Diario - anno I - n. 2 - dicembre 1985

Titolo di testa in prima pagina su quattro colonne del Corriere: « Un commando uccide un carabiniere per liberare camorrista detenuto». E il telegiornale: « Un carabiniere ucciso da banditi che volevano liberare un loro complice». Ma l'hanno liberato. Questo è il punto. Un detenuto reo d'omicidi è stato liberato dai suoi complici; che nel corso dell'azione sia stato ucciso un carabiniere, rende ancora più pesante il bilancio di questa sconfitta dello Stato. A me personalmente la morte del carabiniere può anche dispiacere molto di più del fatto che un assassino sia tornato in circolazione. Ma se lo Stato, attraverso la tv e il più autorevole quotidiano nazionale, a parte il pietoso tentativo di giocare sull'equivoco verbale(« per liberare», « volevano liberare»), cerca di dirottare l'emozione dei cittadini sul' lutto, questo ha un preciso scopo: negarsi come imputato. L'efficienza della criminalità, l'inefficienza della polizia, le complicità nell'apparato poliziesco e giudiziario che rendono possibili queste imprese e quindi anche la morte dei carabinieri: sono altrettanti crimini di cui lo Stato porta la diretta responsabilità. Non già impedire le morti, ma partecipare ai funerali: questa sembra diventata la primaria funzione dello Stato. « Guardi che ho fatto due anni di confino sotto il fascismo. » « E ha fatto benissimo. » Il poeta dialettale Valente Faustini, consigliere comunale a Piacenza agli inizi del secolo, invitato durante una seduta pubblica a pronunciarsi in merito a un certo problema in discussione, dopo ripetuti solleciti si alzò e in tutta serietà citò un proverbio: « Tutt i can i tran la cua, tutt i coion veun dl la sua » e tornò a sedersi con grande dignità. Tutti i cani agitano la coda, ogni coglione vuol dir la sua. Me la racconta il barbiere, che l'ha sentita .35 Biblioteca Gino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==