Fiera Letteraria - Anno VII - n. 42 - 19 ottobre 1952
DOMENICA 19OTTOBRE m?.- LA FTERA LETTERA RT A _______________ _:::::.....:...:~::.....'.::.'.~~~'..____ Pag.3 Galileo Ruzzante ~i~!~! I . * * Il gabbiano di EMILIO LOVARINI La nebbia che U gabbiano lautì "°" t.em. o non vede, GALILEO GALILEI Un dotto fiorentino, a.ccademico del Lin– cei e e gentiluomo di grandissimo spiri– to>. Filipp o Salvlatl, d alla Villa delle Selve pres~o Il castelh1.re di Malmantlle, U 12 aprile 1612 lnccm lnclava cosl una sua let..– tera di c;ortese sollecltazlone: eCredevo che a questa ora V.S. dovesse avere spedito le sue vl~ltc e altre !accende per poters<>nc ritornar da. noi; ma non la vedendo cornpanre. nè sapendo qual se ne possa es!.er la cagione. ml son rlsoluto a scrivergli, per saper da lei se lo devo servirla in cosa nessuna, acclochè ella se ne p,ossa ventre, o almeno per dargli qul\1- che stlmolo di farlo quanto prima; e l)('r lo meno quest.o glt serva, che qui non si può plgllare rlcrenzlone àel placevolls.slmo Ruzzante senza la sua esPOSlzlone > Cl>. L'argomento dunque più valido e forse deel!'lvo per romper gl'lndugl dell'ospite desiderato E-ra.secondo Io scrivente, Il ma_ nifestargli questa voglia di riudir leggere e Interpretare le amene opere del com– med!ogrnto padovano da. lui che doveva essersi mostrato ben capace di !arne sen– tire e (tustare tutta la bellezza e la verità, e che, se poteva dare agli amici. gran go– dimento, ne doveva god_eresl per loro e anche per sè. E chi era questo felice e Jndlspensablle espositore del Ruzzante, atteso con tnnta bramosia In quella vuta fiorentina? Forse un veneto di pa.ssaairlo per Firenze, uno degli lnnumerevoU perdigiorno che coltiva– vano allora. la rustica letteratura pavana? Niente affatto~ L'augurato espositore del Ruzzante era esso stesso un toscano, era uno scienziato - e che scienziato! - Il pl(t illustre, li più chiaro e n più forte intelletto di quel secolo: Galileo. Tanto onore d'avere per interprete un tanto uomo doveva toccare doPO settan– t'anni dalla sua morte proprio a quel– l'amenisslmo spirito che, pago di divertire con recite e canoonl t proprJ coetanei e conterranei, non aveva dato alle stampe una riga; coslcchè. se I posteri non sl f~ro affrettati a pubblicare quelle sue opere che non sono stat e più d imenticate, 001 forse non sapremmo qua.si nulla di lui. parti>, appoggiato cosi per burla all'au• torltà del comico a lui caro, quali buoni ricordi, prima di slmlll amare riflessioni, doveva risvegliare nel suo cuore! Uno so– pra tutti: quando, avendo mosso guerra per la prima volta ai;,erta.mente agli ari– stotelici con tre lezioni straordinarie alla Università a proposito della nuova st.t'lla. osservata In Padova 11 10 ottobre 1604, e secnalatagll da Giacomo Alvise Cornaro, nipote del protettore del Ruzzante. doml– cillatò nel palazzo che fu pure la dimora del protettore e del protetto. per rispon– dere a un suo critico Ispirò e certo In parte anche mlnutò 04) a un giovane padova– no. Girolamo Spinelli, monaco di S. Glu– st!na, quel Dialogo de Cecco di Ro11c11fW, ch'è tutto nella lingua del Ruzzante; nel quale due villani. mentre vanno ragionan– do tra loro su quesUonl cosi gravi di astro– nomia e di filosofia. J>OSSOno dimostrare che anche uomini digiuni di studi capi– scono le verità della scienza e che a slanl- 1'1.carlenon fa bisogno Il gergo dei dotti nè la lingua latina, e basta 11 volgare, ti.