Diario - anno VI - n. 8 - giugno 1990

lo da pochi giorni, non avevo ancora fatto am1c1z1e. Fu cosl, credo, che per alcuni giomi cominciai a temere tutti, a diffidare di tutti. Li temevo e li disprezzavo. E disprezzavo me stesso. Prima di allora non avevo mai visto niente del genere. Nelle liti fra mio padre e mia madre c'era sempre un tono accorato e drammatico, tutto veniva messo sul tragico, anche le stupidaggini, e questo serviva a nobilitare, a girustirficarela lite, anche ai miei occhi. Ma loro erano comunque degli adulti, e nel mondo degli aduJti molte cose erano penmes·se, molti erano i misteri. Ma qui nella scuoletta, in quei locali lindi dalle pareti dipinte di fresco, con i vetri delle finestre colorati, gli armadi pieni di giochi, l'odore di minestra che veniva daJla cucina, e maestre grandi, maestose, a volte bellissime da far sognare, come erano possibili, qui, quella vergogna e quell'obbrobrio? Di questo si era capaci? Nessuno riusciva a impedirlo? Volgarità, .v,iolenza e paura. Quasi sempre ai danni di quel povero bambino, preso di mira, che nessuno amava, intoccabile come ogni vittima. Il fatto che fosse lui quasi il solo a subire prepotenze, ingiusbizie e scherzi crudeli, faceva sembrare quasi normale la sporca vergogna dell'accaduto. Da allora, quando sento un gruppo, per quanto sparuto e inoffensivo, ridere e gridare in coro, provo un senso di repulsione, di sgomento e di schifo. Quella allegra complicità può anche uccidere. Cosi si è spesso ucciso, e ci si è assolti. Bibl' eca Gino Bianco

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