La Difesa delle Lavoratrici - anno IV - n. 18 - 3 ottobre 19
CHI FIÙ BESTIA ? FIABA. :'el cr~paccio di un muro, in una vec– chia b~d1a, Yiveva da anni e anni un gros– so y1p1strello. Come lutti i suoi compagni pa.,sava la giornata nella sua tana, dormen– do della grossa appe:;o per le zampette con la testa in giù. Verso il crepu:;colo, qu~ndo ~e omb~·e cominciavano ad allungarsi e fra 1 campi, fra i prati si iaceva un ~ilenzio so– lenne, ailora usciva alla caccia degli inset– ti. Nel vicin_alo godeva poca simpatia; se qualche ronamella o qualche passerolto, la s_~ra, ritardando a tornare al proprio nido, I mconlrava, voltava il becco dall'altra par– te con e,·idente disprezzo. li pipistrello, però, per conto suo si cu– rava assai poco di quella ost,ilità, forse aii che perchè non aveva tempo di pensare che ~!e g ioie di una copiosa cena. 1-\dorava. per– e.io le tenebre che gli per1neitevano di far s~mpre tu_1acaccia. fortunata d'insetLi i qua– li. smarrit i nelle ombre della noLle, non pot, e.va.no nè difen 1 dersi, nè fugg!re. D'altra par:e la bestia si compensarn ad u:Sura delle nmiliazio11i che gli venh·ano in– flitte, fra i topi eh" abitarnno la cisterna della badia, e fra gli scorpioni che bruli– caYano fra ìe macerie: in mezzo ad essi sciorinava con ostentata pompa le membra– nose ali. . Un giorno però accadde un fatto strano, 1nauctilo: ad un t.ratto, proprio in pieno meriggio. il sole scomparYe: nelle campa– gne. nelle città si fece un buio fitto, pro– fondo. Dal petto di tutli gli uccellini usci– rono trilli di terrore e d'angoscia ai quali f<eceeco uno stridore di trionfo: i gufi. le cfreLt-e, i pip1stre1Ii uscirono vittoriosi dai loro buchi. - Che cosa succede? Si s1:>egne forse il sole? - chiesero gli uccellini del bosco. - !\on ten~ete - E assicurò l'aquila - la luce può eclissarsi, ma spegnersi mai. Che gazzarra face,·ano intanto i pipistrel- li. le ciYett.e, i gufi! ~la proprio mentre più intenso si faceva il tripudio, ecco che splen'dido, fulgido ri– apparve il sole ... l:n clamore di protesta, di odio s'alzò dal gruppo degli uccelli notturni. Oh. l'odiato sole che abbacinava, che bru– cia\·a \,utto con le sue ardenti vampate ! - Ci \·uole una buona dose di sciocchez– za per dire simili cose.. Io. che sono io ... non le dico! - disse una simpatica ochetta bianca e grassotta. - Ochina mia - le rispose un fringuel– lo - non è solamente la sciocchezza che fa parlare cosi quelle bestie.. sono piuttosto la malignità. la vanità e l'astuzia. Esse odia– no il sole semplicemente perchè s,·ela le lo– ro deformità. - E intan_o - brontolò un ,·ecchio fal– co - con la loro stupidaggine, con il loro egoismo, essi disonorano tutta la grande fa– miglia dei rnlatili. - Consolatevi per questo - soggiunse un pappagallo filosofo. - 1 pipistrelli, i gufi chiamano malefico il sole, ma vi sono uomini, i quali nella loro società occupano i primi posti, racc::>lgono ricchezze ed ono– ri. e che perseguitano a mort-2. dileggiano, chiamano pazzi i più grandi pensatori, quelle creature elette di mente e di cuore che svelano all'umanità gli orizzonti più al– ti, più lontani della verita! Non vi pare che quelli siano più bestie di no? più gretta– mf:nte egoisti dei gufi ~ d 0 i pipistrelli~ Abbonatevi alla "Difesa delle Lavoratrici,, e procura.te abbonamenti. APPENDICE 4 COME SI MUORE Dl EMILIO ZOLA Vn altro giorno diffida di Giorgio, lo segu~ con lo ~guardo, quasi teme~do che egli rut,! i gingilli posti sul ramin . Chiama Cr.1.rlo, gb affida., a sua \olta uua chiave, mormorando: - La c:i,!'tie,iera verrà con te. Sorvegliala, mentre piglia le lt::nzuola e chiudi tu "th,,.s<J il ti~~t i..