– no 11 più Incondito volgare. Percbè quesl!l è la convinzione di Gali– leo, che, quando c'è dell'Ingegno naturale, non occorre altro. A Paolo Gualdo spie– gava perchè avesse voluto scrivere una sua opera In volgare: e perchè ho bisogno che ogni J)f'rSOnala poss1 leggere>. Ce n'è di qut>lllche non furono mandati agli studi e son rimasti a casa, occupati in altre fac- ~=n;!1 fo~~U :.'u 1 n ~~c~~t~~=- f~~ tavia, non potendo vedere le cose scritte be passato un giorno per la mente di pre– sentargli Scipione Chiaromontl, n peripa– tetico più accanito e più molesto del se– colo, e qual valoroso Ruzante > che, e non ha.vendo con chi combattere. venga ~neo alle mani con sè stesso> {17), Cfr. Mosi– hette, a. IV, se. 2 Cp. 58 della mia tra– duzione>.. Bisogna sapere che !I Cavalieri era stato all'Università di Pisa supplente di Bene– debto Cutelll. Questo primo e so1enne dfo– SCt>polodi Galileo è da Galileo chiamato e: compa1tno di Cecco de' Ronch,ittl > (181, e non tanto forse per esser stato ln Pa– dova di Girolamo Spinelli confratello nel convento di S. Giustina e condtscepolo forse nello Studio. quanto per aver colla– borato a quel famoso Dialogo ruetlca– Ie (19). E c'è di più: che anche li castelli. a somiglianza del suo grande maestro, fu un appassionato lettore e, diremo cosl, un efficace espositore del Ruzzante. Ecco un'altra gloria per II ·nostro auto– re, e non plccoln. se si considera che Il Castelli fu. a giudizio del Favaro. e uno del maggiori uomini del suo tempo> C:?O) e cJie Galileo lo definl e huomo adornato d'orni scienzla e colmo di virtù, religione e sant ità> (21 >. E' qua.si certo a mio avviso ch'egli si trovo nella Villa delle Selve a udir leg– gere Il Ruzzante da Galileo (22); e nulla vieta di ammettere che vi fosse anche Il 12 aprile del 1612 quando Il Salviati con– fessava che senza tale espositore non si J)Oteva lassù pigliare ricreazione del pia– cevolissimo autore, chè Il Castelli, almeno per rlverenw., non doveva ln tal caso rite– nersi escluso da quella compagnia. quan– tunque per sè lo lntendesse benissimo. Due anni dopo egli stesso lo leggeva e Io faceva gustare al suol scolari pisani, e tutto festoso dava a Galileo questa curlo'5.8. Informazione: e Ségulto tuttavia a leggere privatamente ad alcuni signori, tra• quali è, con mia grandtssima sodlsfnzlone. Il s!gnor Pier Francesco Rlnucolnl, del quale li dirò solo questo: che è persona che sente gusto Incredibile dalla lettura di Ruzante. Hor V. S. EccellenLissima faccia la const>– guenza. D!!ll'acqulsto di quest·antma vedo alcuni visi storti, che è da ridere> (23). Ben s'Intende che Il Cavalieri non aveva scelto Il comlco padovano per soggetto del– le sue le1Jon1private (24), ma di lui do– veva pur parlare a qut'I signori. E li figlio del famoso poeta Ottavio Rlnucclnl. anz.t– tutto per seguire quelle lezioni tutte piene di aurlacl e pericolose novità scientifiche e poi, ammettiamo pure. anche per questa lettura, dovevo. scandn.llzzare le persone serie e bt.'n pensanti, secondo che accade in tutti I tempi. Ancor oggi c'è chi fa le boccacce al sentlr parlare- con onore del Ruzzante. Sia lecito anche a noi di rider• ne, come quel simpatici scienziati che col loro buon Intuito, non !mpacclato da pre– gtudlzi teorici, coglievano giusto. assat me– glio di certi critici di professione. La sti– ma di Gallleo è ,poi tale che paga ogni dlft'erem.a. Ed essa non risulta soltanto dal pll$Sl ftn qut addotti, ma sopratutto da questa. testimonianza che la conferma e avvalora. Niccolò Gherardlnl, che !o visitò un Certament:.e per spasso Galileo s·era fat– to suo lettore Jn Toscana e per spasso ln– tercalava frasi e motti ruzzantescht In lettere agU amici (2). E anch'essi ptr· spasso gli inviavano lung·he missive com– pilate In QUt>lla rozz.fsslma tavella, sta. che uno &li volesse far sapere d'aver ricevuto certe braclole e carne dl soprannino e ~·avergli spedito del pesce e altro per la lauta mensa del suo convllto <3), sia