Diario - anno I - n. 2 - dicembre 1985

Diario 2 A. Berardinelli, La Repubblica di Scalfari. P. G. Bellocchio, Il recidivo. · G. Leopardi, Lo Spettatore Fiorentino.

Rivista di Piergiorgio Bellocchio e Alfonso Berardinelli Anno I, n. 2, dicembre 1985 Sommario Alfonso Berardinelli, « La Repubblica»: un club esclusivo, ma di massa Piergio1'gioBellocchio, Il recidivo Generatore automatico di piani sanitari Il più pessimista (a. b.) Giacomo Leopardi, Del leggere, dello scrivere, dello stampare, del recitare i propri versi, nonché del progetto d'un giornale 3 25 56 59 65 Redazione: c/o Piergiorgio Bellocchio, via Poggiali 41, 29100 Piacenza. Tel. 0523 /23849. Alfonso Berardinelli, via Dall'Ongaro 83, 00152 Roma. Amministrazione: Editrice Vicolo del Pavone Soc. Coop. a r. I., via Romagnosi 80, 29100 Piacenza. Tel. 0523/22777. Questo numero: lire 5.000. Abbonamento a 4 numeri: ordinario lire 20.000; sostenitore lire 30.000; benemerito, da 50.000 a 100.000 lire. Per l'estero, lire 30.000. Somme in denaro, assegni o vaglia postali vanno inviati alla redazione o all'amministrazione. Si può anche utilizzare il c.c.p. n. 188292 intestato a « Quaderni piacentini», via Poggiali 41, Piacenza. Chi si abbona precisi sempre da quale numero intende far decorrere l'abbonamento: se dall'ultimo o da quello di prossima uscita. Trimestrale. Autorizzazione del Tribunale di Piacenza n. 352 del 6/6/1985. Direttore res onsabile: Piergiorgio Bellocchio. Stampa: Editr. Vicolo del Pavone. Non contiene pubblicità. BibliotecaGino Bianco

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« LA REPUBBLICA » UN CLUBESCLUSIVO,MA DI MASSA l. Sei o non sei un lettore di « Repubblica »? La foto a tutta pagina mostra un sentiero brullo e sassoso, fiancheggiato da rovi e sterpi. Su questa immagine campeggia una scritta: « GENNAIO 1976. LA REPUBBLICAVENDE IN EDICOLA 112.000 COPIE». Nella pagina seguente, quel sentiero tribolato e arduo è ·sostituito dal rettifilo di una strada asfaltata. Il messaggio riprende, illustrando un esito trionfale: « SETTEMBRE1984. LA REPUBBLICAVENDEIN EDICOLA331.000 COPIE». E alla perentoria evidenza dei numeri viene fatta seguire una fiera riflessione retrospettiva: « Erano stati molti, nel l 97 6, a chiedersi se in Italia ci fosse bisogno di un nuovo quotidiano. Se non ce ne fossero già abbastanza, o addirittura troppi. A dire il vero, ce lo eravamo seriamente chiesti anche noi. E, seriamente, ci eravamo risposti di sì. « La scommessa non era delle più facili, ma non era né poca né banale la voglia di vincerla. Avevamo, di fronte a noi, un'Italia - una certa Italia - che aveva voglia di crescere e di cambiare. Di prendere le distanze da una certa altra Italia e di avvicinarsi in fretta all'Europa. Per loro, in edicola, il 14 gennaio apparve un nuovo quatidiano: era " La Repubblica ". » Dopo lunghe esitazioni, mi sono diretto per l'ennesima volta verso l'edicola più vicina e ho comprato il giornale. Non un giornale qualsiasi, ma il giornale per eccellenza: la Repubblica di Eugenio Scalfati. 3 Biblioteca Gino Bianco

Faccio finta di niente, eppure l'atto .dell'acquisto non ha risolto i miei dubbi. La mia assoluta normalità di' uomo con la Repubblica sotto il braccio non mi lascia· tranquillo. Invece di sentirmi a posto, sento crescere in me un fastidioso rimorso. Un senso di vergogna e di sconfitta. Una nausea e una noia mortali. Che farò? Riuscirò a svincolarmi dal mio penoso asservimento? Sento lottare in me due opposte follie: quella di chi continua a leggere il giornale e quella di chi decide di smettere. Alati o tetri che siano, gli umori che ci accompagnano al risveglio vengono immiseriti dalla lettura. di questi articoli, dall'ascolto di queste prediche. Il senso di solitudine si trasforma nello stupido conforto del sentirsi partecipi. L'umanità ama il proprio tormento, si diverte con l'omicidio, procede imperterrita verso la propria distruzione. Tutto questo è documentato e provato da mille episodi, da infinite cronache, da stucchevoli commenti. Ed è, nello stesso tempo, negato e addolcito da un tono volonteroso, professionale, ben saldo. Il tono con cui il giornalismo ripete a se stesso. la fiducia nella propria indispensabile funzione e nel proprio eterno. ritorno. La fine del mondo ci sarà, prima o poi. Ma noi la apprenderemo da un vibrante articolo di fondo del Direttore, sostenuto da un pezzo di spalla del Vice, mentre un riquadrato in basso ci annuncerà, nell'inserto speciale, un dibattito a più voci fra il Lungimirante, il Dimostrativo, il Frenetico, il Pensoso, il Fumoso, il Vanesio. Che giornata sarà quella! Che bel tema! Che magnifiche firme! Che tappa essenziale verso il lan~iò planetario e galattico del nostro più autorevole e intemerato organo di stampa! Ma che cos'è questa aggressiva svalutazione del giornale che leggo? In nome di che cosa sentenziare duramente a proposito dei giornalisti e dei commentatori? Da quale pulpito? In quale torre· d'avorio? Su quale Aventino? · Mi basta cominciare a leggere l'editoriale di Scalfati per trovarmi subito in sintonia. Prende le distanze, ironizza sugli addetti ai lavori, snocciola atti d'accusa, elenca problemi irrisolti. Punta il dito contro la corruzione, contro l'ipocrisia, contro il vaniloquio 4 Biblioteca Gino Bianco

