La Difesa delle Lavoratrici - anno III - n. 6 - 22 marzo 191

FEDELE Fedele aveva sempre amato, ardentemen– te, la piccola Michelina , fin da quando l'a– vevano raccolta , spauri la e piang ente nel– la casa dove era morta la mamma. Le dice– va: <e Michelina , t.u sei più che una mia sorellina. sei quasi una mia figlietla )). E la prendeva sulle spalle robust e. la fa– ceva rid ere e salta re, mentre i vecchi dice– vano con un sor riso: - Tu la vizi troppo , Fedele. È una pic– cola strega; t'ha cambiato l'anima. rnai, t'a bbi amo visto ridere così. Quando Fedele d'inverno andava a la– vorar e in città, nelle rare lettere che scri– veva non parlava che della piccola! « Non mandatela con le zoccolette nella ne,-e, tenete la ben rigua rdata che non pren– da la wsse, vi man do i soldi perchè le fac– ciale un vestitino ben pesante, al mio ri– torn o le parlerò una bambola che mai in paese se ne sarà vista una eguale 11. Qua.si i vecchi erano gelosi di Michelina. Ogni primavera ritorn ando Fedele trova– rn i\liche lina più alta , più bella , più fine, con quei suoi capelli biondo e chiari e quel colorito cosi chiaro e un po' pallido , come se l'aria fine dei monti non potesse farle scorrere un sangue più robusto e più rosso, nelle vene. <1 Ha. la faccia dUna signo rina » diceva– no tutti. E portava anch e con una grazia spec iale gli abitini di cotonin a chiara , sa· peva pettin arsi con1e le signore che veniva– no in villeggiatura, le piacevano mille co– sette inutili e metteva a malincuor e le ca– micie di lino filale in casa . Fedele ogni anno , dopo i lunghi mesi di assenza, tornando al paese trovava che Mi– chelina era come una pari e indispensabile della sua vita e mai lo turbava il pen siero che un giorno un uomo gliela poteva par– lar via. Crescendo negli anni , Michelina aveva conservat o il suo dolce viso di bimba , pa– reva che non pensasse a nulla, che nu lla ancora turbasse la sua vita serena di fan– ciulla . Fedele non sapeva leggere negli occhi chiari e limpi di di Michelina quell'oscu ro e celato ard ore che aveva fatto anche di sua mad re una creatu ra d'amore e di pas– sione. Fedele tornò una pr imavera e trovò Mi– chelina iatt a ormai donna , con la person– cina men o aggr aziata e un viso più colo– rito, più fiorente , come se la sua giovinez– za avesse a,·uto un rigoglio improvviso ed inatteso. Ma \lich elina non sorrideva e gli occhi chiari avevan o ombre oscure, un ramma– rico segreto, un'ans ia, qualc he volta un rancore inesprimibile. Fedel e non osava accarezzarla come una rnlta . Sentiv a un disagio e un dolore come se qualche cosa dovesse. ad un tratto, spez– zare la sua vita. una sera raccolse da ~lichelina la con– fessione amara. Ella lo chiamava zio come quando era piccolina I (( Va' sono cose che non si può dire , zio Fedele, come succedano. Zio tu non sai e non puoi capire, perché tu sei un uomo forte e sano. Ei quand o amo non sono più Michelina, sono una donna che mi fa paura . Non ra– gio no, non penso,. non dis cuto. Zio Fedele, forse tu mi disprezzerai e non mi vorra i più ben e quando saprai. Ho pensato che sarebbe meglio morire. Sono mamma. E ciò mi fa disp erar e perché un bimbo io non APPENDICE l" Pagine di vita ---- - ~1a vensavo che il suo cuure n,J11c0rrotto axrebbe vinto Ja ~ma leggerezza. Ed ora? Io non potevo pensare: \·edevo tutto buirJ, tutto tenebre, tutto disperazione. Il dirett ore a\·eva scritto a cac:,,1mia, temen– do per me. Lo compresi da una lettera di mio padre, che mi diceva che i loro cuori, le loro bracc ia, erano prcinte ad accoglie rmi ; chr an– dassi a rifugi armi da loro. Ciò mi svegliò c<Jmeuna sferzata. No: io zwn prJte\·o abbandonare quell 'uomo a sè stesso; alla propria debolezza; egli era come un fanciullo, irrespo nsabile; io dovevo tentar ancora qualche cosa, per rialzarl o; per– chè non dovevo saper plasmargli