Diario - anno VII - n. 9 - febbraio 1991

il vetro limpido e duro di uno stile che impedisce ad ogni vibrazione dolorosa di arrivare a toccare emotivamente il lettore, Calvino emette un estremo lamento, il lungo sibilo lirico di una malinconia inguaribile. E' come se scoprisse l'introspezione e la« pace interiore». Pafomar naturalmente non può fare a meno di parlare, dopo toni gravi, di « regole del gioco » e di una « partita » con « le mosse e le contromosse da giocare ». Astrazione confortante nel campo metaforico dello sport. Finché si precipita nel sublime delle eterne categorie morali: « Le persone di cui egli ammira la giustezza e naturalezza d'ogni parola e d'ogni gesto sono, prima ancora che in pace con l'universo, in ,pace con se stessi. Palomar, non amandosi, ha sempre fatto in modo di non incontrarsi con se stesso faccia a faccia; è per questo che ha preferito rifugiarsi tra le galassie; ora capisce che è col trovare una pace -interiore che doveva cominciare. L'universo forse può andar tranquillo per i fatti suoi; lui certamente no. » (p. 120 Nuovi Coralli). Tale è la sua fobia per i rimorsi e per la coscienza che ne soffre, che Palomar-Calvino, non appena se li trova cli fronte, sogna la morte, sola cancellazione di questo disagio: « Poi un sentimento dominante non tarda a presentarsi e a imporsi su ogni pensiero: ed è il sollievo di sapere che tutti i problemi sono problemi degli altri, fatti loro. Ai morti non dovrebbe importare più niente di niente perché non tocca più a loro pensarci; e anche se ciò può sembrare immorale, è in questa irresponsabilità che i morti trovano la loro allegria. » (p. 125). Il progetto di imparare ad essere morti è il progetto di come essere finalmente egoisti come può esserlo soltanto chi non c'è, chi non è più in mezzo agli altri, e « tutti i problemi sono problemi degli altri, fatti loro». La morte non è che l'ideale punto astratto nel quale la perfetta allegria coincide con la perfetta irresponsabilità. La felicità dell'essere morto è la felicità di chi non c'è. E questo non esserci come potrebbe essere definito « immorale »? Accusare i morti di immoralità e irresponsabilità sarebbe assurdo, cioè immorale e irresponsabile, perché loro non ci sono. Il grande sogno dell'egoista o dell'immoralista è dunque quello di essere morto essendo vivo, .56 Biblioteca Gino Bianco

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