~~om aggior . uppJizi(j, ~ell'ago?.ia •. è di non pot.er regolare le spese d1 c~s~. S1 :;cor<½t deJJe folli e dei figli; li sa r,1gn, sciuponi, senza cenel/o, colle mani bucate. JJa rn.0Jtt1 tempo non ba più stima di lorn, che non han– no ri.soof-to a nessun suo sogno, che . calp~– stano 1e sue abitudini di <-conomia <· d I ord1- ne. Solo l'affezione di tanto in tant-:i la \'inh· e r:r~~~~~ ;;li ùCChi di le: supplicanti, ~i le..,.rre che (•hiede loro in grazia di a.speltarr che 0 non c;;ia più là, ]?rima d: v~o!·D:Te i tiretti e divid.-.re i suoi bem Que:;ta d1\·1<;J<,n~ c:.areb– be una tortura r-,er la sua avarizia :a,ì)ira nte. !\on<lirt1eno C3.rlo, Gionzio e )!a~ rii.io "i mostrano docilic.~-imi; intPndendos1 m modr:> che uno di essi c:ia c.prnpre :<('r~nto a11a ma,.. dre. "Cna slncera ::i.f!(-z;rJne f--pira dai loro mi_– nimi atti. ;\la, fnrz.:;.itarnente, r,orta,!<J con se le inC1JI1e del di 'urJri, l'odor dPl 1g-arn che LA D~ P.SA DELLE LAVORATitiGJ Framamma e figlioletto - Mamma, mamma cara, è vero ciò di– cono i giornali? - Che dicono, bimba? Tante cose brutte, caL Uve, m amma. Dicono che i tedeschi in l"i' ranc.ia, hanno commesso dei delitti orribili, hanno am– mazzalo donne e bambini, brucialo case e raccolti, atterrato paesi. E' voro ciò ma11n– ma? - Sì. In parte almeno, è vero. - Allora quei tedeschi sono bestie im- monde. :\1amma, mamma bella, dopo la guerl'a, vorrei recarmi in Germania. - ln Gel'mania? Sei pazza, Pierina! In Germania?! - Si, si! ln Germania. Quando quelle bestie di tedeschi saranno vinte e rese inof– fensive, ebbene io vorrei vederle. - Vederle? Ma che dici! - Si, si. mamma. Chi sa che belle be- stie debbono essere i tedeschi. Più belle delle tigrl, dei rinoceronti. Còn tanto di muso, con delle manacce Lerribili, con degli occhiacci da orco! - Ma Pierina, che dici! I tedeschi non sono punto delle bestie. - Che! mamma, tu non m'inganni. Se è vero ciò che dicono i giornali i tedeschi debbono essere delle bestie. •Ed anche i rus– si, mamma. Hai letto tutLe le sevizie che hanno ,patito gli ebrei in Galizia? - Ma bimba, bimba terribile, i russi non sono punto ,delle bestie, ed i tedeschi nep– pure. (La bimba è deh,sa e coafusa). - Ed al– lora che sono costoro che bruciano le case, i palazzi, le chiese monumentali, che ucci– dono le donne ed i bambini, che rubano, che commeLtono ogni deliUo, se non sono delle bestie? - Sono degli uomini, bimba 1rnia. Hai mai visto deg'li uomini ubbr-iachj? - Sì, sì! 'l'onio. il calzolaio. Sai, mam– ma, quello che-è sull'angolo della via. Tan– to buono, pove.r,ino. Qando mi vede mi re– gala sempre qualche caramella. Ebbene? Tonio s'ubbriaca? - Si, mamma. Egli s'ubbriaca qualche volta. Gli affari non gli vanno bene, mi dice la Tina, la sua bimba. Ed aliora egli s'ubbriaca. Oh! mamma! Lo vedessi a,llo,ra. Con gli occhi rossi e fuori dell 'orbite. Catti– vo e manesco. Picchia allora la sua povera bimba e la moglie, li minaccia di morle. - Ebbene, bimba mia, la -guerra è co– me il vino. Ubbriaca gli uomini, si irende cattivi, violenLi, ladri, assassini, anche se prima, erano onesU, buom, gentili. l russi, i