Diario - anno IV - n. 6 - giugno 1988

alcune lettere dei mesi precedenti ,(tra aprile e giugno). Il fervore letterario e la gioia di vivere sono interrotti con aumentata frequenza da momenti di inquietudine, scontento, paura non interamente addebitabili alle classiche crisi di passaggio tra adolescenza e virilità. In ognuna di tre lettere consecutive a Farolfi ricorre l'espressione « non posso rassegnarmi» (I: 169, 172, 178): essa si riferisce propriamente al timore di esser giunto, ventunenne, alla propria massima crescita umana e poetica, fissato in uno stampo definitivo, e di essere entrato nel cono d'ombra, avendo davanti a sé solo ripetizione e decadenza (« Il futuro non c'è più», I: 154). C'è anche l'inevitabile contraccolpo della felicità procuratagli dalla favorevole accoglienza a Poesie a Casarsa (Contini anzitutto, « la prima e la più grande mia gioia di scrittore», poi anche Gatto e Caproni). E ancora, il senso di colpa delle prime esperienze sessuali complete. Ma dietro c'è anche la guerra che si avvicina, la rovina incombente e ormai inelud1bile, e il conseguente sentimento che i tempi sono maturi per nuovi doveri. La vita si fa sempre più difficile, e scrivere è un peso enorme: sono stanco dei miei pensieri che da mille anni nascono uno dall'altro e sono soltanto miei. Vorrei gettarmi sugli altri, trasfigurarmi, vivere per loro. (I: 167) Ogni immagine di questa terra, ogni volto umano, ogni battere di campane, mi viene gettato contro il cuore ferendomi con un dolore quas'i fisico. Non ho un momento di calma perché vivo sempre gettato nel futuro: se bevo un bicchiere di vino, e rido forte con gli amici, mi vedo bere, e mi sento gridare, con disperazione immensa e accorata, con un rimpianto prematuro di quanto faccio e godo, una coscienza continuamente viva e dolorosa del tempo. [ ...] la mia esistenza è un continuo brivido, un rimorso, o nostalgia. Ho passato perfino un'ora intera a guardarmi le mani, perché sono stato preso dallo scrupolo che in punto di morte l'uomo non sa che mani ha avuto: si è sempre rassegnato ad averle, si è troppo abituato ad esse; non pensa che tra le infinite mani, quelle sono le sue. (I: 170) Ieri ho visto la fontana di Venchiaredo dove il corpo giovane di Ippolito Nievo ha schiacciato l'erba e ha respirato; allora lui 39 Biblioteca Gino Bianco

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