che un altro gli accompagnasse uno sprolo– quio vlllanesco su una straordinaria ncvl– c:ita (4), e sia che, dop0 li suo trasferi– mento dallo studio dl Padova a Flrem.e, il primo lo Invitasse, ahimè con quanto fievole speranza!, a passare l'autunno nel– l'Lwla di Murano con lui e altri buoni compa.gnont e buon1 mangiatori C5). Una scena della e Bella" del Runante Sapevano bene gll amici di venire In– contro con queste piacevolezze al gusto di Galileo, che possedeva una raccoltlna. di scrittori pavant (6) e si dilettava dl leggerli, sopra tuctt U Ruzzante, che ne era considerato come Il padre, nella sua più bella edizione ch'è Quella del 1565 <7). E glielo citano più d'una volta. Non si ricorda, gli chiedeva ln tono amorevolmente scherzoso, Glovan France– sco Sairedo - quegU che solo col Sal– viati divide la gloria di essere Interlocu– tore net due famosi dialoghi galileiani (8) - non si ricorda quello che diceva del no– stro territorio padovano Il Ru1.zante? che vengono QUI 1 malati morti con le casse dietro (con le casse da morto. e non - per carità - e nvec des plale au derrlère >) e in pachi dl risuscitano e diventano san! come pesci? Fnccla !n grazia questa esperienza, nè offenda In dovuta autorità !'ldun tanto autore che ne parlava fondatamente con l'esperienza: le prometto che darà la vita a sè 6tessa cd. a' suol amici ancora C9). E tre annt lnnanzJ Jo stesso tenero ami~ co, sempre ln pena per la preziosa salute di lui, ili sveva raccomo.ndato: e: Conti– nui V. S. Ecc.ma la lettura del Bern! et di Ruzzante, et lasci per hora da una parte Arlstotl1e et Archimede> oo>. Tra l'una e l'altra lettera gravi cose erano acc::!dute a. Gallleo. Il Santo Ufnclo aveva pronunciato la sentenza di condan– na della sua doLtrlna sul moto della terra e n cardinale Bellannlno gli aveva lnflltta l'3mmonlzlone. eO quanto harrebbe tatto bene non Ja– sc:ar 13 libertà patavina! > esclama Ce– sare Cremon!no (11). Nè Il presentimento al'eva .mentito al Sagredo che. subito dopo la parten1.a di lui. gli a\·eva fatto osser– vare: e La libertà et la monarchia di sè s~sa dove potrà trovarla come In Vene– tia? ... V. S. al presente è nella sua nobi– lissima patria; ma è anco vero che è par– tita dal luogo dove ha.veva II suo bene. s~rve al presente Prenclpe suo naturale ...; ma qui ella haveva 11 commando sopra quelli che comandano et, governano gli altri, et non haveva a servire se non a ~ stesso> 02>. GalUeo già potè pensare a!– lor:1 qurllo che dlsse poi non molto prima di morire, che In Padova aveva passati i diciotto anni migllorl della sua vita (13). L'affettuoso Invito rivoltogli dal Sagredo n1tl 1618 ea venire a curarsi In queste In baos. si vanno oersuadendo che In aue' 1librauon ghe supple de gran noelle de Iuorica e de Jl,luorica, e con.se pura.,st, che strapa.ue In eUo pura.11è: et l o voglio che' VCi lghlnoche la natura. si come gl'ha dati g!'occhl per veder )'opere sue 0061 bene come- a I /fluoriclti, gli ha anco dato Il cervello da potere Intendere e capire> (15). D~l Ruz:,.ante è citata solo quella ·prima frase seria Insieme e schef'ZO!Sft,anto a lui cara: le a1tre parole pavane, che ri– porto· In corsivo. sono state trovate da Gallleo Il per Il. come ben si capisce, e non è Il caso di pensare, come li mio amico Mortler (16). che potesse averle prese da ope1·a a stampa o da e un manuscrlt ln– connu > del Ruzzante. Sono parole che si prest ano ottimamente n pungere e scuo– te.re quegli Ingenui che per non sa.pçr di latino e per una malintesa mode6tla si fan grossi e pensano e parlano proprio come villani quando suppongono che tn quella lingua sleno celate chi sa quali sublimi cose lnaccrsslb!U alla loro !ntelllgenza: pre,gludlz.loquesto