Calvino entrava in una maturità quanto mai dubbiosa e perplessa. I suoi movimenti non erano più atletici e aggressivi. Rallentavano. La linea del narrare non aveva più una direzione visibile e intuibile a distanza. Si spezzava in una serie sempre più numerosa di segmenti. Ad ogni dubbio un angolo, una svolta. L'intelligenza di Calvino non era più il gesto che afferra con pronta, innocente curiosità i fenomeni. Non somigliava più alla mira infallibile con la quale colpisce i suoi bersagli il ragazzo protagonista di uno dei suoi più famosi racconti, uno dei primi, Ultimo viene il corvo, scritto a ventitré anni, nel 1946. Quell'intelligenza ormai frastagliata e saturnina, problematica, e annoiata daHa realtà italiana, diventa per decisione definitiva un'intelligenza « rampante » fra i rami e le chiome frondose della teoria letteraria. Può sembra-resemplificante, ma i fatti hanno una loro semplicità degna di considerazione: Calvino, intorno alla metà degli anni sessanta, lascia l'Italia per trasferirsi a Parigi, nel cuore letterario di Europa. Elio Vittorini muore nel 1964, l'avventura sperimentale della -rivista « il Menabò », la cui vita certo doveva molto all'impulso perpetuamente pedagogico e giovanile di Vittorini, finisce stancamente nel 1967. Agli occhi di Calvino, l'atmosfera culturale e politica italiana doveva apparire allora sempre più faticosa, ingarbugliata e soprattutto letterariamente poco attraente. L'idillio era finito: Calvino narratore fantastico e narratore impegnato, fiaba i:lluminista e curiosità per la vita sociale italiana, erano polarità che non si incontravano più in un felice equilibrio. La via d'uscita fu Parigi. Una fuga nel centro del sistema letterario europeo di quegli anni. Dove d'altronde l'arte del narrare non era tenuta in molta considerazione, se non come oggetto di analisi na-rratologica. Sulle orme di Vladimir Propp, era semmai « l'analisi strutturale del racconto» ad interessare. Ma Calvino, fuggendo dalla realtà italiana, che aveva pur descritto, a modo suo, nella prima parte della sua carriera di scrittore, si trasferiva in una dimensione « cosmicomica » in cui i personaggi hanno nomi impronunciabili e vivono in mondi estranei a questo mondo. E si trasferiva, anche, per una specie di cartesiano impulso misantropico, nella dimensione astrattizzante della teoria strutturale. Ecco: la narrativa diventa arte combinato- ·38 Biblioteca Gino Bianco
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