.politico. Carica le tinte, mette alla berlina i potenti. Fa perfettamente il suo mestiere. E' per questo che entra così facilmente in confidenza con i miei malumori. Se ne fa carico, li assume su di sé, li esprime nel modo più efficace e coerente. Ma soprattutto, guarda in faccia la realtà e guarda in avanti, apre gli occhi sul mondo così com'è e mobilita le coscienze. « Si dice che il " post-industriale )J è già cominciato. Ed è vero. E) cominciato nelle aspettative della gente) anche se i modi di pro- . durre e di distribuire il reddito sono ancora in larga misura quelli tradizionali. « Il " post-industriale)) scompare e scioglie le classi, la loro antica compattezza, il loro radicamento nei valori e negli interessi di gruppo omogeneo. Il " post-industriale)) crea la nuova classe media, che è un polverio di comportamenti, un immenso formicaio in continuo movimento) un)omogeneitànuova che scavalcale frontiere di categoria)di nazione) di etnia, perfino di lingua. Il " post-industriale )) è necessariamentemultinazionale e crea abitudini trasversali. La CocaCola è post-industriale, il surf è post-industriale)flbm è post-industriale. E Ronald Reagan - diciamolo - è postindustriale... [ ...] « Le province europee delfimpero sono terribilmente indietro nelf avvio di questo processo. In particolare sono indietro le province latine. In particolare è indietro la piccola provincia italiana. E la sinistra europea è terribilmente indietro. » « La sinistra europea è impaurita dalle novità, è sospettosa del mercato (che ha accettato a parole ma contraddice nei fatth vede ancoranel vecchio Stato il rimedio a tutti i mali) il soccorritore di tutte le sconfitte. La sinistra europea arriva agli appuntamenti quando essi sono già largamente superati) quando il terreno di gara s)è spostato più avanti. La sinistra europea è troppo poco liberale e spesso non è liberale affatto. « Eppure, quale grandioso compito essa avrebbe se capisse... Se prendesse la guida) nelle nostre province, della rifondazione dello Stato, se fosse lei a imporre e a gestire le nuove regole del gioco, se desse concreta mano a smantellare il vincolismo) se indicasse i 5 Biblioteca Gino Bianco

rami secchi della pubblica amministrazione da tagliare, se si facesse alfiere della mobilità e protagonista degli interventi conformi al funzionamento del mercato. » 2. Asilo per senzatetto. Il pubblico ideale di Scalfati è un pubblico che teme ossessivamente la vergogna dell'esclusione e del declassamento, che sente incombere su di sé la minaccia di sentirsi quello che è: cittadino di un paese imperfettamente sviluppato, squilibrato e inefficiente. La Repubblica ha avuto successo svolgendo con magistrale puntualità questo ruolo edificante, consolatorio e pastorale: ha preso per mano una vasta area di opinione che ormai disperava della propria combattività e della propria rilevanza sia politica che simbolica. Ha prolungato artificialmente l'attesa del cambiamento risolutivo e ]'illusione della partecipazione attiva. Ha reso accessibili i nuovi salotti intellettuali (ne esistono ancora, a quanto pare: intorno a Repubblica) alla massa disorientata e smarrita di ·tutti coloro che si sentono « momentaneamente esclusi». Chi legge questo giornale non dorme dunque all'addiaccio, gode di un rifugio spirituale sicuro, respira un'atmosfera densa di cultura. Circondato da firme prestigiose, stimolato dalle loro prestazioni indefesse, confortato da menti severe e da sorrisi corrosivi, io lettore di Repubblica posso stare tranquuillo: la mia dose quotidiana di partecipazione critica e attiva è garantita. « Due terzi del paese somigliano, sia pure alla lontana, al Belgio e alla Svizzera: l'altro terzo precipita verso l'Egitto e il Maghreb. Due terzi del paese viaggiano il mondo, producono e consumano, vendono e comprano, organizzano week-end, vacanze, seconde case; l'altro terzo resta infisso alla sua fame antica, alla vana ricerca àel posto, alla coabitazione familiare, ai mille e degradanti espedienti del "tira a campare ", alle clientele, al bisogno d'un protettore se non addirittura d'un padrino che lo aiuti a sopravvivere. » « Professor Visentini, lo dica chiaramente, lei che è un tecnico 6 Biblioteca Gino Bianco

di prima scelta e un galantuomo: chi sono i responsabili di un simile schifo? E' l'opposizione? E' la maggioranza e i governi che essa esprime da decenni? » « Avanti, onorevole Craxi. Lei che ha fornito di sé un'immagine tanto volitiva di combattente di buone cause, non vuol cimentarsi con la sola causa che vale la pena d'essere affrontata fino in fondo? Si muova su questa strada, onorevole presidente del Consiglio, e troverà consensi e sostegno in tutto il paese che lavora e che produce. » « No, signor segretario generale del Pci, non è prendendo Togliatti a bandiera che arriverete sulla sponda verso la quale lentamente e faticosamente vi dirigete. Togliatti è stato un importante uomo politico, ma non è un mito, e voi non avete più bisogno di miti. Dei pochi che ancora coltivate, dovete solo liberarvi in fretta. Il tempo corre, il Duemila è alle porte. A voi urge tagliaregli ultimi ormeggi se volete cimentarvi, come è giusto, col mare aperto. » « Craxi, De Mita, Spadolini sanno assai bene che questa è la realtà delle cose. E sanno che il loro dovere, oggi più che mai, è di anteporre gli interessi del paese a quelli dei partiti che rappresentano. Perciò si sbrighino e parlino chiaro. » E questo è senza dubbio un parlar chiaro, da pari a pari, con rude franchezza. L'apostrofe è cosi diretta e sicura, da creare immediatamente l'illusione della vicinanza e dell'efficacia. Però, alla strigliata finale si accompagna il riconoscimento: i politici sono coscienti della « realtà delle cose», e consapevoli dei loro «doveri». La loro irresolutezza è solo pigra pavidità? Perché non si muovono? Perché non fanno quello che loro per primi sanno benissimo di dover fare? Perché tacciono? A che si deve la loro reticenza? Chissà perché, infine, il loro linguaggio non è chiaro come i cittadini (e Scalfati) vorrebbero ... Tutti misteri. Le inadempienze dei politici sono eterne e eternamente misteriose. Colpe inestirpabili e insieme inesplicabili. Se non avessero queste caratteristiche il moralistaconsigliere non saprebbe che fare di se stesso. 7 Biblioteca Gino Bianco

