L'idea di scrivere per l'Arte è sempre stata estranea a Tolstòj. In una annotazione su Gogol del 1909 deplora « quella - non posso dirlo in altro modo - incredibilmente stupida teoria di Hegel, secondo la quale costruire case, cantare canzoni, disegnare immagini, scrivere novelle, commedie e versi, rappresenterebbe un rito sacro, " il servizio della bellezza " che soltanto di un grado è inferiore alla religione ». Nello stesso anno, l'ottantenne Tolstòj scrive la prima parte di questo racconto. Ripreso l'anno successivo, narrativamente lacunoso e, soprattutto, lacerato dall'urgenza di una tormentosa riflessione sulla situazione sociale russa e su se stesso, il racconto non verrà mai portato a termine e sarà pubblicato postumo da Certkòv nel 1912, restando comunque pochissimo noto, e quasi ignorato dalla critica. (Abbiamo utilizzato la traduzione di Agostino Villa, dal III volume dei Racconti, Einaudi 1955). La sfiducia crescente di Tolstòj nella letteratura, la svalutazione rigoristica e provocatoria delle proprie stesse opere, lo portano negli ultimi anni della sua vita a scrivere soprattutto testi di denuncia sociale, articoli, pamphlet (nel 1908 annota con irritazione nel suo diario che tanta gente continua ad amarlo e ad ammirarlo ancora, immeritatamente, per « sciocchezze» come Guerra e pace). Ma fin dalla giovinezza, l'assillo dell'autoperfezionamento morale e i progetti pratici per risolvere il suo disagio di nobile e di possidente, erano stati fra i moventi più forti e immediati della sua attività letteraria. I primi racconti e abbozzi dello scrittore poco più che ventenne si presentano come minuziosi resoconti, come frammenti diaristici trasposti e sviluppati narrativamente, come tentativi di vedere chiaramente nella propria situazione e in quella del proprio ambiente. Il realismo di Tolstòj nasce cosi: ricostruzione coscienziosa, impietosamente « straniata » del tessuto quotidiano di gesti, pensieri, slanci, viltà, distrazioni, autoinganni e desideri di benessere, attraverso cui, in modo del tutto naturale e per lo più inavvertito, l'inerzia diventa colpa, il piccolo gesto diventa simbolo e parte dell'universale sopraffazione, e la stessa aspirazione istintiva alla felicità rende ciechi. Si direbbe che già il primo tentativo letterario di Tolstòj ventenne contenga tutta la misura della sua caparbietà chiarificatrice e delle sue ambizioni. Nel tentativo di rifare la Storia della giornata di ieri, egli si assegnava un compito tanto umile quanto sconfinato, un compito che lo accompagnò per tutta la vita, nel tentativo di capire come accade ciò che realmente accade e come si diventa quello che di fatto si è. « Scrivo la storia della giornata di ieri, non perché sia ·stata in qualche modo notevole, o meglio non perché possa essere definita tale, ma perché da molto tempo sento il desiderio di raccontare il lato intimo 8.1 Biblioteca Gino Bianco
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==