che o col latino o con altro gergo hanno sempre seminato a lar– ghe mani I ftlosofi ciarlatani di tutti l tempi, I quali palon nati apl)06ta per am– murftrt' I cervelli degli altri, per tsvogl!Rre I timidi e ~li onesti da qunlunoue cur!o– ltà sclt>nt.Jnca, veri propagandisti della Santa IJt:nornnza. Quella b- ittaglla dunque della sclenu, conchlusn.si col Dialogo di Cecco del Ron• chettl. nllegra mascherata di villani. e poi I gioviali colleghi e discepoli e gli tllustrl cittadini che parteciparono con viva slm– pata e ardore alle sue dispute. che si esal– tarono all e me invenzioni e scoperte e IC'Idifesero v.il! dament.e contro avversari, truffatori e pl agiari, tanti cari cuori che gli fece,ro cosl gradito Il soggiorno In quel– la cltt.-\, erano ricordi lnscparab!ll quasi dalruso di quel dialetto e di quell'arte rusticale di cui t3nlo si compiacevano al– lora I veneti. Ma quando si consideri che In fatto di lettere G:lllleo non era uomo di facile content.'ttura e si consideri un momento con la squisitezza del suo gusto l'acume del suo spirito critico, non llP– pare più sufnclente questa ragione, di na– tura puramente scntlmentnle, a spiegare la sua tenace predilezione per lo scritto– re pavano. E nemmeno posso credere che, se non ne avessero sentito e apprezzato l'Intrin– seco valore. altri sclenzlatl che scrissero pagine tmmortall nella storia della fisica e della matematica. glielo avrebbero cita– to per Il solo desiderio di far piacere al– ramlco. Non per questo solo a Bonavrn– tura Cavalieri, li famoso precursore degli Inventori del calcolo lnftnltes!male, s.ueb- teca Gino·Bi.anca trentennio dopo la sua J)flrtenza da Pa– dova. raccoglieva dalla sua bocca confl. de.nze che gli permisero di notare gli scr!t... tori da lui preferiti su tutti. onde nella blografla nominava soli questi tre: Bernl. Ariosto e Ruzzante: Il primo del quali là dove è un cenno del suo spirito ameno: e Nella conversazione ern glocondlsslmo, nel discorso grato, nell'espressione singo– lare, arguto ne· motti. nelle burle faceto. Ben spesso havea ln bocca I capitoli di Francesco BernJ. del quale I versi e sen– tenze In molti prOJ) 06 1tladatte.va al suo proposito. niente meno che se fossero stati suol proprll, con somma piacevo– lezza> <25). Più In là, parlando del suo amore per le arti, ricordava da soli gli altri due poeti; - Il Tasso è cltato per far sapere quanto Galileo lo ritenesse Inferiore al– l'Ariosto. eDilettossl straordinariamente della. musica, pittura e poesia, Fu sempre par– tlallsslmo di Lodovico Ariosto, di cui !'ope– re tutt.e sapeva a mente e da lui ,era chia– mato dlYlno. II poema d'Orlando Furioso e le Satire erano le sue delizie: in ognt discorso recitava qualcheduna dell"ottave, · e ve,stlvasl In un certo modo di quel con– cetti p!!r esprimere, In diversi ma t1pessl propositi. I proprll... Fu famlliarlsslmo d·un libro Intitolato 'I Ruzzante, scritto in Ungun rustica padovana, pigliandosi 11:ranpiacere di quel rozzi racconti con accidenti ridicoli> (26). Cosi questi due artisti cl ricompariscono Innanzi unii! come già In vita a certe splendide feste della corte ferrarese, quan– do nel 1532 Il Ruzzante. annunziando l'ar– rivo della sua comP.ag-nla,pregava n Duca di Chartres di fargli per una 5ua oomme– dla allestire la scena da messer Lodo.vico. e quando tre anni prima, dopo una rap– presentazione della cassarla dell'Ariosto, durante un sontuosissimo banchetto of– ferto dallo stesso nuca al padre suo e a molti Illustri personaggi della città e di fuori. Il Ruu.ante col suol compagn! cantò cantoni e madrigali alla pavana e reclt.