tristezze?... In quei giorni anche i caratteri sereni divennero cupi, pieni di fiele, un dolore malvagio rodeva dentro e una specie di funesta vergogna rendeva la vita difficile. ... 21 novembre 1848: « Se debbo dire tutto quel che mi passa per la mente, a volte ho tanta paura quando guardo i miei figli... Che temerità, che impudenza costringere una nuova creatura a vivere e non possedere nulla, proprio nulla per rendere la vita felice: è terribile, talora mi sento una delinquente; togliere la vita è più facile che darla, se ciò avvenisse consapevolmente... Non ho ancora incontrato nessuno di cui potessi dire: "Vorrei che il mio figliuolo fosse come lui, cioè avesse una vita come la sua! " Mi confermo sempre più nella mia opinione. Subito dopo la nascita di Sascia desideravo che diventasse un grand'uomo, più tardi che diventasse questo o quell'altro, ora, per fin1re, vorrei che... » La lettera fu interrotta a questo punto dalla fase acuta della febbre tifoide di Tata; ma il 15 dicembre essa proseguiva: « Volevo dire che adesso non desidero che i miei figli diventino qualcosa, purché vivano allegri e contenti; il -resto non ha importanza». [Byron] Dopo le giornate di giugno vidi che la rivoluzione era vinta, ma avevo ancora fede nei vinti, nei caduti, avevo fede nella virtù miracolosa delle reliquie, nella loro potenza morale. A Ginevra cominciai a capire sempre più chiaramente che la rivoluzione non solo era vinta, ma doveva esser vinta. Queste mie scoperte mi diedero il capogiro, un abisso mi si spalancava dinanzi agli occhi e sentivo il terreno mancarmi sotto i piedi. Non fu la reazione a vincere la rivoluzione. La reazione si dimostrò dovunque ottusa, pavida, rimbambita; essa batté dovunque in ritirata davanti all'incalzare della volontà popolare, e a Parigi come a Napoli, a Vienna come a Berlino attese come un ladro che venisse la sua ora. La rivoluzione cadde, come Agrippina, sotto i colpi dei suoi figli, e, quel ch'è peggio, senza ch'essi ne fossero consapevoli; vi fu più eroismo e giovanile spirito di sacrificio che discernimento, 62 Biblioteca Gino Bianco
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