dire alle regole dello spettacolo e promuovere a loro volta gli sponsor che le hanno promosse. Se si vuol fare del bene, bisogna per forza passare attraverso prodotti industriali e vedettes, orchestre e marchi di fabbrica, merci e spogliarelli. Ti dicono: è il risultato che conta. Se le gambe di quella ballerina promuovono solidarietà a favore dei paraplegici, perché non usarle? E se quella marca di sigarette è disposta a sponsorizzare un convegno di •studi sul cancro, perché dire di no? Se la scempiaggine di quella presentatrice e le barzellette di quel comico coniugate a marche di whisky, cosmetici, automobili, compagnie aeree, computer, cibo per gatti, orologi, possono aiutare i tossicod1pendenti, i lebbrosi, i protughi cambogiani, sarebbe un delitto non servirsene. Ma se si accetta questa logica, perché non puntare più in alto? Se, per beneficenza, attrici e dame dell'alta società vendono baci, perché non alzare il prezzo e vendere qualcosa di più intimo? Perché i potenti della terra non affittano alla pubblicità lo spazio delle loro giacche come fanno i calciatori con le maglie e i piloti con le tute? Se ne caverebbe un mucchio di soldi da destinare ai più nobili scopi. Se il fine è quello di dparare alle ingiustizie e alleviare le sofferenze, non sarebbe doveroso che il Santo Padre consentisse a farsi fotografare nudo? Il servizio, venduto per milioni di dollari, salverebbe milioni di vite umane. In realtà, attribuire a coloro che credono beatamente nel for~ tunato connubio di business e umanitarismo l'argomentazione che il fine giustifica i mezzi, che il male è lecito se può derivarne un bene maggiore, è una indebita forzatura. Niente potrebbe essergli più estraneo dello spirito di Machiavelli. Neanche sarebbe congrua la vecchia battuta sulle donne che non sposano mai per denaro perché, prima di sposare il miliardario, hanno sempre l'accortezza di innamorarsene. Temo che opportunismo e ipocrisia non c'entrino per nulla. L'immenso parco divertimenti in cui viviamo, ottuso, fragoroso, luccicante, gli piace proprio. Ancorché indotto dalla macchina pubblicitaria, quel gradimento è assolutamente autentico. Da quando il sottoscritto ha rinunciato ai rotocalchi (sono ormai molti anni) perché, ammesso che ci fosse qualcosa da leggere, la difficoltà di trovare un articolo e la fatica di seguirlo tra muri di pubblicità erano diventate superiori a qualunque interesse, la ven43 Biblioteca Gino Bianco
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