La Difesa delle Lavoratrici - anno III - n. 20 - 18 ottobre

Perla bandiera Era vita quella ahe f,a.ceva orma i da du e mesi? no , era j l delirio di un a febbre mar ligma. L'av evano sLrappato dalla su a oara 1-ipografla dov,e m ille ,e mill e volte avev;a stampalo pew libri e giorn ali parole di bon– là e di ,fmt ella,m,a, gl i aveva no bu ttata n.ctos– so una div.isa, gli avevano oocciato tra le mani un fucHe e g,li a,vevano ìm.post..o: I( Uccidi , uccidà senza pietà, p1iù gran de sarà l'onda di san gue um ano che spargerai e piiù sar'1Ji glorioso, benemerjio d ella tua gr,an p\3.tràa » . E lui , Max , l'uomo che si chinava ad ac– care,,zar e ogni bimbo, ch e ste,ndeva la mano ad ogni v,ecohio che trepidante cercava at– t1rav.ersare U crocicchio tumultuoso di una via , tlui. l'uomo buono e mite avevai obbe– dito ! Quanbi ne aiveva uccisi? chi l o sa... Non se lo, d'omandava. perchè senlnva come un atroce morso al cuore, come un 'orr -ibile con– fusione nella testa. Quel P01TI?.erig.gio poi era stato infernal ,e: fischi c1i pan e, scoppi di grana.te, nella pe– norrbra. del ,umo acre soffocante che l'aveva avvolto, av.eva visto cadere i su-oì compagni -e cento a oento, avev!ll ucl,i~ urla la ceranti , singhiiozzi di mor ,enti , best..e.mmi,e iraconde e poi, poi aveiva ,perduto .anche 1 la cono– scenza, ,e 1non sapeva come 1f1aloe.s&e a tro– varsi Jì, solo nella motte, ,in quel oespuglio, illeso nene membr .a. Elra fuggito? Era starto sospinto? Cllrilo sa? Non sapeva ,nulla nulla. Ricordava: - Bravo! gli" aveva detto più volte il suo ufficia:Le. Grià, tbravo perchè non aveva te,ntato c1i 1Mil'8l'e la swa1persona ed era rimasto là al fuooo, bersa.gl.io incosciente. Bravo pewchè in oerti 1 1nom•enti, preso come da un'orri – bile pazzia, si slanci ava aivanti avido solo di -sangu~ e di sbrag,e. Bravo, perchè lui, l'uomo più ooesto e m.i-le e~a di v,en tato onai p.i ù f,eroce ai una belva .... Una visione: la nota stanz.ett,a i,llu·minata da una lampa,da che a;veva tra i cristalli te– nui rifl.essi di rosai, una donna collo sguardo vagarute nel vuoto, due hi ,mbi chini su.i qua– deminri de,i·loro comµiti di souola. - Mamma, &ce Fritz, il suo maschi-etto, oggi ho visto dei <!'agazzi che torturavano un ---._ pov E..,:~:,. . 1nido, -ed io l'ho difeso, pov-era crea – tura e poi l'ho dato a Geltrude perchè lo cu– rasse. - Sricuro, soggiumge la bimba,cattivi, far soffrire delle pov,ere creature! Io g.Ji ho dato un ,po' di latte cruldo, l'ho accarezzato, poi l'ho portato alla Menica eh€ abbisogna di un gatto. - Ricordi mamma, dice ancora F.ritz~,ni– cordi che il babbo ci ,raccomandava sempre cLi non f.ar soffrire umssuno, di esser buoni con tutti e uomini e bestie? - G.ia .. - ris,ponde ila ma1dr,e, Ja sua dolce compagna, e i suoi occhi si riempciono di l,acrim•e. Cari, dolci figlioli, quante volte avev,a lo– ro naccomandalo: Siate p,i.etosi s«mpre , sem– pre, ed ora lui senz ét pietà alcuna uccideva , uccideva, uccideva, uccideva!. Udi nell'omhra un bisbiglio che man ma– no 5.l avvicinlaJVa, tese l'orecchio immobil e, due uomi.n1, due nemici. Diceiva uno: - Anch'io non ho avanzato neppur e una. cartuccia. Chi sa se riusoi,r, e.mo J}r;ima del– l'a lba a raggiungere i'! nostrn regg,jmen to ! Ohe stra.g,e quest'og,gri! Mi spiace rebb e che APPENDICE 27 Pagine di vita Dissi a mia m adre che era inutile tratte– nersi nella casa di sa lute ; la convale scenza potevo farla a casa mia . Mio fratell o Alcide non dov eva soppo rta re per me altre spese, poichè il pericolo e~a scomp