Diario - anno II - n. 3 - giugno 1986

Trascuro altri ardimenti sparsi nel libro a favore di due articoli sui problemi dell'informazione dove, come nel gran finale di uno spettacolo pirotecnico o di un concerto bandistico, gli atti di valore si susseguono e si accavallano in un crescendo scatenato, fantasmagorico, quasi insostenibi,le. Circa la produzione di « fatti-notizie »: siamo « in una situazione drammatica e apparentemente irresolubile [ ... ] ciascuno di noi preferirebbe non trovarsi di fronte al problema quale ora si pone - ma... occorre affrontarlo» (p. 135). Dare sulla stampa notizie dei suicidi può avere effetti contagiosi ma « è un rischio che si deve correre» {p. 137). « La stampa deve avere il coraggio di dichiarare » la propria parzialità (p. 139). Il volantino delle BR va pubbHcato « senza paura » di fare il loro gioco: « è il rischio da correre» (ibid.). « L'obiettività consiste nelil'assumersi la responsabilità di non essere obiettivi » (ibid.). « Il giornale deve avere il coraggio di occuparsi in prima pagina » di fatti solitamente destinati alle pagine culturali (p. 137). « Bisogna assumersi a viso aperto la propria responsabilità e saper ammettere che l'informazione non è mai neutra » (ibid.). « Denunciare un'ipotesi come tale, partigiana, forse non obiettiva ... è coraggio » (p. 148). Finché, un po' provato, Eco si concede un momento di legittimo relax lasciando garbatamente intendere che non si può scaricare tutto, ma proprio tutto, sulle sue spaille: « anche il lettore dovrà assumersi le proprie responsabilità» (p. 162). Per quanto mi riguarda, credo di non essermi tirato indietro. Questa rassegna poteva essere assai più breve. D'altra parte, il malcosnume polemico della citazione di comodo è talmente diffuso che preferisco risultare noioso piuttosto che venir sospettato di arbitrarie generaHzzazioni, abusi, forzature. Certo, sarebbero bastate tre o quattro citazioni. Che dko: sarebbe bastato citare una frase di cinque parole. È la clausola di uno degli ultimi pezzi della raccolta dedicato alla spettacolarizzazione culturale e condotto secondo i consueti modi retorici ( « la spettacolarizzazione non significa necessariamente perdita di intensità, disattenzione, " leggerezza di intenti ". Si tratta soltanto di una diversa maniera di vivere il dibattito culturale », « Non è detto che Ja cultura come spettacolo di cui parlavamo sia un prodotto di una società dello spettacolo: può anzi es- . seme l'alternativa» e via dicendo). Ma ecco la frase: « Nervi saldi, 32 BibliotecaGino Bianco

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