Diario - anno VII - n. 9 - febbraio 1991

comporre alcuna controversia, per quanto lieve la si possa immaginare. Invece di conciliare, le fomentava e inaspriva di più. E i tavernari di Smarve dicevano che in un anno, sotto il suo patrocinio, non avevano venduto tanto vino conciliativo (cosl essi chiamavano il buon vino di Ligugé) quanto ne vendevano in mezz'ora sotto suo padre. « Ora accadde che il figlio se ne lagnò col genitore, attribuendo la causa di tante delusioni alla perversità degli uomini del suo tempo, e insinuando apertamente che se anche nei tempi andati la gente fosse stata cosl perversa, Jit.igiosa, arruffona e rancorosa, lui, suo padre, non avrebbe conquistato tanto facilmente l'onore e il titolo di conciliatore irresistibile. Il che dicendo Stefanotto violava quella regola del diritto che vieta ai f.igli di ·rimproverare i genitori [ ...]. « "Bisogna" rispose Pierotto, ".fare altrimenti: .sl, Stefanotto, figlino mio. Tu non :riesci a conciliare le liti. Perché? Perché le prendi all'inizio, quando ·sono ancora verdi ed acerbe. Io le concilio tutte. Perché? Perché le prendo ml finire, ben mature e digerite. « "Non conosci il proverbio che dice fortunato quel medico che vien chiamatoquando scemala malattia? Giunta al suo punto critico, la malattia vien meno da sé anche se il medico non arriva. Similmente, le mie brave controversie si estinguevano da sé perché le borse erano vuote, e i miei bravi .litiganti la smettevano di citare e sollecitare: non c'era più denaro per citare e sollecitare. Ci mancava soltanto qualcuno che facesse da paraninfo e da mediatore, qualcuno che buttasse là di suo l'idea della conciliazione, per evitare all'uno e all'altro contendente l'onta incancellabile di sentirsi dire ch'era stato lui il primo ad a•rrendersi, lui il primo a parlare di conciliazione, lui che sapeva di essere nel torto e ormai sentiva il basto rompergli la schiena. E' a questo punto, mio caro Stefa:notto, che io capito a proposito come il lardo sui piselli; è questo H mio momento, .il imio vantaggio, la mia grande fortuna. E ti garantisco, figlio mio bello, che con questo metodo, io potrei metter pace, o per lo meno tregua, fra il Gran Re e i Veneziani, fra l'Imperatore e gli Svizzeri, tra Inglesi e Scozzesi, fra il Papa e •iFerraresi. E chi altri ancora? Se Dio m'assiste, fra il Turco e il Sofl, fra i Tartari e i Moscoviti. Io li prenderei, intendimi bene, nel·momento -incui e gli uni e gli altri fossero stanchi di gue-rreggiare: nel momento in cui, vuotati i loro scrigni, esaurite le borse dei sudditi, venduti i loro averi, ipotecate le terre, avessero dato 78 Biblioteca Gino Bianco

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