3. Anticamera. Con la Repubblica gli intellettuali di srn1stra, questa categoria ormai fantomatica e farisaica, sempre meno rilevante e definibile in tutto l'Occidente, hanno trovato il loro emblema, il loro canale di espressione e il loro baluardo. Pur essendo il giornale italiano che dedica più spazio alla politica nazionale, la Repubblica è anche il giornale che ne dà l'immagine più illusoria. Invece di presentarci dei manichini, come fa giustamente la cosiddetta stampa popolare, la Repubblica ci mostra delle figure animate. Ma nessuna di esse, nessun uomo e partito politico soddisfa i pedagoghi che si esprimono sulle sue pagine. Adunando comunisti insoddisfatti, socialisti emarginati, repubblicani speciali e cristiani laici, l'aspirazione di Repubblica sembra quella di riformare o rifondare tutti i partiti e di guidarli in una direzione diversa e più giusta. Questa insoddisfazione critica, però, è di scarso respiro, perché si fonda su un'idea semplicistica e insieme confusa della « corruzione politica». Immagina un rapporto ideale (idealmente equilibrato e probo) fra politica e affari. Ora vorrebbe che il mondo politico somigliasse di più al mondo degli affari diventando limpido e concreto, ora stigmatizza il malcostume che trasforma l'azione politica in prassi affaristica. Scalfari, quest'uomo che non si fa illusioni, ne coltiva in realtà parecchie. E' disturbato dall'esistenza delle classi sociali, che interferiscono nei suoi progetti e che si ostinano a non sparire nonostante la « crisi del marxismo»: perché le cose si aggiustino, è necessario che le classi si dissolvano quanto prima, ~he si mescolino, che si riducano a strati, livelli, fasce, riconoscendosi in un'unica e sola prospettiva di sviluppo razionale, moderno e progressivo. Il suo utopismo è in verità dei peggiori, perché si presenta come « realismo», e idealizza il mondo politico e sociale attuale sognandolo senza gli attuali difetti. Il suo moralismo militante e combattivo è fondato su valori consunti, come l'adeguamento dell'Italia all'Europa: un'Europa inventata, metà Francia radicale e metà Inghilter8 Biblioteca Gino Bianco

ra liberale, massimo comfort e massimo disincanto, grandi ideali e profitti certi. Non è un caso se Eugenio Scalfari è stato incluso qualche anno fa in un'antologia di narratori, cioè nel settore dell'immaginario e della fiction (v. A. Guglielmi, Il piacere della letteratura, Feltrinelli 1981). Non si è trattato di una promozione indebita, né di una inutile piaggeria. In effetti, per Scalfari la politica italiana è un romanzo: il romanzo che il suo giornale ci racconta in proposito. La vita politica italiana, cosl poco comprensibile, è la sua grande passione. Là dove viene voglia di chiudere gli occhi per la noia, lui ce li tiene criticamente aperti. Là dove abbiamo l'impressione del sempre uguale, lui riaccende il nostro interesse per la « prossima puntata ». Il tono di Scalfari è il tono della recriminazione, dell'invettiva e di una sbrigativa esibizione di competenze specifiche che (se applicate) scioglierebbero facilmente molti « nodi politici ». Il suo stile mescola la denuncia ai buoni consigli. Gli intellettuali che ha chiamato a raccolta e mobilitato sulle pagine del suo giornale sono tipi analoghi, in analoga posizione: vorrebbero dirigere secondo le loro idee la « cosa pubblica », che sta purtroppo in mano a quei goffi incompetenti dei polititi-politici. In questo senso, il tono-Repubblica è ormai il tono dell'intellettuale, di ogni intellettuale, che cerchi di influenzare i politici. E' il tono del mezzo-potere « intelligente», o della mezza-intelligenza che vuole più potere. Anche quegli intellettuali che non sono entrati nel gioco di Repubblica, vi sono trascinati di fatto non appena si mettono a sognare di essere influenti. In questo modo e in compagnia di questo sogno, si trovano già nell'anticamera di Repubblica (che è a sua volta un'eterna e loquace anticamera del potere) anche solo perché sono un po' meglio di coloro che sono già entrati. Ma non sono altrove, sono solo in un'anticamera. Non si capisce più se non sono ancora entrati perché qualcuno li tiene fuori, o perché loro stessi riluttano ad entrare. La differenza fra la prima e la seconda possibilità (non essere stati ancora invitati o essere incerti se accettare l'invito) va scomparendo, non è più così chiara. Potrebbero entrare, sono ormai sostanzialmente pronti ad entrare: darebbero consigli economici e politici ancora più intelligenti, 9 Biblioteca Gino Bianco

ancora più documentati e competenti - e sarebbero per questo ancora più inascoltati e inefficaci. 4. Furbi o imbecilli? Così, perplesso e di malumore, mi chiedo, con la Repubblica in mano, incapace di portare a termine la lettura di un solo articolo, se proprio ho il dovere, ogni mattina, di ingoiare questo rospo. Il Principio di Realtà che il giornale rappresenta è forse diventato illusorio: un puro inganno. O forse quel principio, di cui continuiamo ad avere bisogno per non cadere nell' irresponsabile confusione soggettiva, è rappresentato male, abusivamente. La casta dei giornalisti è una casta di usurpatori? Di mistificatori e di maghi? Di esorcisti e di medici d'anime? Di poveri diavoli? Sono molto furbi o sono degli imbecilli? Hanno un forte e s~ldo senso del reale o vivono avvolti in una competenza professionale che è solo un bluff? I giornali sono davvero l'espressione del nostro scetticismo laico, illuminista e moderno? O sono gli eredi malamente mascherati del dogma, della metafisica, dei riti più oscurantisti e della mentalità più crudele? Leggendoli, assumiamo informazioni o recitiamo uno scongiuro? Entriamo in un rito di partecipazione o rinsaldiamo la nostra coscienza critica? Ascoltiamo ancora un po' la loro viva voce: « Il paese - è bene dirlo con franchezza - non si diverte granché a queste recite, ma è abbastanza consapevole della gravità dei problemi sempre irrisolti e sempre rinviati. Vorrebbe un governo che una volta per tutte li prendesse di petto, quei problemi, e ci andasse fino in fondo. » (Scalfati) « La questione morale ha assunto una tale portata che, in ogni momento, potrebbero derivarne conseguenze dirompenti. Eppure tutto lascia prevedere che, ancora una volta, prevarrà la normale amministrazione. » (Gambino) « Se parliamo di moralità, accanto e oltre la politica, non do10 Biblioteca Gino Bianco

vremmo allora chiederci se per essere veramente morali non si debba innanzi tutto capire? Capire non è giustificare: ma la comprensione è il postulato minimo indispensabile della saggezza. Ma chi è " saggio " oggi in Italia? » (Asor Rosa) « I tempi, siamo d'accordo, sono difficili e mutevoli. Governare e amministrare la giustizia nella complessità e nel mutamento diventa sempre più arduo, ma un minimo di linea comune, signori giudici, un minimo di comuni regole del gioco! » (Bocca) « Di che male soffre il sistema politico italiano? » (Rodotà) « Forse siamo giunti ad una svolta. Per poter continuare il nostro sviluppo economico dobbiamo anche noi accettare la logica del capitalismo. » (Alberoni) « Transizione si dice. Ma quanto durerà? » (Bocca) Eccetera. Grande e ammirevole, infelice e misero è il destino riservato in Italia ai commentatori politici. Per anni non fanno che riscrivere lo stesso articolo, giràndolo e rigirandolo in tutti i modi. La loro ossessione è la prassi. Ma la prassi è loro praticamente preclusa. Osservano e sanno, ma nulla possono fare. Ahimè, i politici non si decideranno mai a comportarsi come vorrebbero coloro che studiano e commentano le loro azioni! Il destino del commentatore politico perciò è tutto qui: troppo informato e partecipe per riuscire a concepire pensieri abbastanza diversi da quelli dei politici, e troppo affezionato al luccichio delle opinioni per capire veramente le azioni. Saccente e frustrato, compiaciuto e superfluo, il commentatore politico agisce con un concetto di prassi che pecca sempre di idealismo o di grettezza, mentre la sua idea di cultura è troppo attivistica per lasciare tracce nella mente di qualcuno. 11 BibliotecaGino Bianco