un'altr·ani– ma? l'avevo dunqu e amat o invan o? l rJdovevo raddoppiare di tenerezza, di bontà per con– quist arne l'inter a fiducia, per aiutarlo nell a lotta contro sè stesso, per premunirl o contro la tentazione. Se egli avesse avuto un padre come il mio, non sarebbe stato così. Ne aveva dunque colpa? E vero, io mi privavo di tante cose, perch è egli almeno avesse il necessario, ma forse i suoi bisogni imperiosi non erano paghi ; fors'egli soffriva più_ d.i m~ delle no– stre ristrettezze e un senso d1 nbelh one lo ave– va spint o, dopo tanti mesi di privazione , a ricercar qualche piacere, ad appagar e qualche LA DlFJ!SA DELLE LAVORATIUCI lo volevo, volevo soltanto che lui fosse con– tento, volevo esse re sua , interamente)). Fedele ascoltava quasi senza capire, con un 'angoscia, come se tutto crollasse, attor– no a lui. Michelina lo vide così pallido e stravolto che si mise a piangere , con l'aria desolala d'una bambina. 1 c Forse tu non mi perdonerai , mai più. vero zio? n Ma di tutto quanto aveva detto Michelina Fedel e non aveva che una percezione chia- ra, desolante: - « Ella era ormai d'un alt ro I ,, Fece uno sforzo e domandò: cc Dunque ti sposera i, ora? )) (( Forse no, forse lui non mi vorrà SJJC- sare ». <e E tu che farai ? (( Non so, dimmi tu». Fedele disse allora., con una. voce che non pareva più la sua, con una bontà dolce, ca– rezzan do Michelina che la guardava. come se da lui dovesse venire la salvezza. « Ti terra i la tua bambina quan do na– scerà, e non ti vergognerai di nulla e di nessuno e stara i con me fi'no a quando ... ,, Michelina lo guarda va con una tenue gioia negl i occhi. « Fino a qua ndo non sentirai che la tua felicità non la potrai trovare che altrove ,,., Rina. Non v'è ch'io sappia una migl iore de{ìnfaione dei cliritt-i deli'1romo di questa: non n,bare né {art-i de– rubure.... Date acl ogni 1wmo ciò che gli a,ppartiene. La ri– compensa dell'ope ra St(a e clel suo lavoro. La terra ,,wn soffrirà pi1i, allora. CAHLYLE . I pr ocessi della ll.a logiea de i setnplie i. Il reduce... parte. - Perchè , Ter esa, avete gli occhi rossi ? - Il mio figliuolo parte: va all'estero in cerca di lavoro. - Oh poveretto! Un figliuolo tanto br a– vo... Possibil e che non abbi a trov ato pr o– prio null a qui da fare? - I!; da un anno che aspetta inutilm ente! Eppure vi ricordale quando ritornò dalla Libia quale festa gli fecero i signori del paese? Par eva che tutti se lo volessero di– sputare. Il padrone della fabbrica gli pro– rt:ise un posto dei migliori; quel signore in c1lmdro, che è chiamato cavaliere, gli dis– se d1 rivolgersi a lui per qualunque biso– gno; il sindaco che gli consegnò la meda– glia poi, oh! gli fece un discorso con tant i auguri e tante profezi e... che c'era da sba– lordire ... - E poi? - Poi quando egli è andato dal padro - ne, si è sent ito dire che, causa la gue rra , il là\l'oro era diminuito; quando si è rivolto al cavaliere, quegli gli ha fatto rispond ere dal portiere che aveva tante pr eoccupazio– ni più gravi ; e q~ando infine si é azzardato a parlar e col sindaco, si è sentito dire che per amare veramente la patria, non si deve cercare il compen so al sacr ificio compiuto. - Ah, buffoni che sono sempr e questi si– gnori! Ma mi dicano un po' come fanno es– si ad-amare la patria? Quel giorno famoso si son presi il disturbo di mettere la redin– gote ma poi? - Oh poi , pancia piena, non pensa più stampa so,cialista e la Giustizia in Italia. Anche la " 'lJi/esa delle bavoratrici,, avrà presto il -suo battesimo davanti alle Ass ise. Segno è che questo foglio modesto dà fasti dio ai nosrri reggitori . ee ne rallegriamo. desiderirJ lungamen te represso. E al primo sdegn o ama rissimo, subentrava una grande, immensa pietà di lui. Come mi doleva che mio padre lo disi stimasse , egli, così inflessibile e rigido in fatto d'onestà, che non avrebbe