Diario - anno VI - n. 8 - giugno 1990

minuti l'avevo quasi creduto un ladro, e questo non poteva essere cancellato. Ebbene poche settimane dopo, già al fronte, mi trovai nei guai a causa di uno dei miei soldati. Ormai ero diventato un « cabo », un caporale e comandavo dodici uomini. Si trattava di una guerra di posizione, faceva un freddo cane e il compito più arduo era di ottenere che le sentinelle rimanessero sveglie nei posti loro assegnati. Un giorno uno dei miei uomini improvvisamente rifiutò di occupare un certo posto che, egli sosteneva, e con ragione, si trovava esposto al fuoco nemico. Era un meschinello ed io lo afferrai e cominciai a trascinarlo verso il luogo assegnato. Questo suscitò un moto di rivolta tra gli altri, perché gli Spagnoli, credo, detestano di essere toccati molto più di noi. Di colpo mi trovai circondato da uomini che urlavano: « Fascista! fascista! lascialo stare! Questo non è un esercito borghese! Fascista! » Risposi il meglio che potei, urlando nel mio approssimativo spagnolo, che gli ordini dovevano essere obbediti e l'episodio si sviluppò in una di quelle enormi dispute, per mezzo delle quali si riesce gradualmente a inculcare il senso della disciplina nei soldati rivoluzionari. Alcuni gridavano che avevo ragione, altri che avevo torto. Ma il punto è che quello che prese le mie parti con più decisione di tutti fu quel ragazzo dalla pelle scura. Non appena vide ciò che stava capitando, balzò nel mezzo degli uomini e cominciò a difende11micon veemenza. Con i suoi strani gesti da indiano continuava a gridare: « È il miglior caporale che abbiamo! Non hay cabo como el! » Più tardi chiese di essere destinato alla mia sezione. Perché ricordo con tanta commozione questo episodio? Perché, in circostanze normali, sarebbe stato assolutamente impossibile che si stabilissero rapporti di genuina simpatia tra questo ragazzo e me. L'implicita accusa di furto non sarebbe stata lavata, probabilmente anzi sarebbe diventata anche più offensiva, per i miei sforzi di fare ammenda. Uno degli effetti di una vita tranquilla e civilizzata è di sviluppare un'estrema sensibilità, che tende a far sembrare disgustose tutte le emozioni primitive. La generosità diventa penosa come la malignità, la gratitudine odiosa come l'ingratitudine. Ma nella Spagna del 1936 non si viveva in condizioni normali. Era un momento in cui sentimenti e gesti generosi venivano più facili di quanto non accada d'ordinario. Potrei riferire una dozzina d'incidenti affini, che Biblio ~ca Gino Bianco

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