tedeschi, gli inglesi, ecc. non sono più caLtiv i di noi. Ma tutti gli uomini, trascinati al.la guena, s'ubbriacano e diven– tano bestie. Ecco perchè tu leggi nei giornali le no– tizie terribili che ti spavent.ano. - E perchè mamma cara, se gli uomini commettono colla guerra tanto brutti atti, perchè non la sopprimono? - Perchè sono ancora troppo barbari, stupidi ed ignoranti. G'Ii uomini credono di lrovare, nella guerra, la fortuna e la glo– ria, o nun trovano invece che la miseria, il dolore e la morte. Gli uomini, bimba mia, non sono ancora che dei grandi, cattivi bambini. PRINCIPIO D CARRIEHA (La servetta). Quella. pove..Ta creatura - mi ·diceva mia nra.dre pal'lando della donna che vione da noi a lavare i piatti - quella povera crea– tura è proprio disgraz;a,ta, Lutti i giorni ne ha una nuova. - Che cosa le è capitato? ha forsa qual- 1 che ammalabo? - No, ma le hanno mandato a casa la figliola ... - Di dove? dal laboratorio forse? - !\o, l'aveva messa in una famiglia,; dal laboratorio era venuta via per quella benedetta lingua. Ora serviva in una casa di brava gente. E la pov,era vedova era tut– ta contenta perchè diceva che se sapeva fa– re, Ja... tiravano in casa loro.. Ma è inutile, è un certo tipo.. l'han dovula mandar via. - Cos'ha fatto? - Eh! Non sa tenenc a casa le mani, non è onesta. Quella povera donna è cosi scru– polosa che si potrebbe lasciarle in mano dei tesori; e i figli non le somigliano. - I-la ruhato 'dunque? - Sai.. l'hanno colla intorno alla cre- denza. Vedevano che lo zucchero mancava, stettero attenti, e la colsero sul fatto. E lei - v€di la maàizia - s'è affrettala a sgat– taiolare, fingendo di cercare chissà cosa in un angolo, ed ha cercato cli ingarbugliare la cosa. Capisci, l'hanno mandata a casa sui due piedi ... - Poveri disgraziati! - Disgraziati sì, ma ci vorrebbe anche un po' dì giudizio. - Senti mamma - le disse - quanti anni ha quesha ragazza? dodici, tredici? Feriti che non sono curati. hanno fumato, la preoccupaz;one di tutto quanto si o.gita in città. E l'egoismo dell 'am.– malata soffre di non potersi accaparrare inte– ramente i figli nella ~ua ultima ora. Poi, quando si abbatte, i dubbi di lei mettono un malinteso crescente fra sè ed i f-UOi.Se essi non pensassero alla fortuna, che debbono ereditare ella ~tessa dr1.rebbe loTo l'idcn. di que~to denaro, pel modo come se lo disputa fino rill'ul'imo res-piro. Li g-unrda con arin sì acuta, con timori tanto evidenti, che essi sono obbW;ati a ,girar .altrove la trsl_a. Allora c•lla crede che !:il)ifluo la oua agonia; ed in verità vi pensano, giacchò sono ricondotti continua– mente a quest'idea, d::i.Jla muta interrogazio– ne dei suoi sguardi. Lei stessa fa germogliare in loro la (:upidif{ia. Quand'ella ne sorpr~nclc uno, pensosu, ('on la faccia )ftllida, gli dire: - \'i~ni vicino a me ... A d1e pensi? - A nuJJ&., rnarnma. .\.fa egli ha !,U'-SUltato; la madre, scotcndo lent:.trae11te l:.i. tc•r,ta, ,oggi unge: - Vi Cflgfono molte preoccupazioni, figli miei. ),fa via, n<Jn vi tormentate rnnto, me ne andrò fra poco. r figli Ja r"ir<:ondano. Jr• g-iur,n10 che J":ima no molto e r:hr: J:1. salvera11r11,.Risponde tli no, Mn un serrno del capo, e -'inabissa nella sua sfìd cja. E una spaven'evole agoni;i, a\ vele" nata' dal denar,,. La malattia dura tre ~:ttimane. Si son già fatti ,·inque consulti coi medici pi4 celebri. La cameriera aiutò i flgli