Diario - anno VI - n. 8 - giugno 1990

Axel e Huston, corre uno stacco temporale di circa un trentennio e soprattutto ambiente e cultura sono molto diversi: l'Irlanda cattolica e la Danimarca (o la Norvegia?) luterana, una città (una capitale, Dublino) e un minuscolo villaggio sperduto nella campagna. Eppure per me questi due mondi tendono a 'integrarsi più che a contraddirsi. Nell'esperienza della mia infanzia e adolescenza, città e campagna non hanno mai rappresentato un contrasto, le ho vissute come due momenti d'una stessa realtà, naturalmente interconnessi come il succedersi ciclico delle stagioni (nove mesi di città, tre mesi di villeggiatura estiv,a). Nonostante le scarse e difficili comunicazioni e l'assenza di strumenti di unificazione quali, per dire solo H più importante, la televisione, credo che cent'anni fa la vita del popolo e della piccola borghesia di città fosse molto s1mile a quella delle stesse classi nei paesi a una, due, tre ore di distanza dal capoluogo. (Diversa era la condizione dei contadini, nettamente più ,poveri e socialmente emarginati anche fi.spetto al sottoproletariato urbano: quasi un'altra nazione, un'altra razza; discriminata ma comunque non ignota). Il cittadino viveva dentro i limiti di un quartiere o rione, di una parrocchia, uno spazio che quantitativamente e qualitativamente equivaleva a un paese. Non esistevano le smisurate cinture periferiche occupate da condomini popolari, stabilimenti industriali, magazzini, impianti e servizi, attraversate da circonvallazioni, tangenziali, svincoli stradali. Le classi povere vivevano ancora, seppure in miseri alloggi, dentro la città, in parte negli stessi quartieri e nelle stesse case dei ricchi, e dentro la città stavano anche i primi opifici, gli os,pedali, 1~ carceri. La campagna cominciava immediatamente al di là delle mura: partendo dal centro di una media città di provincia, in pochi minuti si potevano raggiungere a piedi i campi, le cascine, i pascoli, gli alberi. Ogni città «vedeva» la campagna, questa non era nascosta come oggi. Le visite di parenti e amici dalla città al paese e viceversa, erano una consuetudine. Poteva trattarsi di un semplice pranzo, ma spesso le visite si prolungavano per giorni, talora settimane. L'ospitalità era totale: alberghi e ristoranti erano considerati luoghi per commessi viaggiatori, da usare solo se nella città per cui ci si trovava a passare non si conosceva nessuno. Le case borghesi non mancavano mai di una se non due stanze « per gli ospiti». Nei Morti e in Babette la .30 Biblioteca Gino Bianco

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