Diario - anno VI - n. 8 - giugno 1990

« È vano chiedersi fin dove giungano le somiglianze e le differenze fra Hit,ler e Napoleone. L'unico problema che abbia interesse è quello di sapere se si può legittimamente escludere dalla grandezza uno di loro senza escluderne anche l'altro ... » (Simone Weil, La prima radice, pp. 190 e 195-97) V. Vorrei che si rinunciasse, una buona volta, all'idea che un grande condottiero e un capo di Stato o di partito siano dei grandi uomini di prima classe, e non degli individui che con il loro ingombrante senso di sé hanno inuti,lmente o disastrosamente dominato per anni, per decenni, la vita di migliaia di persone e di interi popoli. Nei marxisti e nei rivoluzionari questo culto del capo, della guida, dell'uomo politico come grande uomo e uomo che agisce per eccellenza, non solo è rimasto intatto, ma si è perfino esaltato, appoggiandosi ad una nuova e più moderna filosofia della Storia. La Storia la fanno i popoli, l'importante è quello che avviene in basso, nella vita di tutti i giorni della gente anonima, hanno detto. Ma quale marxista non ha considerato Lenin o Mao Tsetung la più alta incarnazione dei più alti ideali deHa vita? Anche nei marxisti più idealisti era questa l'idea inconsapevolmente più volgare e offensiva per l'umanità. Nei paesi capitalistici, l'azione politica, rutta la politica, è diventata da tempo falsa azione, azione ,simulata. Non tanto un agire, quanto piuttosto un non-agire ben travestito da intenso affaccendarsi. Organizzatore, faccendiere, mediatore, imbonitore, boss, l'uomo politico è un uomo per lo più privo sia di una vera competenza culturale e tecnica (la sola cosa che conosce sono le procedure burocratiche e l'arte di stare a galla), sia di una vera moralità, che consiste nel chiedersi che cosa è bene e che cosa è male, non ,in politica, ma nella realtà, cioè per la vita individuale e collettiva. Biblioteca Gino Bianco 43

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