Diario - anno VII - n. 9 - febbraio 1991

lici. Ma anche escludendo l'intervento divino, se si considerano « l'iniquità e la corruttela di coloro che amministrano la giustizia » - sono sempre parole di Rabelais - « un processo definito in base alla sorte dei dadi non sarà mai deciso peggio di quanto lo sarebbe passando per le loro mani intrise di sangue e di passioni perverse». Tornando al processo contro Sofri, Bompressi e Pietrostefani, se la loro sorte fosse stata affidata ai dadi, gli imputati avrebbero avuto almeno il 50% di probabilità di essere assolti. Laddove l'assurda procedura che ha impegnato tante persone, per tanto tempo e riempito tante carte poteva essere tota1mente risparmiata, dal momento che la condanna era scritta già nei mandati di cattura. (Né il problema riguarda solo la giustizia. Qualche tempo fa un vecchio amico, che non credo abbia mai letto Rabelais ma che ha una cospicua esperienza di pubblica amministrazione, mi diceva che per qualunque nomina che dipenda dai partiti l'unico criterio giusto, il meno indecente e pericoloso, gli sembrava ormai quello dell'estrazione a sorte. Qualunque persona che senza volerlo fosse chiamata a reggere un ministero, un assessorato, un qualsivoglia ente pubblico, non potrebbe far peggio di quanto si faccia oggi. Difficilmente l'eletto, chiunque fosse, potrebbe essere più incompetente degli appartenenti a quella razza o genìa che da quasi mezzo secolo occupa quei posti, e per diventare altrettanto corrotto gli occorrerebbe un po' di tempo, durante il quale le cose procederebbero con una certa pulizia...) Quando fu abrogata la formula dell'assolu?ione « per insufficienza di prove», il provvedimento fu salutato come una conquista di civiltà. Se l'imputato va considerato innocente finché penda il giudizio e « perde l'innocenza» solo dopo una sentenza di condanna pas·sata in giudicato, a ben maggior ragione deve esser riconosciuto del tutto innocente l'imputato che .venga assolto: mentre l'« insufficienza di prove » lo bollava come « sospetto ». L'abolizione di quella formula equivoca e infamante ribadiva inoltre il sacrosanto principio per cui in mancanza di prove, di prove sufficienti, di obiettiva certezza, si deve assolvere. E senza riserve (come invece quella for20 Biblioteca Gino Bianco

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