5. Il pathos della rincorsa. Pur manifestando un intenso interesse per le prese di posizione politica, la Repubblica non esprime nell'insieme una posizione politica chiara. Questa indeterminatezza è d'altra parte necessaria perché il giornale possa fare la sua politica, consistente in questo: « tenere aperto il dibattito ». Dice Scalfati: « Il contrasto d'opinioni è il sale d'una società democratica e non può far paura a chi crede nella ragione ». La diversità delle posizioni politiche è nel giornale vagamente salvaguardata (nessuno pianta grane per qualche divergenza: !'aut-aut è roba d'altri tempi), ma deve comunque rientrare in un quadro ben fermo di valutazioni e di aspirazioni generali. Il pathos di cui più spesso si nutrono e sul quale più spesso confidano i commentatori economico-politici della Repubblica è il pathos della rincorsa, dell'adeguamento, della promozione, del raggiungimento di livello. La Repubblica deve inventare sempre di nuovo la prospettiva di un futuro prossimo nel quale le cose si metteranno a posto e gli italiani saranno finalmente promossi a cittadini « occidentali » e « sviluppati » di prima classe, cittadini di un'Italia laica, europea. Indossando anche i panni più diversi, fra impettita fermezza e ragionevole cautela, la Repubblica ha dato corpo per un buon decennio al mito di una « promozione » italiana sempre alle porte. Il mito di questa « promozione » non è meno dogmatico e astratto del mito della « rivoluzione»: oltre ad essere, senza dubbio, più provinciale e più avvilente. Perciò la posizione politica della Repubblica, pur sembrando a volte snobistica, è in realtà solo patetica, elementare, protesa verso un ideale progressistico-edificante appena venato da qualche brivido di scetticismo. Questa posizione politica è riassumibile in alcuni tic ideologici: 1. L'Italia deve diventare più moderna: o meglio, finalmente moderna. 2. I politici devono comportarsi bene: non devono amare il potere e il vantaggio di parte, ma devono amare l'onestà e la ragione, operando nell'interesse di tutti. 12 BibliotecaGino Bianco

3. Il direttore di questo giornale queste cose le ha sempre sapute e le ha sempre dette. Nessuno, chissà perché, ne ha tenuto conto. Ma è proprio questa la ragione della loro perpetua attualità. 4. Inoltre e infine, tu che leggi la Repubblica appartieni a un'élite, sei dotato di intelligenza e di prestigio, e se non hai abbastanza potere, presto lo avrai, perché lo meriti e stai puntando sul cavallo vincente. Non hai certezze, hai solo dubbi: ma è proprio questo che distingue al giorno d'oggi i futuri dirigenti dai poveri di spirito. 6. « In che mondo vivi? » Almeno un volta è capitato a chiunque di sentirsi accusato con questo terroristico interrogativo. Cosl, nel corso di una discussione che forse stava scivolando impercettibilmente verso la polemica, all'improvviso siamo stati messi sotto accusa in questo modo. E qualunque sia stata la nostra reazione, lo scopo reale della domanda era questo: farci sentire degli idioti fuori posto, degli incompetenti, dei disinformati. Gente che non legge i giornali e che non si mette al passo col mondo, non si tiene al corrente. Quella domanda maligna incarna perfettamente la mentalità di chiunque, attivamente o o passivamente, scrivendo sui giornali o leggendoli, ne ha abbracciato in pieno, senza riserve, e magari con entusiasmo, la filosofia. Infatti, chi legge i giornali sa in che mondo vive. Il Dio senza volto, o dai volti innumerevoli, al quale ogni mattina, leggendo i giornali, viene rivolta la nostra umile preghiera è il Dio della Realtà e dell'Attualità: o della realtà come attualità. La nostra cultura critica può anche venirci in aiuto di fronte a un'insinuazione simile. Sappiamo che la realtà non è un monolito, non è una facciata interamente visibile, non è un elenco di argomenti e di fatti del tutto verbalizzabili, rapidamente verbalizzabili. La realtà (neppure quella attuale) non è la stessa cosa che la prima pagina dei giornali. Lo sappiamo bene. Eppure la nostra protesta di fronte a tanto semplicismo ricattatorio stenta sempre a mettersi in moto. Non aver letto il giornale è uno dei peccati di cui ci si vergogna di più. Quella domanda cosl denigratoria, cosl malignamente insinuante BibliotecaGino Bianco 13

quasi c1 terrorizza: In che mondo vivi? (In effetti, chi non legge i giornali vive in un altro mondo e corre il rischio di capire qualcosa). 7. Critica dell'ideologia ... Nel caso della stampa come in altri innumerevoli casi, quella che fu la critica dell'ideologia, intesa come pratica efficace di smascheramento, sembra resa del tutto anacronistica dalla situazione di fatto. Quella che esiste davanti ai nostri occhi sotto forma di giornale è qualcosa di più di un'ideologia. O forse è ciò che ogni ideologia davvero dominante è sempre stato: cioè un modo di vita quotidiano sostenuto da un modo di produzione culturale che nessuna obiezione critica può scalfire. Mentre produrre l'illusione che una critica impegnata ed efficace esista, è oggi il compito primario della stampa cosiddetta critica e impegnata. Il critico dell'ideologia perciò non ha scelta: deve rassegnarsi a fare della politica un semplice tema letterario. Può contemplarne, analizzarne, descriverne le caratteristiche come un geologo descrive le pietre, come uno zoologo classifica le specie animali. Non solo la Politica, del resto, ma anche la Cultura ci sta intorno come un orizzonte di fatalità. Riuscire a difendersene sarebbe già un risultato sorprendente e raro. Fra un momento squillerà il telefono, il televisore verrà acceso, il giornale verrà comprato. E verrò a sapere ancora una volta, incapace di meravigliarmi e di reagire in qualunque modo, che il libro peggiore ha ricevuto il premio più ambito, il filosofo più confuso viene definito un miracolo di lucidità, decine di oratori si sono riuniti per esaltare il valore del Silenzio e che stasera, infine, un noto sociologo parlerà in televisione del carattere degenerativo e corruttore del mezzo televisivo. Il fenomeno con cui oggi abbiamo a che fare non è più quello descritto dai critici della cultura di venti o cinquanta anni fa. La vecchia Kulturkritik aveva quasi sempre davanti a sé un coacervo di sotto-cultura facilmente identificabile. La vera novità che giornali come la Repubblica ci propongono è invece non l'intrattenimento evasivo che inganna le masse, ma l'involuzione e la degra14 BibliotecaGino Bianco