a:so. Così si sta – bilì ; ed a fatica s1 ottenne 11 perm esso dal pr~~1f~ 0 ~f· bra ccio di mamma e d'una buona zia uscii di là; mi portarono sul treno e fem– mo' ri torno alla cas a, ch'io cre devo ave r la- sc i'~~ft/1~~ s1~~~~- festa: rib aciai finalment e il mio Arturo. E il dì dopo mi feci_ po_rtare anc he la piccola Rina che avev a qu as i ·se1 me– si. La mamma partì. ù:o mi rimisi rapida: mente e dopo una settimana _ero tornat:3- aglt us ati lavori con nuova energia e serenità. _ Beppe aveva stab ilito che saremmo andati a Milano; avea già fissate là due stan ze: u~ av vocato avea promesso ·di dargli lavoro. ~g~1 aveva pemluto molto lavoro ed avea p_och1ss1- mo da fare ormai. Ma nuove e gr8:v1 prove mi aspettavano mentr'io mi c_ull~vo rn .qu_ell.a spera nza ·che 1110n muore mai d un m1gho1e do~;tn~ ~ che l'e sempio e la compagnja. di mio fratello possa influire bene su Bepp1 ! pen- sa~~ gio rno arrivò un telegr~ma reciso dal Sind aco di un Comune , che imponeva Ja re- LA DIFE SA DELLE LAVORATR ICI m'ammazzassero, non per la mia pelle, chè Lanto anche dopo questa guewra patirò la fa– me come prima .. . ma per questa bandiera t ran cese che porto sotto la gi ubba , ha pur nagione il ca.pilano eh? la paLria è la gran mac1re di tut ti! Una r isal..a ironica gli ri spose: - Mat rigna, matràgna, g,li rispose l'altr o, ora perchè è in pericolo ci chiam a figlrioli, passato questo, q UJa111do affamiaJ\i le chio:lere– mo pane e 1111voro allora ci farà m itragliare su ques la ~erra stessa oh.e cLifenc1iamo col nosLro samgue, ci farà langui re nelle paLrie prigioni finchè disprezzati fugg,irnmo lont a– •no, lontano, a chiede re pan e e lavo ro agli odiali sLran.ieri. Senti, per me ~ padroni siano com1:J1aJtrioLio .estran ei, sono Lulli ugua– li perchè non hamno ohe un unico scop o: speculare p iù che ,possono suHa nostra pel– i-e, su que lla delle ll,()$tre donne, dei nostri bimbi e poi buLtarci v-ia come limoni spre– muti. Max ebbe un suss ulto: qua nte volte a– veva stampato lui nella sua lipografia q1rel– te stesse parol e! Eìppure, chi sa perchè , le sue mJa.'fliinv-olontar.iam ente strimse ro il fu– cil•e, un . pensiero bal enò nella sua m en te pervertita: du e oolpi, ,i nemi ci .freddi , la bandiera; ma ... poi ],e lodri del oolonnello , ùa rrn·edaglia al valor -e miliLa1·e, gli onor ,i! Vide nell'ombra du e occhi azzurri attoni.ti di bimbi, dei suoi bimbi , udì c1isbinta nella anim 1ai·la loro voce: ((O babbo .non faT,emo mai male o nes– suno, sa:riemo buoni , ·pietosi come l·o sei tu)). Ahi ipocrita mentitore ... Le mam,i rimasero dmmobili: i due ne– m1ci &'i dile.gua~ono salvi nell'ombra. GIUSEPPINA Mono LANDONI. 1l dirig'ilJil e si libra in alto, Sl,lll'azzurro in– finito: porla con sé un pugn o di uomini che ·recano le {ragil"i bombette seminatrici di morte. Il dirigi .bile vola, immane uccello di guer– ra., sulle case pacifiche, sui campi pingu i, sul– le rnoltitud-ini ign ar e intente ai lavori. Et(l ecco un piccolo ordigno cadere a piom- bo su ·un gruvpo di case... . Ch·i ve l'ha mandato quel regalo, piccoli bi711,-. bi raccolti n ell'asil o di Bie lost oc? E: la g·uerra, la guerra preparata dagl i uomini grandi, che hanno studiato a ltmgo sui banchi di scuola ... Undici bambini sono morti, ful1ninati . Pian– gono le madri sulle tenere vi ttime, piangeran... no ancora domani per altre vi ttim e più gran– di: per la gloria dello C:;ar, per la gloria del Ka"iser! Su, nell'a zzurro infinito il diri gibile conti– wua sereno il suo vi aggio di morte .. Ispettorato