiscano l'una nel– ! 'altra? Ottenere la continuità nel tutto, ellminando tutte le sovTapposizionl, come Louls Sulllvan aveva eliminato lo sfondo nella sua ornamentazione a favore di un senso integrale tlel tutto. A questo punto il passaggio dell'idea dal piano materiale a quello spirituale cominciò a suscitare conseguenze: il concetto che un intero edificio può "crescere" da determinate condizioni come una pianta cresce dal suolo, eppure essere libero di essere se stesso, di "vivere la propria vita secondo la natura dell'uomo". Nobile quanto un albero in seno alla natura, ma f!gilo dello spirito umano. Ecco l'ideale ch'io propongo per l'archi– tettura dell'era della macchina, per l'edi– ficio americano ideale: lascia-mo che si sviluppi nell'immagl:1e dell'albero. Ma con questo non intendo propone la imitazione dell'albero. · , Prncedendo, dunque, passo a passo, dal FRA K LLOYD WRIGHT (Continua a pag, 4) t.. :

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