ò contrasti e di cose villanesche In quella lingua molto piacevoli> <27). Indotti da questi ricordi, potremmo Jm– maglnare che nella mente di Galileo I due autori prendessero rispettivamente quel posto che 1n tealro sogliono prendere, In una medesuna serata. commedia e farsa; e, purchè s'ammetta che runa e l'altra sleno nel loro genere eccellenti, della ca– suale similitudine non cl dorremmo, sa– ~ndo di rimanere o.Imeno In parte nel vero e c!I non rare torto In fondo a nes– suno. Ma a giustificare la- predllezlone dl quel grande per questi due è Interessante notare una ragione Intima cd essenziale di rapporti esistenti anche tra loro. E' quasi superfluo ricordare che delle poche opere galllelane d'. Indole letteraria - messe da parte qu.-Ue critiche - re– stano~ un capitolo bernesco contro II por– tar In. toga. un cartello di sfida In dia– letto veneto ch'lo trassi da' suol mano– scritti florentlnl (28) e uno scenario per una commedia a soglfetto - bl<-ogneràpur risolversi a chiamarlo cosi (29>. chè non è altro -. abbou.ato in Pisa e rlpreso In Padova: tutte cose scritte - compresi, se si vuole, sei poveri .!'onettl - cosi per O'.llo e nulla più. Anche senz·esse. per altre pro– ve c"è palese li suo temperamento giovia– le. Esso lo portava naturalmente verso let– ture plncevol! e anzitutto verso quel poe– ma che per dichiarazione dell'autore sl ristampava per e solazzo eL piacere> di ognuno. D'alLra pa.rte, oltre la comicità, quella esuberante pass!onalltA amorosa che colo– ra e talvolta arroventa la fantasia e l'elo– quio, e sconvolge anche la. condotta ciel personaggi ru1.zanteschl. a cui risponde rnggenllllto, ma non meno possente, li sentimento d'amore prevalente nelle crea– zioni ariostee. trovava par simpatica riso– nanza nell'Indole sensuale di Galileo. Ma le lncllnazionl del suo temperamen– to non bastano a far Intendere perché, rra tanti scrittori di genere simile, egU an– dasse a scegliere proprlo quel due. E, pol– chè è da escludere Il caso. occorre sco– prire tn quelli e ln lui altri elementi d"al– tra natura. che portino In pieno verso la soluzione di questo problema di carattt>re essenzialmente estetico. Galileo e dovette fin da glovlnetto ama– re l'Ariosto - argomenta acutamente n :Oel Lungo - e preferirlo a Dante ed al Petrarca, perchè cantore di cose operate; efftglat,ore di costume, cioè di carattert vi– vi e veri nelle contingenze della vita quo– tidiana; pittore vario e molteplice, di umana realtà non modlftcate. nè fantasti– camente nè soggettivamente; res gestae ... Quo scribi possent numero, monstravlt Homerus > C30). E caratteri di uomini e di donne della. villa più vlvl e più veri. i>enslerl, pas– .inonl, discorsi e scene colle dalla realtà presente e rese con perfetta Immediatez– za. dove avrebbe potuto egli trovare me– glio che nel Ruzzante, nemico giurato di ogni contratrazlone della natura? Tali i pregi comuni della materia In quelle opere da Galileo cercati ed apprez– zati. E non Importi che ragionando della. materia non si sia astratto per conto no– stro cosi da non trarci dietro pur ciò che concettualmente. non le appartiene; anzi, conservnndo l'antica comoda distinzione, vedasi quel che sia da dire della forma. La poesia dell'Ariosto - e seguitiamo la buona guida del Del Lungo - e è, cosi per la lingua co:ne per lo stlle. quel che di più vero e Idiomatico e scevro di peri. colosi artlfizl, abbia la poesia di qualsivo– glia letterntura > <31). Perciò sopratutto l'Artosto esercitò una singolare erncacla sulla prosa limpida e schietta di Gnllleo, da lui stesso attestato, secondo quello che cl riferisce Il Vivianl: e Quand"altrl gli ce– lebrava la chiarezza ed evidenza dell'ope– re sue, rispondeva con modestia, che se tal parte In quelle si ritrovava, la ricono– sceva totalmcntf- dalle