dazione della funzione critica, la massificazione e l'usura della cosiddetta « alta cultura ». La ragione per la quale non esiste più da tempo la « critica dell'ideologia » è proprio qui. Oggi, quel tipo di intellettuale che per coscienza politica o per snobismo praticava lo stile culturale definito « critica dell'ideologia » ha socialmente e intellettualmente perduto il suo punto di osservazione dovuto a un distacco, a un'imperfetta o rifiutata integrazione, a un disagio da esclusione o da repulsione. E' questo il motivo per cui oggi mancano anche i destinatari di un discorso di Kulturkritik. Come potrebbe il nuovo ceto colto avere voglia di « demistificare » ciò che esso stesso produce, adora e sogna? 8. Relax. Stanco del giornale, del suo grigiore, della sua ripetitività, decido di passare ai settimanali illustrati. Mi hanno sempre attratto. Anzitutto perché non escono tutti i giorni e ci lasciano l'agio di un'intera settimana di riflessione. Per leggerli non dobbiamo lottare nello stretto arco di ventiquattr'ore. Il settimanale illustrato lo ritroviamo la sera in camera da letto, sul tavolo della cucina o del salotto, sul sedile posteriore della macchina. E' pieno di foto colorate. Fa viaggiare la nostra fantasia. E' riposante. E, infine, ci libera dalla frenesia dell'informazione aiutandoci ad approfondire e guardare, come qualcuno ha detto, « dentro la notizia ». L'attualità si trasforma in racconto, novella, saggio filosofico, album fotografico. La storia come attualità diventa curiosità, pittoresco colpo d'occhio, confortevole riflessione, registrazione indiscreta. E cosi, eccomi a sfogliare con sollievo e soddisfazione le pagine del più noto e autorevole settimanale illustrato per persone colte. Il settimanale che nel mio paese, da quasi trent'anni, fa epoca. Il suo stile è stato di volta in volta definito « scandalistico » e « snob », inattendibile e pettegolo. Non so se i suoi lettori siano costanti. Un settimanale non richiede un patto di fedeltà assoluta. È per definizione qualcosa « in più » rispetto al quotidiano. Se ne può fare a meno: ed è questa la ragione per cui, quando il lettore si concede un settimanale illustrato, sente dentro di sé la gioia di festeggiare 15 Biblioteca Gino Bianco

qualcosa. Il settimanale illustrato è intrinsecamente festivo. Se il suo giorno di comparsa in edicola non coincide con la domenica o con il sabato, la sua cadenza settimanale evoca comunque una lieta atmosfera di festosità e di superfluo. Ci fa riflettere, ma soprattutto deve farci sognare. E che cosa stimola la nostra capacità di sognare ad occhi aperti come quel superconcentrato di onirismo, quel vero e proprio scrigno e catalogo delle fantasticherie che è il settimanale pieno zeppo di pagine pubblicitarie a colori? Ma qui la tendenza ultra-moderna dei giornalisti italiani a trasformare un fatto, una situazione, un fenomeno in un fascio di opinioni, di pareri, di voci diffuse, di indiscrezioni, di commenti, prende quota ancora più liberamente che nei quotidiani. I titoli diventano confidenziali, allusivi calembour, giochi di parole, battute di spirito, goliardie. Si ha l'impressione di restare in mezzo ad un gruppo di liceali d'altri tempi ormai passati al giornalismo. Davanti alle porte del Parlamento e delle sedi dei Partiti, come davanti alla sala dei professori con i battenti chiusi, questi eterni monelli, questi discoli dall'intelligenza non si sa più se precoce o senile, stanno ad ascoltare i discorsi dei grandi, le loro stupidaggini madornali, le loro volgari bestialità, i loro meschini intrallazzi. E spiano la loro ineleganza, la loro bruttezza fisica: i politici, proprio come i vecchi professori di liceo, sono sempre stati, socialmente, « un gradino più in basso » di questi giornalisti-liceali della borghesia medio-alta. E proprio come i loro padri, disprezzando queste « mezze tacche » dei politici, ammirano con una malcelata punta di invidia i grandi industriali e finanzieri, tutti coloro che sono sempre stati « molti gradini più in alto ». Ancora più di qualsiasi giornale, il settimanale è un universo inesauribile. Riaperto un paio di giorni dopo, si trovano sempre mille cose (articoli, foto, meravigliosi scenari) che all'inizio ci erano sfuggite. L'invito a gustare idee e a correre avventure seduti in poltrona è incessante. Ecco, per cominciare, una affascinante combinazione: dieci uomini politici e di cultura ci spiegano per chi voteranno, otto artisti e uomini di spettacolo ci parlano della loro villa in campagna, quindici fra manager e filosofi ci descrivono la loro famiglia, cinque opinion leaders ci confessano la parola che più spesso Biblio tea Gino Bianco

esclamano nel momento dell'orgasmo. Tutto diventa eccitante e giocoso. Se rispondiamo alle venti domandine proposte conosceremo il nostro quoziente di intelligenza, la nostra capacità di conquistare amici, il nostro sex appeal, la quota di energie spese che riusciamo realmente a recuperare durante il sonno notturno. E poi, volendo, sappiamo quale profumo usare, quale furgone scegliere per la nostra azienda, che cosa pensare degli omosessuali di colore, come curare le nostre malattie psicosomatiche, in quale università iscriverci per avere il meglio, quale computer regalare al nostro amore per il suo compleanno, quale integratore energetico adoperare contro gli stress, con quale maillot de bain andare a pesca, indossando quale sportwear affrontare la gita in barca. Ma poi tutto questo è troppo poco. E' solo la faccia frivola della medaglia? O non è, invece, la parte essenziale? Fra un articolo di politica estera e un'inchiesta sulla camorra, proviamo il sedile di una Volvo, contempliamo il cruscotto di una Mercedes 200, ci informiamo sui vantaggi di un abbronzatore Philips UV-A, ci ricordiamo che la pasta Barilla è la base di una dieta da supercampioni. 9. Smarrimento. No, il giornale è indomabile. Non si troverà mai il metodo per venirne a capo. Ci domina, molto prima che noi possiamo anche lontanamente concepire la scolastica velleità di dominarlo. In questo somiglia già alla televisione. Ha questo di moderno: che la anticipa, la precorre, le spiana la strada. Del resto, i giornalisti più riusciti sono quelli che somigliano di più al loro doppione (al loro omonimo) televisivo. Un giornale non è quello che sembra: un testo scritto. Infatti non può essere né sfogliato, né letto, né studiato. Ognuno di questi usi si rivela un uso parziale e improprio, che regala solo frustrazioni e non rispetta la misura indefinibile, la natura ibrida e coatta, pomposamente ossessiva di un tale oggetto e veicolo di cultura. Non ritaglierò più articoli, non prenderò mai più sul serio le opinioni degli esperti in opinioni. Non voglio perseguitarli nep17 Biblioteca Gino Bianco