per– donalo mai! lo che avevo sempre gelosamé nlk taciuto, sre rando condurl o un giorno a lu i, eletto e degno! Hisposi a mio padre che non potevo lasciar Beppe al suo destino finchè un filo dì speran za di gior ni migliori mi rima– neva nel cuo re. Come potevo godere degli affetti di fami– glia, vivere tranq uilla ed agia ta con loro, an– dare a passeggio, al caffè, a teatro e saper lui, solo, reietto, senza tetto, senza pane, nel- 1:L miseria, nella vergog na, nell':Lbbandono ? forse a mendicare un soldo, forse a dormire sul cigli<) d'un fossato? Ah no, no! Lo avrei lottato ancora con lui e per lui, contro la sua Jeggerezza e contro il destino crudo e... avrei vinto; sarei torna ta allora fra le JJraccia dei miei, orgogliosa, felice I Il babbo mi r~J}licava pocllr parole, ma ta– li che niur, compenso il più dovizioso, il più pregiato io avrei potulo preferire: ((Vado al– tero di te: resta» . E rimasi. - La signora del collegio mi ac– rompagnò a casa : ella voleva che io abban– donassi mio marito e andass i a vivere con loro, continu ando a far l'insegna nte. E tante ne disse sulla condotta di mio marito, sul suo modo di contenersi, sulle sue sma rgiassa te, sul suo lingu aggio volgare, sulle conquiste che vantava, sulla sua poca econo mia e se– rietà, sull'ingratitu dine sua, ch'io, cOl cuore stretto, la prega i di cessa re. - Difendetelo, soggi unse a mo' di conclu – sione, e vi giudicheranno alla sua stessa stre– gua. Egli è un farabutto. - Ed uscì. Io ·entrai in camera sconvolta. Beppi aveva udito ogni cosa e piangeva tacitamente. - Ha ragione quella signora, disse. Va, la– sciami al mio deslino. lo sono indegno della tua tenerezza. ----: Si è sempre in tempo a rimedi ar agli er– ron , a corregge rsi. Ma ci vuole buona volon– tà e _fermezza ,gli risposi triste. Io sono qui ad aiutarti; ricominci eremo daccapo. _- _E tu vuoi?... - Voglio che trovi Ja forza dr diventare un galantuomo e di meritar la stima di tua moglie. - . Io non posso esigere nuovi sacrifici da io, replicò. Prenderò i1 mio fri..edello e andrò Jon– t:rno e se riuscii-ò ad i!.prirmi una via, ritor– nerò a te. - Cercheremo in sieme, proseg uii ferma. - Ah ! non mi aspettav o questo! La lezione du– ra ci giovi. .- E che colpa ne hai tu, povera donna? riprese egli piangendo. - M_a! forse avrei dovuto prevedere, guada– gnarm i la tua confidenza, esser più energica ... Coraggio dunque I • E gli tesi la mano come per sugge llare un patto, una promessa . E nei giorni che segui– rono preparai le mie ca rte, i miei documenti e mi recai a Milano al Provveditorato. Trova i una perla di segretario, pieno di cuore, un vecchio gentilu omo veneto, che mi promise il suo appoggi o, mi usò mille cortesie e volle andassi a casa sua a trovar sua sorella . Intanto incominc iavano a mancarci i mez- a quella vuota . E dir e che noi povere _mam– me andavamo in visibilio, perchè vedeTa– mo i nostri figliuoli in mezzo a quella gen– te... - Ah sì, purtrop po. Ma oltre a ciò non avete sentito dire ·quante rub erie hanno fat– to quelli che forn ivano la roba per la guer– ra? Si tratta di milioni e milioni. Ci sono di quelli che si sono arricchiti e, quel ch'è più, nessuno è andato in galera. - Dite davvero? - Sicuro: e costoro erano proprio quel- li che volevano la guer ra. Scommetto che anche i signori in redingote, che festeggia– vano i reduci avevano la loro parte di ... torta? - Ma.. potrebbe darsi, perch è già dopo la guerra pare che la faccian più da signo– ri. Si sente dire infatti che la guerra ha impoverito il paese, ma quei signori , pare non abbiano altro fastidio che quello di cambiar le parig lie con l'au tomobile; men– tre per i nostri figliuoli manca il lavoro e noi rimaniamo a rimirar le medaglie... ... che non tengono pasto ! - Oh, che inganno è mai stato! Ma non è meglio ignorare tutt e quest e cose, che non fanno altro se non