replicate letture di quel poema> <32). Non pretendiamo, che sarebbe rld!colo, supporre una parallela efficacia non contestata del Ruzzante su lui. ma In questo autore. fin da quando glt divenne familiare, egli dovè pur scorgere, trapassando dalla lingua delle persone col– te a quella - diremo cosi - delle lncolte, non d!Mimlll pregi di lingua e dl stile. La letteratura rustica è nata per far ri– dere a sp:alle del villani, e pur che si rida tutto fa buono. Parole Inconsuete, strane, rozze. storpiature di voci culte, spropositi madornali, Immagini goffe, ldeacce balor– de e sconce s'amma~ano In ~!tratte scrlt,. ture: e ne vUm fuori una gente lnverosl– mllment.e lnamabile, anzi Impossibile: fan– tocci luridi di stoppa, \'estlll di sbrindelll, come spatrracchl piantati sul seminato, che agitano braccia e gambe al vento con moti pau! e convulsi. Il Ruu.nnte è il primo che. messosi sul– la facC'la la maschera adusta. bitorzoluta ed _ispida d'un villanaccio, abbia saputo dare spesso agli spettatori una perfetta. illusione di persona vera. Non rifiuta !1 materiale accumulato dalla tradizione car- , nevalesca, ma con lo studio della realtà lo rinnova e rimuta tutto quanto. Non senza lettere non letterato tuttavia, rime– scolatosi tra I buffoni veneziani, assimila– tosi con l'arte Il loro repertorio, giunge per naturale elezione a vivere con tanta In– tensità e profondità la vita dei contadini presi a Imitare. da poter essere scambiato da loro per uno di loro. Io non so di quanti altri autori di commedie si sia detto qual– che cosa dl simile a quello che lo Scar– deone narrava di lui. che e tutte le espres• slonl della llngua rustica, l modi. le lnto– ns.z.iònl. tutta Insomma la prOnunz.la si appropriò tr.lmente, da Ingannare, nel par– lare In quella lingua, vestito da contadi– no, anche gli stessi contadini> <33). E" tale prova d"lmltazione questa. che supera ogni altra della scena. E su!la sce– na sua du!'ava, per quanto consentivano le t>slgenz.edella quasi perpetua comicità e I diritti lnslndacablll dell'artista creato• re che con quella materia viva plasmava li suo mondo fittizio. Cosi Gnlllco. leggendo quelle sue opere, vi trovava quello che pl(t sii piaceva. c·era la giocondità. la burla., la utlra. le erru– sion! erotiche, Il parlar grassoccio. tutte rose che Incontravano Il suo gusto; c'era l'avversione dichiarata contro ogni con– venz!ona!!smo falso e falslncatore. com!n– c!ando da quello dell'eloquio Innaturale, che egH sentiva e mnntfest.'tva continua– mente: c'era soprat.utto tanta verità os• serVl.ta negh uomini, la quale dove,'a pia– cere lmmemamente a lui che per la ri– cerca della verlt.à nella natura spese tutta la sua vita con indomito amore: anima, merito e gloria massima dt>Jsuo gen!o. Per questa conclusione cade nel vuoto la. congettura arrischiata dal Favaro per glust!ficare Jn quel grande toscano la per– sistenza del ricordo della llngu!:l rustica. padovana. eForse, egli pensava, dalle lab– bra.. di Galileo usci anche il racconto di qualche p:wtlcolare caso. ohe poteva aver contribuito a tener cosi bene fissa nella sua mente la me.moria della lingua pava• na: ma Il Gherardin! o non se ne ram– mentò. o non credette opp0rtuno di te– nerne nota nella sua breve scrittura> (34). S"immag:lnl pure quel caso che si vuole, esso sarà sempre lnsufnclente e disdice– vole; lnsufnclente e disdicevole a detenn!– nare tani.a )}redllezlone per quella lingua e per quello scrittore In un cosi alto intel– letto. n ca~o c"è entrat,o, sicuro, perchè lo portò a Padova dove era ancora calda la me-moria del Ruzzante. Ma II felice sog– giorno In questa città fu solo la causa oc– casionale per cui u Ruu.ante ebbe tra I suol ammiratori il maggiore che potesse ma! sperare. E.