dellavoro Serena. - Dunqu e Ida, vi ha conoes.so ta pa.dronia l'aumento che volevale? Ida . - Non l'ho chiesto, non era proprio oggi il giorno di domandare qualche cosa. Pun geva più di un'antic a la mia pn.drona. Serena. - Diamine, che co~a le era suc– cesso? Ida . - Poveretta! ha avuto una contrav– venzione forte per la denuncia di un lspet– lore del lavoro. Serena . - Poco male , vuol dire se la sa– rà merilJwta. Ida. - No; poveretLa, se l'è bu sca.la per trop po buon cuore. Serena. - Oh! come mai, raccontatemi? Ida. - Ecco : Aveva presa a lavorare nel– la fabbr ica una bamb ina di dieoi runni , per– ché è la maggi ore di quatt ro fratellini. 11 padre gua dagna pochissimo, è un povero braccia nte e la mamma con tu tta quella ni– diata non può oerto andare a lavorare . Eb– bene. Lar mia pw:J.rona che è un po' tirchia, ma in fondo ha buon cuore, l'hra presa per compassione nella fabbrica. Le faceva spaz – zare i paviimenti, spolv erare gli scaffali , la manda va di sopTJwin Casll sua a lavare i, piatti e intorno per commissioni. .Serena. - Povera piccina ! Si rendeva u– tile, è vero? Ida. - Altro che utile. &vella come un uccellino , era sem,pr e in moto, attenta a quello che doveva fare. Credet e? rendeva più servizio di una r,ag-azz.adi quindici o sedici anni. Serena. - Dite , che cosa guadagnava al giorno? Ida. - Che cosa volete? da,la !'eta che non le perm etteva di avere il libretto del lavoro la padnonra non le dav1a,più di uno e cin– quanta alla setti.mana. Ser ena. - Dunqu e la vostra padron.a dal suo buon cuore ne ritrae un util e. Ida. - Non ca,pisco. Serena. - Se 1111 ba.mbim, le rendeva ser– vi zii o avr,ebbe dovut o pagarla adeguata– mente. Essa invece se ne approfittava dell'e– tà inf eriore a quella voluta dailla legge sul – le donne e dei fanciuUi per risp.a:rmiar e qruailche cosa sulla giornata da pagarle. Ve– dete che non era questione di buon cuore, ma di tornacont-0? Se l'ave sse davvero anJ- L'apertura delle scuci1eliei paesi della guerra stituzione di 500 lire trattenute sul dazio, en– tro 24 ore, altrimenti minacciav a misure gra– vi a carico di mio marito. lo ero agitatissi ma; Bepp i mi supplicava di sa lvarlo, di cer ca re, di chiedere, di provve de– re. l\li torturai ore ed ore: a chi ricorrer e ? Egli aveva già un debito di 500 lir e e più con un vinaio e pizzicagnolo, nostro coinq11i– lino, che aveva preteso una cam bial e. A chi rivolgersi? Io sapevo dii godere la sti– ma e la fiducia dì tutto il paese, m a non osa– vo. sa pendo che si disprezz ava mio marito e temen do una ripul sa . Poi, come avr ei pagato? Come av rei soddi sfatto il mio impegno? Avr ei trovato lavo ro a Milano? E avrei potuto la– vor are ? Passa i una notte d'inferno. Ne parl ai alla donna di casa , per ave rn e solli evo e con– fort o. Ella si offerse di prest arm eli, di ottener– ne il permesso dal marito, mediamt e il ril a– scio d'un a cambi ale a sca denza di tre mesi. - So che lei me IT restituirà , se aov esse an– che levarseli di .bocca, mi di sse. Rim as i confu sa e commossa. ì\i!io marito di– spera va ch'io potessi ottenere di levarlo d'im– paccio ancora una volt a ; mi strins e le mani. Compr ese che quel debito d'onore mi oppri– meva e che avrei av uto un ist ante di pace fin– chè non fosse st ato soddisfatto. T acitat o quel sind aco, mi par eva ch'egli si fosse me sso tranquillo. Ma invece qualche co– sa buccinava nel suo cerv ello. Egli temev a non ci lasciasse ro pa rtire colla roba; che al– l'ultimo mom ento , que l fornitore non si fosse appagato