Diario - anno I - n. 2 - dicembre 1985

questo s1 rimane né gli dà posa; anzi sempre più fiero e accanito, continua aringando e gridando per ore, anzi quasi per giorni e per notti intere, fino a diventarne roco, e finché, lungo tempo dopo tramortito l'uditore, non si sente rifinito di forze egli stesso, benché non sazio. Nel qual tempo, e nella quale carnificina che l'uomo fa del suo prossimo, certo è ch'egli prova un piacere quasi sovrumano e di paradiso: poiché veggiamo che le persone lasciano per questo tutti gli altri piaceri, dimenticano il sonno e il cibo, e spariscono loro dagli occhi la vita e il mondo. E questo piacere consiste in una ferma credenza che l'uomo ha, di destare ammirazione e di dar piacere a chi ode: altrimenti il medesimo gli tornerebbe recitare al deserto, che alle persone. Ora, come ho detto, quale sia il piacere di chi ode (pensatamente dico sempre ode, e non ascolta), lo sa per esperienza ciascuno, e colui che recita lo vede; e io so ancora, che molti eleggerebbero, prima che un piacere simile, qualche grave pena corporale. Fino gli scritti più belli e di maggior prezzo, recitandoli il proprio autore, diventano di qualità di uccidere annoiando: al qual proposito notava un filologo mio amico, che se è vero che Ottavia, udendo Virgilio leggere il sesto dell'Eneide, fosse presa da uno svenimento, è credibile che le accadesse ciò, non tanto per la memoria, come dicono, del figliuolo Marcello, quanto per la noia del sentir leggere. Tale è l'uomo. E questo vizio ch'io dico, sl barbaro e sl ridicolo, e contrario al senso di creatura razionale, è veramente un morbo della specie umana: perché non v'è nazione cosl gentile, né condizione alcuna d'uomini, né secolo, a cui questa peste non sia comune. Italiani, Francesi, Inglesi, Tedeschi; uomini canuti, savissimi nelle altre cose, pieni d'ingegno e di valore; uomini espertissimi della vita sociale, compitissimi di modi, amanti di notare le sciocchezze e di motteggiarle; tutti diventano bambini crudeli nelle occasioni di recitare le cose loro. E come è questo vizio de' tempi nostri, cosl fu di quelli d'Orazio, al quale parve già insopportabile; e di quelli di Marziale, che dimandato da uno perché non gli leggeva i suoi versi, rispondeva: per non udire i tuoi: e cosl anche fu della migliore età della Grecia, quando, come si racconta, Diogene cinico, trovandosi in compagnia d'altri, tutti moribondi dalla noia, ad una di tali le69 BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==