della mia vita in un unico giorno. Lo sa Dio quante impressioni varie e affascinanti, quanti pensieri suscitati da queste, per quanto oscuri e indistinti eppure comprensibili al nostro animo, scorrano in un solo giorno. « Se potessi raccontarli cosi da leggere con facilità io stesso e far sl che anche altri lo possano, ne risulterebbe un libro molto istruttivo e avvincente, tale che non basterebbe inchiostro al mondo per scriverlo né tipografi per stamparlo». Citando queste giovanili intenzioni tolstoiane, Viktor Sklovskij ha osservato: « Parrebbe che all'inizio della pr.imavera 1851, Tolstòj abbia realizzato quanto oggi si collega con i nomi di Proust e di Joyce, e viene chiamato, nella pr,imavera del 1961, antiromanzo » (Tolstòj, Il Saggiatore 1978, p. 109). E più avanti: « Tolstòj tentò tutta la vita di capire le leggi della percezione e della possibilità di trasformazione del mondo. Egli sapeva che il mondo deve essere pdma conosciuto, poi rifatto » (p. 114). Nel suo ultimo racconto si direbbe che Tolstòi si trovi alle prese con lo stesso problema. Come uno scrupoloso artigiano, lo scrittore si mette al lavoro con l'energia ,e l'incisività di sempre. I primi tratti delle sue tele narrative hanno un'ammirevole ·fermezza. Uno dopo l'altro i personaggi ci vengono incontro: Ivàn Fjòdorovic Porchunov, maresciallo della nobiltà di un ricco distretto, uomo tollerante, intelligente, simpatico a tutti per la sua modestia e il suo umorismo. Aleksàndra Nikolàjevna, sua mogl1ie, ancora bella « nonostante i suoi quarantacinque anni e i sei figlioli »: innamorata sinceramente, e forse per noia, del giovane ex studente e is·titutore dei suoi figli Michail Njeustròjev: « bourgeois » e rivoluzionario, « figlio di un veterinario militare, ucciso dal vizio del bere ». Jegòr Kuzmin, contadino avido di sapere, poi operaio a Mosca, trascinato daHa « coscienza razionale » a lottare contro l' « ingiustizia spaventosa » e la « ancor più spaventosa assurdità » della vita economica. Pjotr Fjòdorovic Solovjòv, ex seminarista, onesto, intelligente e generoso, populista cristiano, maestro elementare nel borgo contadino, un po' sognatore, con la tentazione dell'ubriachezzia. Aleksàndr Ivànovic Vòlghin, scapolo di mezza età, impiegato di banca a Mosca, benestante, degustatore delle gioie oziose della campagna. E Mitrij Sudàrikov, infine, contadino povero a cui è morto il suo solo cavallo. Ma dopo alcune scene, alcuni riepiloghi, una serie di avvii, nessuna di queste vicende viene sviluppata. Piu che raccontata, si direbbe che la vita di questi personaggi possa essere solo descritta per rapidi scorci, o riassunta. Tutto è chiaro e in vario modo collegato. Ma tutto è immobile, senza soluzione, senza esito. Nonostante la sua buona lena di raccontatore di storie, Tolstòj è qui più insoddisfatto che mai. Non mostra nessuna saggezza rassegnata, si sposta inquieto da una vicenda all'altra come se cercasse e non trovasse una via d'uscita. Non appena una storia è abbozzata, ecco che la 82 Biblioteca Gino Bianco
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