tatore, l'unico a degnare d'uno sguardo H rinoceronte. Ed è anche l'unica figura non convenzionale del quadro. Il mantello gettato ne• gligentemente su'lle spalle, incurante del pubblico che lo circonda come del pittore che lo ritrae, allunga un'occhiata obliqua al rinoceronte fumando in una lunga pipa bianca. Ma neanche l'animale sembra scuoterne l'apatia. Se il pubblico lo ignora, il rinoceronte -scornato ignora a sua volta gli spettatori, e anche l'obiettivo, e guarda triistemente nel vuoto. Il destino che l'aspetta è riassunto nei dettagli del fieno che gli sta sotto il muso (afouni fili di fieno ,gli pendono dalla bocca) e, in primissimo piano, alla base inferiore della tela, i tre mucchietti di sterco, che ha l'identico cupo colore dell'animale. Una vita fatta unicamente di nutrimento e evacuazioni. Gli spettatori disinteressati dello spettacolo; l'imbonitore che vanamente si agita nel tentativo di attirare l'interesse del· pubblico; la noia dell'unico ,spettatore che guarda l'animale; l'animale mutilato della sua arma e del suo vanto, reso innocuo, degradato a mera macchina digestiva: ,possibile che il buon Longhi, la cui pittura sociale non si spinge mai olt-re l'ironia, sia stato capace di darci questa densa e scoraggiante parabola dell'inutilità? Longhi non era né un Hogarth né un Goya, e dubito che si rendesse ben conto di ciò che iil suo occhio vedeva e la sua mano dipingeva. Ma qudl'occhio era attento e quella mano fedele. È grazie a questa integrità che noi oggi vediamo nel quadro anche ciò che l'autore non poteva vedere. Mazzin i . Il viaggiatore che scende alla nostra stazione ferroviaria, superato il ,piazzale, si trova davanti il Giardino Margherita (in .onore della prima regina d'Italia), alias Giardino Costa (dal nome ddl'antico proprietario che ne fece· dono alla città). È un parco ampio, piacevolmente mosso, Ti.ecodi magrufici a1beri. Da bambino m'avevano colpito certi civettuoli archi di mattoni che avevano 1a funzione di sostenere i rami più bassi, stanchissimi, di alcuni cedrii centenari: questi archetti esistono ancora, ma disoccupati, ridotti a ornamento, dato che i decrepiti' rami cui facevano Biblioteca Gino Bianco
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