\ULIO LOVAR~l (1) OAL1LEO, Opere, e<llz. nu., nrenze. Xl. 2QO. La lde1nlncnlonc della Vili• delle SelYe,o del· la Stln. tra altre omonime.può darla que.t.o pauo del RepetU: •quella anche plò. celebre de' Sai• Ylatl, poi Bof1hecl preuo Il Cutel\are di M•l· mantlle, net popoio dl S. Pietro della Seln • (E. REPET'TI. Dbfonano 9t09,. (11. ltOT. della To.rcona, Plrenu, 18'3, "· 239-40), (2) o~,e clt., Xl. 32'7. Abbiamo anche un frammento autografo di data lncena, che a mlo credere ~ un te ntatlYo, anè un abbono di acrU.• tura puana. da lucl.ar poi r1tlnlre a peraona ptò. "~;;•b,!;!;,v~\::\ 1me111, di Olrolamo Ma– Ja&natl, Venezie 21 ott. 1607: crr. Note dl Contl degli anni U50'1·8. 111. XIX, 112·3. (4) O~e. x. lilM, !ett, di 01\aeppe Gagllar– dl, mano 1eoe. (SJ Opere, Xl, 321·2. lett, del MagagnaU. :W:u• nno 8 s1u1no 11112. (8) Nella Blblloteea Nulonale di Firenze tro– l'UI Il m,. e v1,1anl Vlncentll lndex Ubrorum, 1126•. dOYe 110no notate e non talo le opere di RU~Dte ina anche molU1riml altrl la\·orl In llnsua rUltlca padouna ... Tutto clC. con molta probabilità aveYC appartenuto a Oallleo •: A. PA· VARO. Scompolf 90.lllellanf ID AtH e memorie dello. R. A«.11demfo. df ae, leU. ed o.rtl f1l Po.doi;ci, •· ~:{· "n.P!·vA~.1la. 0 ,~!r1:· d~5 ·a:1u!o aci111e1 ducriUCI e llh.illrClfO., ·In 81 dleUlno di blbff09ra· Jl,a e di ,rorfa de/J e, clen.te mo.tematiche e 11,i– Che, T. XlX. m•nlo•&lugno 1886, Roma, 1887, P. cse.n. 432. (8) cQuel &ent.111.ulmo 8a&:redo. da V. S. ro.• "ViVCltO•gli ICrlYCYaFul&eD.UI Jollcanèo 1122 dlc. IQ.S (OJ)C're. XVl, 36.S). lnYlandogll da Venula certe Rime decldenie. dOYe no••'•e In un •li• leaeo lln&uasrto qualche itplrlto clU.adlheaco ,. Rfme panne? Quelle. co.t Intitolate. del M.a· santa e compa&nl? E' probabile: cfr. La Ubre· ria di Oallleo clt .• pp. CH·S, nn, 411-4. (il Opere, xn, 403-41, lett. da Marocco 4 ca:o– ,t.o 1818. (10) Opere, xn, 1!18, lett. da Veneti• U mar- zo IOU. (Il) Opere, XI, 10$. (l2) Opere, Xl, 1'11, H~) A~~~V~G:fflto Go.lllel ed tl e Dio.• ~°!:"1: ieT ,f:11:0::::! 1~. ~~ i~~,.cde~ ~~ 'i: tuto Veneto di ,c. ed arti, c. v., t. VJl, 1880. 195-2'10: dello tt.eNO. Galileo Go.file! e lo Studio di Padot·a, F!renu, 1883, 1. 280-301. (IS) Opere, Xl, 32'1. Per chi non lo lntende-.e, quel periodo In dialetto ll&nlrtca: • In quel Il• b111,oclonl cl ciano çandl ctorle di 10&:tcae dl ftloaotta lconfuatone con n10101,1ca1.e cose aNal, che tnpauano (che unno molto tn là) In alt.o uaal •· Per • le co.e IICrltt..e In bo.o,•. ecco un chlar1mento del v.rchl: • Quelll che faYellllno plano e di M!ffel.O !"uno all'altro. o •ll'oreccblo o con cenni di capo, e certi dimenamenti di boor',.a, ln10mm• che ranno bao bao (come llt di«) e plMI piaci. c1 dléono bl•blSllare, e ancora. ma non cocl proprlameni.e. con Terbl lctlnl. ,u– ,u111,re. mormonre • Seccmdo Il m\O parere. quel parlare o acrlYere In bcio. • un mO<lo di !are mlat..ertc.o che Incute rt,pe:no, e - perch• no? - paur.; e rorae de– rlYa da ooo • oou. 1'0ee che rlfl Il •erao del cani che Il u1,11. a bet!are le mu.chere e a Inti• mortre e chetare I bambini: nel Veneto c1 dice anche !>au.uett. ~m g;:~~~\fri~~$, 1 ~i. 1cia 2 ~toe;na 28 dlc. g:ig~e.( ~.!:v~RO. G. G. e fl e Dro.lo,o • ctt., 229; e dello tteao. AmCc1 e corrllpondenU di Go.11/eo Galilei, XXI: Benedetto CuteUI, In AUf del R. lltltuto Veneto, t. LXVU (X della aezi 2 XR!i, Pp}• 2 .yene:t1a, 1908, p. 10. 121) Opere, xvra, 130, (22) Certo In que3II cnnl Il Cutellf taceu dall• Badia frequenti •1-lte a Oal\leo quand e111, nella nua del S.IYlaU: T. rultlma Op. cii., p, Id. ('231 O~re, Xll, (19•'10, lett, da Pisa 4 cl,u• 1no 1814. (24) Nel tndu~ que.t.o l)UIIO CCIII!: .cdont Je me borneral t. ,oua dire, à ma ,n.nde Utl• IJ!actlon qu• li reNent un JOOt lncro)·able pour cet auteur •. Il MORTLER (Op. cft., 1. 