nella "Ura, e mal– .t-rr:1dotutte 1<:r,recrrnzioni, I'appartamento è f1lquanto in rl -ordine. Op-ni sprranza i! pn– d11ta, il medir:o r.1nnunzf4 che, da un momento all'altro. J'::.immrdata puiJ soccombrre. Un mattino che i figli la credevano addor– mentata, discutevano fra <li loro acr.anto alla finestra, d'una difficoltà rbe si presentava. Si era a.l quindici luglio, e la madre aveva l'abi– tudine cli anda1 1 e a riscuotere personalmente la pigione ùelle case ; perciò ora essi si tro– vano imbarazzati non sapendo come regolarsi per incassare quel denaro. Già i pol'tinai han– no chiesto disposizioni in proposito. Nello sta– to di debolezza in cui l'ammalata si trova i figli non 0!-;:tno parlarle d'affari. Nondimeno se accadeva la. catastrofe avevano bisogno di danaro per riparare ognuno a certe spese personali. - Dio 111io - esclamò Carlo sottovoce, - se lo desiderale andrò io dagli inquilini. .. F,1• rò comprender loro la JJù!-)izione, r certrunen– te paghenrnno. Ma Gioq(o e i\"1 a.uri zio non approvavano troppo un 1:tl siste1na. E$Si pure son divenu– ti t:i0spett,0si. - Potrerorno accompagnarti. - disse il pri– mo. - J\!Jbiwno tL1Ui e tre delle spese eia fare. - Ebbene vi darò qurinto v'occorre. Non mi n r,drte ceito capace di fnggir ca: da.– na.ro. .. ".'\e,, ma è bene che si vada insieme. E più regolai-e. E i-;j guarda)or,o ton oeC"hinei quali bril– Ja,·ano, cliggià Je eollere ed i 1':rncori della di– visione:. La sucCCS!:-iJOPe essendo aipertn, ognu– no vuole assicurarsi la maggior parte. Carlo ribattè brusc:lmente, continuando forte le ri– fle!ssirmi clw i fratelli facevano :1 voce bassa: - \scolt:ite, sarà nirglio vender tutto. Al– tri1tH•nti s1• non nndin1110d'accordo oggi, ci mangeremo domani. - Deve avere dieci o undici anni. - Ebbene, senti: quella poveretta a die- ci anni è già una piccola operaia, poi una p"iccola serva, una donna anticipata; ma ha pur sempr,e dieci anni, è pur sempre una bambina. lo mi ricordo di uno ·dei miei fratelli più piccoli .... e poi vedo i nipotini: la gola è la passione più comune ai fanciul– li; e per la gola il novanta per cento dei ragazzi ruba Jo zucchero, od altre cose con più o meno astuzia, e colti sul fallo. qua,1 tutUi tirano a nascondere e a negare. Ebbe– ne che conto si fa di quelle cose? Sor,o man– canze dell'età; si -riprendono i bricconcelli, magari con le brusche, e si correggono così col tempo e colla paglia. Se ne perdonano delle molto peggiori ai figli di famiglia an– che quando sono assai ,più alti, colla scusa dèll'età.. E si dovrà gridare la croce ad– dosso a questa povera ragazzina, cresciuta come •dio volle, perchè ha ,preso un po' di zucchero? - Ma c,w-o mio, tu scusi tutto. Ii caso è di,-erso, poi si tratta cli roba d'altri. La Lerresti tu in casa una ragazza rhc avesse così poca coscienza ? - lVJa no, mamma, io non conLest..o che a quella famiglia non convenga di tenersi una ragazza che ruba nella credenza: for– se non la terrei volentieri neppure io. Ma voglio dire che è ingiusto sindacare una bambina di dieci, dri undici anni con quel rigore, pretenidendo da essa quello che as– solutamente non può dare. È bimba e vo– gliamo che sia donna! è cresciuta chi sa come, e pretendiamo che abbia una edu– cazione -tianto forLe da resistere ad un istin– to ,prepotente? V<1de forse gli alt~i di casa anche adulti cavarsi tutti i gusti; e a lei, poverina, facciamo