aggiungere dolore al dolore? - No, buona donn a, meglio sapere per non lasciarci ingan na.re uri'altra volta. g . b. Vita proletaria. La sarta da uomo è uno dei tanti mestie– ri faticosi , per il soverc hio lavoro a mac– china che procura disturbi intestina li e per i pesanti ferri da stiro che stanca no moltis– simo. Chi poi lavora in casa , per delle sartori e, ha anche l'incomodo di andare e venire, due o tre volle al giorno, dalla casa alla sartoria, a beneplacito del tagliatore. La sarta che gli va a genio, molte volte quella che ascolta le sue chiacchiere, quasi sem– pre riesce ad acconten tarlo col· lavoro, l' al– tra più seria, più riservata si prende dei rimbrotti immeritati; deve rip ortare a casa molte volte il lavoro per delle scioccliezze. S'intende che, anche pei tagliatori , ci sono le eccezioni lodevoli. Poche volte la sart a può dir e le sue ra– gioni pel timore che non le venga più dato il lavoro. Trovare altre sartori e che dian o lavor o è difficile per l' esuberanza di mano d'opera che si offre a prez zo di concor– renza. Il lavoro poi è male distribuito , per il co– modo dei clienti, passiamo giornate intere senza aver nulla da fare e dobbiamo inve– ce, spesso, perdere le notta te, a scap ito del– la nostra vista e della nostra salute. Quando con alcune mie compagne di la– voro ho espresso il malcont ento per la po– ca considerazione in cui siamo tenute dai tagliato ri, per gli inconvenienti e i disagi della nostra professione, mi sono sentita ri– spondere che iI lavoro a domicilio dovreb– be.essere abolito. Ma come fare? Una donna maritata, la– vorando in casa può bad are ai suoi figli, se dovesse andar e alla sartoria forse do– vrebbe rinunciare al piccolo gua dagno che attenua, in parte. il disagio economico del– la vita prol etaria. Certo il lavoro a domici– lio dovrebbe essere disciplin ato, non rap– presentare una specie di krumirag gio, le la– voranti a domicilio dovrebbero esigere ciò che le loro compagne hanno ottenuto in fat– to d'aumento, di diritto, di contratto , ecc. Ma per ani vare a ciò è necessa ria l'orga– nizzazione. Vi sono molte cose che l'orga – nizzazione potr ebbe stud iare, fatti dolorosi , ' potrebbe attenuare, quando non riu– scisse a porvi, per ora, un rimedio. zi. L'anno scolastico era finito . Io ero semp re disturbala dall e febbri pal ustri, avevamo fat– to qualche debituccio, un creditore era venu– to a far cl elle scene: io n'ero sgomenta. An– dai a rinortare al l\Ionte di Pietà quanto a poco a poco avevo ritir ato coi miei piccoli ct– spanni nei mesi buoni e, consegnato a Bep– pe il poco denaro, lo consigliai di recarsi da mio zio che m'avea promesso di farlo accetta– re come agente daziario a Legnano, in via provvisori a. Ed io, raccolte le poche masse ri– zie che ci rimanev ano, andai a casa dai miei per rimettermi in salule, fino al riaprire del– l'anno scolastico. Le raccomandazioni del segretario del Prov– veclitorato valse ro a far mi ottenere un posto di risul ta non molto lungi da Legnan o. Final mentel pensai - per un anno il pane è sicuro. Beppe avea parlato dì me con entu– siasmo alle mie colleghe e fui accolta da loro con festa. E i primi mesi tutlo andò bene; io avevo una terza maschile assa i numerosa e pesante, ma colla serenità ritornava no le e– nergie . Mio marit o coJla sua parlantina bril– lante, col suo etei-no buon umore, colle sue ar– guzie, colla vivacità del suo dire, colle sue barzellette e ga lanterie era accetto e gradito in ogni società e la vita scorreva tranqui lla. Ricominciammo a metter casa, ricom peran– do oggetto per oggetto. Ed ogni· volta che riu– scivamo ad acquista re qualche utensile neces– sario. era una festa a trovargli il posto più conveniente e si procurava di supplire a1le– gramente a ciò che mancava, alla bohème. (Contin ua).

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