pure fra me e me, sottolineando la loro insopportabile ridondanza, la loro seriosità, la loro spensierata incoerenza. Le parole che scrivono sono scritte sull'acqua: leggerle davvero, frase dopo frase, è già una violenza indebita esercitata sulla loro leggerezza. La Storia farà prima a finire, a sparire dalla faccia della terra, piuttosto che illudersi di superare i giornali, di renderli obsoleti, sorpassati e antiquati come già sono. La Federazione della Stampa, nazionale e internazionale, non permetterebbe mai un abuso e un'arroganza simili. La stampa infatti è libera: anche dai suoi contenuti. E' autonoma: anche dalla realtà. Non ubbidisce a nessuno: neppure alle leggi della storia. 1O. Ritorno a casa. Si, è proprio un appagamento, una sazietà, la serena certezza di trovarsi nel più favorevole punto di osservazione, all'incrocio fra tutte le strade principali dell'opinione politica e culturale, è proprio questa soddisfazione rasserenante, questa sacrosanta riconciliazione col mondo come lo vorremmo (più moderno, più europeo) che quotidianamente mi offre la lettura della Repubblica. Leggendo questo giornale non ci si sente più orfani, non si ha più la sgradevole impressione di essere dei senzatetto culturali, gente allo sbaraglio, senza fondamento e senza punti di riferimento, senza dimora e senza linguaggio. La Repubblica rimedia a tutto questo. A questo e anche ad altro. E' la sintesi e il deposito, il punto di raccolta e di incontro di tutte le istanze che la nostra cultura più avanzata è in grado di esprimere. Leggendo le pagine centrali della Repubblica so di poter entrare dalla porta principale nella cultura e nella politica. Nulla può mancarmi, di moderno e di europeo, che la Repubblica non si sia adoperata ad offrirmi. Questo giornale ha solo dieci anni ed è emerso con l'emergere della nuova classe emergente. Impetuoso come un movimento spontaneo di massa, teleguidato come un'arma culturale moderna, predicatorio e frivolo, rivolto in tutte le direzioni come l'occhio del camaleonte, tempestivo e veloce nel catturare tutto ciò che si impone e nel difendere tutto ciò che trionfa, Biblib eca Gino Bianco

aggressivo e sicuro di sé come un indossatore travestito da manager, sempre rivolto al futuro, a proprio agio nel mondo culturale come si è a proprio agio nella propria famiglia - la Repubblica è un giornale che anticipa e insegue i gusti ondeggianti e nervosi del suo pubblico: trasforma lo smarrimento in fermezza, sa creare ogni giorno quel confortevole e gratificante clima da club esclusivo allargato a tutti, di cui tutti hanno bisogno. Ma è chiaro, è sempre molto chiaro ogni volta che ho fra le mani questo fascio prezioso di fogli, che solo Eugenio Scalfati, questo vertice delle proprie stesse qualità, questa genuina e insuperabile incarnazione di se stesso, solo il direttore e presidente morale del giornale è colui che riesce a dare forma a quello che potrebbe sembrare, considerando le cose in superficie, un informe e indigesto coacervo. La Repubblica è fin d'ora un'utopia vivente, una repubblica dello Spirito laico, un senato di menti illuminate, una libera agorà in cui solo il meglio può venire ad espressione. Perciò, il tipico lettore di Repubblica sei proprio tu, chiunque tu sia. Tu, lettore fraterno e sincero, produttivo e insoddisfatto, fiducioso e senza illusioni, solidale benché sconosciuto, notissimo benché senza volto - tu fai parte di un'élite di dirigenti o aspiranti dirigenti, di capi o di aspiranti capi, di persone di successo o di aspiranti al successo, di uomini molto competenti o molto aspiranti alla competenza, di lucidi scettici che si aspettano grandi cose dal futuro, di critici dell'idea di Progresso che fanno di tutto per far progredire gli italiani. « SIAMO CRESCIUTI INSIEME, ANNO DOPO ANNO. Dalle 100.000 copie vendute in edicola nel 1976 (anno I di Repubblica), siamo passati alle 331.000 copie vendute nel settembre 1984 (prima stima). E' un dato eloquente, e lo diventa di più se guardiamo dove e a chi vanno queste 331.000 copie. La diffusione e la penetrazione di Repubblica, nelle regioni italiane, è eccezionalmente omogenea: in 19 regioni su 20 la Repubblica è il quotidiano più letto dopo il quotidiano locale. Altrettanto omogeneo il profilo dei lettori. Tra tutti i quotidiani italiani è la Repubblica (dati ISEGI) quello con la più alta 19 Biblioteca Gino Bianco

percentuale di lettori laureati e diplomati. Di lettori docenti e studenti. Di lettori imprenditori, professionisti, dirigenti. Di lettori in età "produttiva " (25-64 anni). Questo tipo di lettura particolarmente qualificata è rimasto costante dal 1976 ad oggi. Erano anni in cui l'Italia - una certa Italia - si impegnava per diventare un po' più grande e moderna, per allontanarsi dallo strapaese ed avvicinarsi all'Europa. Era a questa Italia che Repubblica aveva scelto di parlare. Perciò, man mano che aumentava la tiratura, aumentavano anche le pagine, le rubriche, i servizi. Aumentavano le firme e l'autorevolezza di Repubblica. Che continuava ad essere in sintonia con dei lettori che diventavano sempre di più e si accontentavano sempre di meno. Perché, come dicevamo, siamo cresciuti insieme. LA REPUBBLICA È LA TUA ITALIA. » 11. Entusiasmo e gratitudine. Non credo di sbagliare, anche se le mie palpebre hanno smesso di ubbidirmi e non riesco a fissare l'oggetto inaspettato della mia ammirazione. E' a pochi passi da me, non più di cinque o sei metri, ma potrebbero essere dieci o solo un paio: è impossibile credere ai propri occhi quando ci si trova in presenza di un simile prodigio. La sua magnifica testa, la sua testa inconfondibile, incorniciata da quella pugnace e filosofica corona di capelli e di barba di un bianco abbagliante, la vedo navigare e solcare il mare tempestoso della folla crepuscolare senza un velo di noia o di fastidio. Le sue labbra portano dipinto un imperturbabile sorriso. Il suo sguardo è dotato di una ferma e vigorosa fierezza, che non si sofferma su nulla di basso e di immediato ma guarda avanti e in alto, verso gli intrighi del Palazzo. Sono tanto affascinato dall'aura di quella testa unica ed esemplare, che non riesco neppure a dare un'occhiata al corpo che la sostiene. Certamente un corpo secondario, poco interessante, 20 BibliotecaGino Bianco

