Diario - anno I - n. 2 - dicembre 1985

do che queste noie toccheranno ai nuovi proprietari, a chi sopravvive, agli eredi... Tra le cose che il morituro abbandona c'è anche il proprio corpo: non dover più sottoporsi a certe visite, a cure e interventi tanto tormentosi quanto inutili, non dover più ascoltare le menzogne e le sciocchezzedi chi ti circonda, curarsi del proprio aspetto, aggiungere un altro dente falso alla protesi... A proposito di solidarietà tra gli oppressi, mi vengono in mente i versi d'una canzonaccia ancora popolare negli anni Cinquanta: « ... E l'anma del vilàn l'è la caretta, 'l so spirituàl l'è la badila ... Lavùra, 'tt te ch't'ha fatt, vilàn da figa! E 'l padròn sta lé a guardà. » Ricordo d'averla cantata anch'io con gli amici, questa come altre canzoni sconce e irreligiose. Ma se per noi ragazzi borghesi era solo teppismo a buon mercato, un pretesto per sfogare la nostra impotenza di giovani che non possedevano altro che la loro gioventù di cui non sapevano che cosa fare, senza particolare odio e disprezzo nei confronti del « vilàn », del contadino, questi sentimenti dovevano invece esser stati ben vivi in chi l'aveva composta (un lacché, probabilmente) e nel proletariato e sottoproletariato urbano che la cantava con gusto e convinzione. « L'anima del villano è la carriola, il suo " spirituale " (tutto ciò che di spirituale è in grado di concepire) è la vanga ... Lavora, maledetto te e chi t'ha fatto, villano della figa! E (mentre tu lavori) il padrone sta 11a guardare. » Quest'ultimo punto tocca il massimo dello scherno. Perché il padrone ozioso che sfrutta il lavoro altrui è sempre una figura odiosa per il popolo. Ma, dice la canzone, per il contadino il padrone ci vuole, se lo merita. Quanto più bassa la condizione sociale, tanto più virulento il razzismo. Il più miserabile che abitasse entro una cinta di mura, nella più piccola comunità stretta intorno a un campanile, si sentiva geneticamente diverso e infinitamente superiore a quella bestia senz'anima, né più né meno dei buoi e degli asini coi quali simbioticamente viveva e lavorava. 49 Biblioteca Gino Bianco

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