Diario - anno IV - n. 6 - giugno 1988

vecento, che ormai è sufficientemente vaccinata contro il totalitarismo comunista, non sembra negli ultimi tempi esserlo altrettanto contro il nazismo. Di fatto, quest'ultimo non costituisce più problema. È tornato ad essere soltanto un ingrediente del capitalismo, presente qua e là a piccole dosi, in crisi di emergenza, e quindi scarsamente riconoscibile. Ma è pittosto strano che lo stesso tipo di intellettuali che trovavano plausibile ed emozionante l'affermazione certamente azzardata di Roland Barthes secondo cui « ogni linguaggio è fascista », restino cosl indifferenti e disarmati di fronte al caso Heidegger e alla connessione (interessante da analizzare) fra il suo linguaggio filosofico e la sua adesione al nazismo. È proprio questo l'aspetto che colpisce di più. Dal punto di vista del problema dell'essere, pensato da un filosofo del tipo di Heidegger, l'assassinio, la politica dell'eliminazione f.isica, la guerra come fine ultimo, il genocidio e la sottomissione di altri popoli sono tutte cose possibili di fatto, non escluse in linea di prindpio, ma che non possono essere chiamate con il loro nome. Nient'altro che trascurabili epifenomeni, miserevoli accidenti, difficili da percepire per ragioni di incongruità, dismisura o superiorità terminologica. In effetti, il nazismo di Heidegger non è stato molto concreto. Il linguaggio del discorso per l'assunzione del rettorato a Friburgo nel 1933 è un capolavoro di "doppio gioco" filosof.ico-politico. I colleghi che lo spinsero ad accettare quella carica dovevano averlo capito: pochi altri sarebbero stati capaci come lui di mentire dicendo la verità, di ingannare in piena buona fede. Una vera truffa nei confronti sia degli studenti sia del partito al potere, perché non si capisce mai se chi parla esorta all'essenza della verità o esorta al nazionalsocialismo: Infatti ' spi•rito' non è né mero ingegno, né il disinvolto gioco dell'intelligenza, né l'arte di promuovere illimitatamente distinzioni logiche, né la ragione che governa il mondo, ma spirito è decisione origfoariamente e consapevolmente determinata verso l'essenza dell'essere. E il mondo spirituale di un popolo non è la sovrastruttura di una cultura, tantomeno l'arsena'1e in cui vengono di volta in volta conservati conoscenze e valori, che vi entrano e escono continuamente, ma è la potenza che scaturisce dalla più profonda conservazione delle sue forze fatte di terra e di sangue, potenza Biblioteca Gino Bianco

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