della cambiale che non aveva alcu– na firma d'avallo. Io ero a·ssorta nei prepa – rati vi della partenza; era affaticatissima; egli era stato fuori tutto il giorno; aveva lasciato tutto a me il peso di qu el lavoro, a me anco– ra convalescente, e gliene serb avo rancore. Ma al suo rientrare compre si che aveva be– vuto e mi sedetti a cena senza dir parola. - Andi amo a prendere il caffè: conduci an – che il bimb o, mi disse con tono reciso. - Fa freddo; las ciamolo a casa, dis si; tan– to, io torn erò ·subito. - No, conducilo: sa rà meglio. Non insistetti per non dar moti vo a liti gi, vedendo lo un po' stravolto. Scendemmo. Egli tornò indietro a prend ersi il mantello. Sull a strada trov ai un collega che mi ferm ò a conver sa re. Beppi ta rdav a: lo chiamai. Venne finalment e. Sulla via egli di– ceva paTole slegate, senza sen so. - Beppi - gl i dissi - che hai? Non t'ho mai visto così fuor di sen no. I-lai bevuto moJ. to, mol to? Che dici dunqu e ? Egli si rimise. - Non ho null a. E mi parlò del 'SUO bel cane da cacc ia che voleva por ta re con noi a Milano. Erava mo appena giunti, che un ragaz zo af– fannato per la corsa, ci gri 1dò : La vostr a ca– sa bru cia. Le fiamme escono dall a fin estr a: guardate . Il pensiero del bimbo che av rebbe potuto essere là , soffocato dal fumo , se non l'avessi cond otto meco, se non avessi ascoltato mi o marito, mi fece manca r le forze. Lo stiins i a me convulsamente. Beppe era già acco rso. La foll a aveva for– zato la porta, inv as o l'appartamen to. Jl fuoco era acceso in va rii punti come se un a mano l'ave sse appig liato . L'a rm adio, il cass etton e erano in fiamm e : il lett o era bruciacchiato; tutto fu inond ato d'acqua, sciu pato, ca lpe– stat o. lo v'entrai il giorno dopo : oh, la mia bella ca5etta! Com' era ridotta ! Dove se n'er a an da– to ll mio lavoro? I bei mobili lucidi, bianc he• mata la bontà quando assunse quelLa picci– na, visto che meritava, avrebbe dovuto pa – garla come ordinariamente si pagano le apprendiste, e cioè cinquanta, sessanta cen– tesimi al giorno_ Credetelo a me, in ge– nerale, meno qualche eccezione quella dei padroni, anche per una necessità di cose 1 data la terribile concorrenw contro la qua – le debbono lottare, 1, una 01r-\U1mollo pe– losa ... Ido. Serena. Serena non ditele certe cose che mi fanno perdere tante illusioni che vorrei consE:.rvare. Ecco, a me pare buo– na la. mia pad ron,,:1.Vedete, tutti gli anni a Natale ci da sempre qu:alche camicina, delle calzeltine per i nostri figlioli. Se qualcuna di noi si am mala si occupa per farne avere dei buoni per Ja cucinia, dei malati poveri. Per le operaie vecchie che deve appunto licen ziare per 1eta ha racco– manda zioni per l'Istituto di :11endicita di S. :'vi.arco, per la Congregazione di Carità. Xon negherete, vero, cht questa sia una ca– rità fiorita. Serena. - Dite, e voi sarete riconosce nti, vero? Ida . - Che domand e! :Ifa cert o, e la se– ra quando c'è fretta di lavoro se è neces– sario ci fermiamo anche qualche quart o d'ora di più . Siamo obbligate, non vi pa re? Dopo tutto quello che fa per noi la nosl ra padrona. Eppure credet,e? Ye ne sono delle ingrate r·he non riconoscono niente. Già la pad rona lo dice sempre: al giorno d'oggi tutto il bene che si fa agli ope rai è diven – tato un obbligo. Xon vi dicono quasi nean – che un gra zie. Yi sono delle mie com pagne che , qualunque urgen za di laYoro ci fosse, non si fermano un minuto di più del loro onario se non sono pagate, come se cascas – se su lle loro corna il soffitto