poco significativo e non all'altezza di quel fastigio solenne e regale di pensiero che lo sovrasta, che se ne fa sostegno e veicolo. Il suo sguardo, indifferente al fango della strada cittadina, guarda oltre. In una direzione che sul momento mi pare indefinita, ma che ora riesco, a mente fredda, a identificare senza più dubbi. La direzione di quello sguardo port~ al cuore stesso della Repubblica, della sola realtà che sta a cuore a quest'uomo indispensabile. Il cuore della Repubblica italiana, Parlamento e Governo repubblicano, dico, a non molte centinaia di metri dal luogo casuale del mio incontro. Poco oltre, dove il suo occhio si affisa, sorgono Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi. Là siedono e si riuniscono gli oggetti della sua vocazione pedagogica e moralistica. Là sono i suoi avversari e i suoi pupilli, tutti coloro a cui giorno dopo giorno si rivolge la sua riflessione e la sua ammonizione. Non sono certo che l'incontro col dir~ttore e ispiratore del giornale che leggo sia veramente avvenuto. La mia infatuazione per questo personaggio che con i suoi articoli prende possesso delle mie giornate, non è recente, cresce di contiuno e potrebbe facilmente giocarmi un brutto scherzo. Ai fanatici capita di avere qualche allucinazione. Credono di vedere coi loro occhi ciò che la loro mente non si stanca di evocare. Ma non importa che l'incontro descritto sia vero o illusorio. Quello che più importa è la decisione che in me è seguita a quell'episodio. Perché se qualcosa del genere mi capiterà davvero o di nuovo, mi farò coraggio, fermerò il mio eroe, gli stringerò commosso la mano. E spero, quella volta, di avere il controllo della mia lingua. Esprimerò tutta la mia gratitudine a colui che con la sua opera contribuisce da anni, ogni mattino, ad esprimere la nostra sete di verità e la nostra indignazione. A colui che con speciale sapienza morale e professionale CI TOGLIE QUOTIDIANAMENTE LA PAROLA DI BOCCA. Post scriptum. In realtà, da quando mi sono vittoriosamente arreso di fronte all'esistenza di Repubblica, mi sento meglio. Non Biblioteca Gino Bianco 21

più conflitti, nessuna nausea. Anch'io, secondo l'aspirazione universale, ho raggiunto un mio equilibrio. Non leggo più la Repubblica da un pezzo. Mi basta sapere che esiste. Aggiunto in bozze. Ancora un primato di Repubblica. Da Panorama dell'8 dicembre si riporta la lettera di Eugenio Scalfati (preziosi i dati, bello lo stile): « Leggo sul numero 1024 di Panorama i recenti dati diffusionali de La Stampa e di Repubblica forniti dai nostri colleghi del giornale torinese. Ho sempre avuto vivissimo apprezzamento per La Stampa, un giornaleche fa onore al Paese e allaprofessione nostra, con cento anni di vita gloriosa alle spalle, illustrata da direttori del livello di Alfredo Frassati e Giulio de Benedetti, per non parlare che dei due maggioriai quali tutti gli altri hanno fatto e fanno degnissimacorona. Sono anche il primo a essere convinto che il peso di un giornale non si misura soltanto dalle copie che vende, ma dal ruolo e dalla autorità morale che talvolta riesce a esercitare. « Proprio perché nutro questi sentimenti di rispetto verso il nostro confratello torinese, non posso che essere lieto che nella libera gara che vede in concorrenzai principali giornali italiani, quello che ho l'onore di dirigere abbia di fatto raggiunto e anzi di recente addirittura superato le vendite de La Stampa, risultato tanto più apprezzabile per me in quanto Repubblica non ha ·neppure compiuto dieci anni di vita, nel corso dei quali ha dovuto misurarsi con concorrenti ben più agguerriti e storicamente radicati nel pubblico dei lettori. « Se dunque scrivo la presente per rettificare alcune cifre che sono state fornite a Panorama dalla direzione amministrativa de La Stampa non è certo per amor di polemica, ma per rispetto della verità. « È vero che nei primi nove mesi dell'anno in corso la vendita media de La Stampa supera ancora, sia pure di poco, la vendita media di Repubblica. Ma è altrettanto vero che a partire dal giugno ultimo scorsole distanze si sono sempre più raccorciate,fino a sparire del tutto e a dar luogo anzi a un superamento da parte nostra sia in edicola sia - per quanto riguarda il mese di ottobre - nella diffu22 Biblioteca Gino Bianco

sione complessiva, abbonamenti compresi. Per l'esattezza le cifre sono quelle della tabellinaa fianco. LA STAMPA in edicola in abbonamento totale . LA REPUBBLICA in edicola in abbonamento totale . Settembre Ottobre copi e 392.682 379.900 26.599 27.582 419.281 407.482 copi e 400.482 425.012 3.771 3.639 404.253 428.651 « Può darsi che si tratti di un fenomeno transitorio anche se personalmentespero di no. Ciò che conta agli occhi miei è che i due giornaliprocedonodi pari passopur nelladiversadiffusione sul mercato nazionale. È motivo di orgoglioper noi di Repubblica vederci situati ad analogo livello con una delle testate più prestigiose del nostro Paese. Eugenio Scalfati » Infine, non posso sottrarmi al dovere di trasmettere l'annuncio appena ricevuto. Dal 28 gennaio '86 sarà in libreria LA SERA ANDAVAMO IN VIA VENETO Storia di un gruppo da « Il Mondo » a « La Repubblica » di Eugenio Scalfari « Un'autobiografia,il ritratto di un gruppo, la prima storia dei liberal-italiani, il racconto della più straordinariainiziativa giornalistica nell'Italia del dopoguerra, da II Mondo a L'Espresso a La Repubblica: tutto questo in un solo libro. Eugenio Scalfari ha scritto il suo libro più personalee insieme il vero seguito di Razza pa23 Biblioteca Gino Bianco

drona o per meglio dire ha descritto l'altra faccia dell'Italia, la« specie nobile » che senza identificarsi con un partito è riuscita a diventare il più influente gruppo di opinione del nostro paese. Un grande libro corale, dominato certo dalla figura del protagonista, ma ricco sopratutto di memorabili ritratti, da La Mal/a a Moro, da Pannunzio a Croce, da De Benedetti a Berlinguer. Un libro che tira le somme di trent'anni di storia politica, giornalistica e culturale del nostro Paese. » Le Scie, Mondadori, 370 pag., 22.000 lire. 24 BibliotecaGino Bianco