243) COI tra,porre 11 compleuo con mf a prand fulma ,001. 1Jo.zfone moctr• d•ayer preac que.to abbqllo. {2S) OJ)C're, XlX. 644. (26) hl. MS. C01:1tempo111,nn.mente Vincenzo Vl•lanl atende•a Il IUO Racoonto lllorlco dtllo cita df Go.Uleo, nel quale • b!qna dirlo - non ~~ P:~::~. ç:~o ;,~°e, l~~':n':!C:t:~~~~d;h: non lo upeue: plutto1to credo che a quel &lo• 'l'ane tlorenuno • ere culi• trenttr,ll • tUtlO com– preso d•lla ,:raY\tà del auo auunto, accrucluta e lrrtgldll• • ml •I paut la parola • dall"aut.ort– tà dell"alto committente. Il Plinctpe Leopoldo di T01Cana. non pareue con•enlente fnne men– zione. (2"1) CRRlSTOPARO DI M&SSISBOOO Libro no~o. nel quo.I Tln,egna 4 /ar d'09nl ;t0rté di t.i• vanda ecc.• VC'nezl• 13&4. c. 18 a. (28) Antichi Iuli df leUnatu,a pavano. Bolo– gna. 1894. 343-4; orr. pp, LXXXlX-XCU, ' (28) crr. Opere, LX. 2-0·ll, 10$·209· I DEJ.. LONGO, Pcatrlo. frollano. JQOQ 3S'l-9 ' • (30) 1•1. 367. ' . . :~n~~l~t~~~r ~~<;° C::t1~r!':n~:~i~t1~~~ (32) 0J)C're, XIX. 827. ta.t !~~b~,~~~~~ .. ~:.~·, ~: ~":~:::; agre.ti• l!nsu•e tlocutlonu, formu. rhythmcc. et t.otam dentque pronunclllndl normam Ltll penltua r~~~~d~~ 1ia~ti1nrr:,a•c::..~ lr=r:t~ute. Inter t.11', (~~)~!~/Ileo Galilei t lo Studio .df Po.do• 1l vento IU. CU.i poggfa lento, la neve che lo tormenta. e par non la ,ente. è que,ta Jorae anche lo. m'4 MWte, lo. mta. inquieta. natura, il aogno della vita or,preno da.Ifa morte? 13 a:ennaio 190 .Ai partigiani caduti nella Valle di Feltre Non tornerò al mio paese prima che f colchici ,tono marcttt nella nebbia scialba:, ' prima che il sole tramonit per sempre a chi l'attende nell'ombra def monti. Non tornerò al mio paeu prima che sta 1ilenzlo net cimitert e sia molle la vta. tra f pfnf neri. Ritornerò nel bo.sco dd ca,tagnl, f cardi pungeranno le mani, rlacolderl> la terra col mio /fato mamma, la terra dove ,on nato è scarna come il tuo volto intrilo di lacrime e punge come le tue labbra nel mio viso. 5 aprile 1945 A G'orgio Chirsura Da questo lu.noo inverno d4 queste lunghe piogge u.1ciamo come ammalati, e a questo primo iole di primavera rico110.,ciamo i prati verdi di grano e bianchi di su.sini in flore. Le ore di una lunga consuetudine e l'abitudine ai vizi cl han tolto l'impazienza dell'attesa, ma questa Irosa violenza di primavera cl tra,cfna nelle piene def fiumi, a dilagare per le ghiaie del greto oltre le rive, ar di qua delle foci, dove re,pinge il mare. C'è grigio e bfa11CO e nubi sulle ctl!$te d'un lungo arco, e pro.utme tempeste ncUe valli, ,che gtà rtschiara Il nuovo verde. Non ml curo dei fiori e li calpe1to come cose non mie, Non è 11n mistero per me questo fiorire di rami prote11 al cielo, questo cieco ,ucchfare di radlcl dovunque uguale, come puoi sognare dovunque il ,onno ti conduce. Oggi aon desto, IO dove dobbiamo andare. Ma &e u11giorno non potremo più vivere tra gll uomini, non chiederò certo alle piante come si vive solf, lo chiederò alle bestie, ai ladrl, agli a.ua.sslnl, a cJif è dato vent'anni 11egllerga.3tolf, a chi tira un carretto o va col contrabbando per le .strade. E tu, amico mio, verrai coii tnf' e saremo In due. ma no11 lo chiederai a quella Jos.sa di calce spenta che si 1bla11caal sole; non è candore di vfta 110n è ca11dore d'anima è luce spenta corne la lu11aal sole. 8 aprile 1951 GIUSEPPE ORTOLA."'ìl '·-:-: ;~_ .... : ;-;-.=_:,:_~ ! '~\ .. \ ·.·.:. _·,-. ~ . ~ : ._ - : :·– .. ANGELVS BEoLcv.s C1v1SPAT~v1~,, COCNO\lENTO JlVZATES , --_,,____... _________ ;.... __ J
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