della fabbric a. ~o, non è la man~era di iare con una pa~ drona che guarda , è vero, il suo interesse , ma però è caritatevole , vi pa re? .Serena. - ~o , no, hann o rag ione anche le voslre compa,,"11e. lda. - Oh- qu esta poi è grossa. Come ia– te a parlare così voi Serena che quan do ri cevete un piacere non sapete più come far e a ricom pensar e tanto lo gradite? Serena. - Non mi avete più volt-e detto in certi momen ti di mal umo re che lo stan – zone dove lavorate è malsano perch è l'ar ia non vi circo la liberament e? Xon Yi siete lamen tata anche che la paga che Yi dà la vostra pad rona è infe riore a quella data in molti altri laboratori di car toruaggi. on mi avet e forse detto che lo stanzon e dove lavorate al-l'inverno è molto freddo perché si fa una t-erribile economia di carbon e? anche p,erchè le finest re soffiano da ogni parte per la 0aJttiva condizione dei loro tela,i. Ida. - Queste cose sono Yere ma .. Serena . - Ma 1 sentite , se la vostra pa– drona spendendo qual che cosa di più nel– l 'affit.to vi facesse lavorare in un ambient-e più arioso e per ciò più sano quanti mal di testa di meno soffrires te Y0 1 i openaie! sè nell 'inverno le finest re fossero in ordin e e il labor.a.torio meglio riscaldato, quante tos– si, quante bronch iti di meno, non ,·i bu– scherest e voi operaje e allora ,-edete, non avreste bisogno dei famosi buoni della Cu– cina per i malati poveri. Se la vost.ra pa– drona, infine vi p,agasse megllo, non è ve– ro) forse , che potr este più facilmente con minor pena , avanzare qu elle qua ttro ~ do– dici lir e annu e e anche più per iscriverd alla Gassa Nazionalle di pre,·idenza e i yec– chi non avres.t.e bisogno di bussare alle por– te dei ri coveri cJj mendi cità . nè di chiedere qua e là l'elemosina del pezzo di pane, con– dito con infini te umiliazioni ·? P erchè, per- ria, vest iti, corredino dei bimbi? Che odor cti fumo, di bruciaticci o, che toglieYa il respirn? Guar davo sconsolata, inebeti ia . - Va là , mi di sse Beppi: era iutto assìcu. rato, compre r emo tutto nuoYo. . Lo gu ard ai sbalordita : i\l a come ? qu and o? f\on lo sapevo. - È un me se, egìi agg iun se : m· aye,·a11 tan– to ~eccat o1 che assicurai. E giunta in buon punt o! La cosa mi pa.r\"e strana : ed anche il suo linguaggio, il su o contegno aveya qualche co– sa che non mi spi ega ,·o. La dome stic a mi parlò delle YOCiche corre– vano in paese: JI fuoco era stato appig liato da qu a lcu no; non era accidentale . _- Da chi? - chiesi io. - Ell a non osò ag– giu nger alt ro , ma io compresi allor a; ricord ai l'a gitazione di Beppe la sera prima; le sue pa – rol e 'Sconclusionate; la sua semiubbri achezz a, dopo va.rie settimane che non beveva più mol– to; la sua aria cupa . il suo contegno pr eoccu – pato degli ult imi giorni. Il sospetto mi soffocava.. - Ma perchè, per– chè? mi chiedevo. P erchè l'avrebbe fatto? Per ave r del clena.ro? Perchè non gli fosse even– tualmen te seque str ata la ro ba? Per pagar le due cam biali? Perchè non ave \"a m ezzi pel tra – sporto e per le prim e spese? Per imp ieto sir e mio fratello e ave r ai uti? Il mio cerv ello si perdeva. - Ma come aveva osato? E non ne era. mor– to di spave nto, di terrore? E se l'ave ssero sco– perto? Fr emevo . lo non pote vo lasciar la mia povera casa. Quando egli venn e la sera, per condurmi a cena, lo guardai fisso negli occhi e gli dissi imp rov visament e : - Sei stato tu a bruciare, ad accendere ! E mi mancò il re- spir o. (Contim.w ).

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