colpa se cede alla ten– tazione di un piccolo piacere lei che di ,pia– ceri ne ha gustacti cosi pochi, lei che, cosi 'Piccina, sente fm-se d'essere in quella casa una delle persone che lavorano di più .. La mamma mi ascoltava silenz-iosa. - Di' un po\ mamma, non credi che nei panni cli quella povera ragazza anche i tuoi figli avrebbero pol/Uto essere dei la– droncelli e dei bugiardetti da farsi piglia– re per un braccio e mettere fuori di casa? E don Luigi, di\ quando era ragazzo con me, per la gola, non beveva il vmo consa– crato per la messa? Eppure era un buon ragazzo, e stava bene a casa sua. La mamma sorrideva. - \'edri, v.a>di,che vieni deal ,mio ,pensa– re? V,edi che noialtri socialisti siamo -giusti nel giudicare? Ah tu ridi eh? Corpo di hac– col lascia che venga un dì che i ragazzi possano vii vere da ragazzi; e allora di quel– le miserie non se ne vedranno più. 'Ma.. ma.. ci vorrà un ,po' di pazienza, Eai? bi– sognerà -che venga il socialismo a liberare i lavorawri dalla schiavitù che li spinge a sa.crificare le loro creature. Eh ? non ci avresLi piace!'B anche tu? Scomme:ito che dicesti tre avemmaria perché veng-a presto. - Oh va, mattacchione che sei I - Ah si! hai ragione .. Tanto a che ser- virebbero le avemmarle? La mia vecchietta voleva farmi il muso e sgridarmi; ma aveva il riso alla gola; ed io la lasciai, credo, persuasa che è inutile far della morale quando il mondo è cosi fatto che il disordine pullula tlappei;tutto. Quanto a me pensavo: Poverina! e sei sul principio della carriera! quanti sacrifi– ci e quanti errori, quante mortificazioni, quante sventure forse t'aspettano! I tuoi sfruttatori Li chiameranno ladra; i man– giatori di prof,essione ti chiameranno ghiot– tona; i pettegoli ti chia.meranno linguaccia; e chi ti insulta ti chiamerà sfacci.ala.. E forse sarai davveTo tut-to ciò. Ma di chi la colpa? F. M. Un rantolo fece loro girar la te$ta. La ma– dre s'el'a sollevata sul letto, bianca, gli occhi spalancati, il corpo scosso cla un fremito. Ha inteso e tende le braccia scarne, e ripete con voce spaventata: - Figli miei... 0gli miei... Una convulsione la rigetta sui guanciali, e muore col pcnsioco slrazianle ché i figli la derubano. Tutte e tre, terrificati, cadono in ginocchio, innanzi a.l letto. Baciano le mani della morta, e le chiudono gli occhj, singhiozzanrlo. In quel momento si ricordano della loro infanzia., e non sono che orfani. ~Ja questa morte spa– ventevole resta nel fondo del loro cuore come un rimorso e come un odio. La cameriera. si occupa di vestire la morta. Si rh i ama una <.,uoraper vegliare il corpo. I figli ~ono tutti e tre in faccende: d:chiarare il decesso, comandare le partecipazioni, rego– la.PCla cerimonia funebre. La notte si danno la. muta e vegtiano ognuno a suo turno con la suora. Nella camera, di cui le t."ndin" - a.bba~ate. la morta è rimasta distesa in mez– ·,o al letto, con la testa rigida, le mani :ri ·Tocr, un crocefisso d'argento sul petto. Ac– canto a lei b1·ucia un cero. Un ramoscello di 11aJma ,;ta sull'orlo d'un vaso pieno d'acqua benedetta. E la vrglia termina al fremito del mattino. La R,1ora chiede un bicchiere di lat– te, ~eutendosi alquanto sconcertata. Un'ora prima della cerimonia la SCala si riempie <li gente. L'entrata della camera ~ tappezzata di drappi neri a frange d'argento. (Continua)
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