IL RECIDIVO T. (nove anni): « Posso dare io le carte? Ti giuro che non imbroglio. » R. (dieci anni): « Fai pure. Tanto non sai imbrogliare. » Quanti e quali squisiti adoratori conterebbe Marx, se solo non ci fosse stato il marxismo! Gli concederebbero volentieri un po' di moti falliti, qualche generosa insurrezione abortita, un po' di onorevoli sconfitte. Ah, se la praxis marxiana avesse avuto gli esiti di quella di Bakunin! Per costoro il problema non è quello che tormenta molti marxisti e conforta tantissimi antimarxisti, cioè il rapporto tragico tra marxismo, rivoluzione, socialismo reale. Per costoro è inaccettabile a priori che un'opera intellettuale, un pensiero (il frutto più radicale della filosofia tedesca, della cultura occidentale) abbia potuto incarnarsi in un movimento politico, armare la mente e le braccia di milioni di uomini ... La fissazione velleitaria di cambiare il mondo, gliela perdonerebbero senz'altro. Ma che il cambiamento sia poi realmente avvenuto (non importa se in bene o in male e a che prezzo: non è questo il punto), è un tradimento inaudito, una stonatura offensiva, uno scandalo, un disastro. Se non ci fosse stato il marxismo, che straordinario scrittore sarebbe Marx, che economista geniale, che filosofo eccitante, che personaggio formidabile! Che miniera! Che riserva di caccia per spiriti forti! Che droga! 25 BibliotecaGino Bianco

La dieta consigliata dall'architetto, gli investimenti finanziari suggeriti dal dentista, i comportamenti sessuali raccomandati dal commercialista, le scappatoie fiscali escogitate dall'antiquario, le segnalazioni librarie del maestro di sci, i pareri legali del tabaccaio e del barbiere, le medicine prescritte dall'assessore all'urbanistica, l'ossobuco secondo la ricetta del filologo romanzo... Alla visita di leva ritrovai due compagni delle elementari, che invece di proseguire gli studi avevano dovuto mettersi a lavorare. Uno dei due, nel colloquio conclusivo con l'ufficiale che decideva l'arma, tanto insistette per essere assegnato all'aviazione che fu accontentato. Aviere! Era quasi stravolto dalla felicità. « Povero coglione, » lo sfot. teva l'altro, « crede di volare ... Anche in aviazione ci sono cessi da pulire ... » Ma quello non gli badava, deciso a non farsi rovinare la festa, a gustare fino all'ultima goccia il suo boccale di fortuna. Anche perché sapeva già benissimo quanto la cinica saggezza del compagno pretendeva di insegnargli. Ognuno conosce il proprio destino sociale. Non s'era mai illuso che gli facessero pilotare un aereo. Voleva la divisa azzurra, l'aquila sul berretto. Soddisfatto il suo desiderio simbolico, si sarebbe adattato di buon grado a qualunque incombenza. Meglio pulire i cessi in aviazione che in fanteria ... La giornalista televisiva chiede alla titolare di una sartoria a quale ceto appartengono le sue clienti. Gli articoli danno l'impressione di essere piuttosto cari. Ma i tempi sono cambiati, ora non va più bene passare per esclusivi e si sacrifica volentieri all'eufemismo democraticistico. E infatti la titolare risponde: « Categoria medio-fine. » Dove si abbassa la fascia economica e si alza la qualità. Chi non dispone oggi di due o tre milioni per togliersi un capriccetto? Quel che importa è avere gusto. La cultura conta. 26 Biblioteca Gino Bianco

Suonano alla porta. Chiedo chi è. « Sono una ragazza... » E' la Matta, una donna di mezz'età che abita nella zona e viene ogni tanto a mendicare nel nostro condominio ignorando orgogliosamente l'ostilità del portiere. Veste accozzando i pezzi più disparati, con una netta predilezione per i colori vistosi, e parla da sola senza interruzione a voce alta, concitata, ciò che le attira spesso scherni da parte di giovani, a cui lei reagisce con acutissime invettive. Per lei, come per gli psicotici in genere, il tempo non esiste. Non c'è la minima civetteria nel suo considerarsi una ragazza. Sa di non essere mai cresciuta. Anche il pizzicagnolo, che per non offenderla le fa pagare le sue spesucce, ma esigendo un prezzo poco più che simbolico, sembra confermarle che il tempo s'è fermato a trent'anni fa, quando lei erà davvero una ragazza e la mortadella costava realmente cento lire l'etto. (Una volta « ragazzo » e « ragazza » si usavano pure per chi non s'era sposato, ancorché d'età avanzata, come se la mancanza di questa esperienza equivalesse a un'interruzione dello sviluppo. « E' ragazza », « E' rimasto ragazzo ».) Il padrone della trattoria in collina, mentre al momento di congedarci gli facciamo i complimenti per l'ottimo pasto che ci ha servito, si schermisce sorridendo: « I signori sono molti gentili ... Si fa quel che si può ... », allargando le braccia a significare che le possibilità sono molto ristrette, e conclude: « Sono un ragazzo di campagna ... » L'uomo ha passato la cinquantina, guadagna piì1 di noi, ha l'auto, la televisione, il telefono, la lavatrice ecc., ma evidentemente per lui noi continuiamo a essere d'un altro pianeta. I « signori », gli « uomini » stanno in città. In campagna non si cresce. « Sono un ragazzo disgraziato »: cosl mi si era presentato un piccolo industriale, da poco dichiarato fallito. Come se tutta una vita da adulto fosse stata d'un colpo cancellata, ed egli si ritrovasse precipitato senza rimedio al punto di partenza. Se nei titoli della stampa comunista il « non » era da tempo la spia stilistica del disagio e dell'impotenza (vedi Diario 1, p. 33), la sconfitta elettorale (ampiamente meritata, temuta e prevista dal PCI, senza peraltro far nulla per impedirla) non poteva certo invertire la 27 Biblioteca Gino Bianco

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