Prima di buttar giù qualsiasi affermazione che lo riguardi, sembra che Cioran abbia bisogno di contemplare tutta la storia della letteratura e della fisosofia. Evoca Platone, Tacito, Tertulliano, Meister Eckhardt, Pascal, Shakespeare, Holderlin ecc. Ma non li lascia mai parlare. Con un rapido gesto se li assimila, li tira dentro, annullandoli, nel proprio giro di frase. Parla di tutto perché pensa solo a se stesso. Dopo un'iniziale, rapida sortita in direzione di qualche tema rilevante, si affretta verso ciò che gli sta più a cuore: la propria immagine. E' questa immagine o identità l'oggetto di tutte le sue cure. Ogni capitolo del libro pullula di autodefinizioni. Le uniche convincenti risultano però quelle involontarie. Voltaire fu il primo letterato a erigere la sua incompetenza a metodo, a sistema. Prima di lui, lo scrittore, pago di stare a fianco degli avvenimenti, era pit1 modesto: faceva il suo mestiere in un settore limitato, seguiva la sua strada e ll restava. Per nulla giornalista, si interessava tutt'al più all'aspetto aneddotico di certe solitudini: la sua indiscrezione era inefficace. Con il nostro millantatore le cose cambiano. Non uno degli argomenti che incuriosivano il suo tempo sfuggl al suo sarcasmo, alla sua semi-scienza, al suo bisogno di scalpore, alla sua universale volgarità. Tutto in lui era impuro, tranne lo stile... (p. 94-95). Come ritratto di Voltaire non è granché, ha qualcosa di forzato e di impreciso. Ma se al nome di Voltaire si sostituisce quello di Cioran, allora i conti tornano, l'autoritratto è perfetto. Inoltre: « Prendersela con Dio, volerlo detronizzare, soppiantare, è un'impresa di cattivo gusto. » (p. 105) Di chi parla Cioran se non di Cioran? 62 Biblioteca Gino Bianco
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