spiaciuto guastarle la festa. Però ha capito subito. Mi chiedo quanti insegnanti si siano astenuti per decenza dall'appoggiare una simile cialtronata. Al cinema zittisco un giovanotto che non la smette di sgranocchiare biscotti. « Ho fame! » è l'irosa risposta. Quando si accendono le luci, mi giro verso di lui e m'arriva un'occhiata carica di risentimento, come se dovessi vergognarmi e provar rimorso di aver mangiato a casa. A tavola il bambino ha pronunciato la parola « cacca ». Irritazione dei genitori: « Quando si mangia non si deve parlare di cose disgustose. » E riprendono il pasto seguendo il telegiornale, vale a dire: massacri in Salvador, esecuzioni nelle nostre carceri, delitti della mafia e della camorra, fame nel mondo, Libano, sequestri, e per finire un servizio sui cuccioli di foca uccisi a bastonate dai cacciatori di pellicce sulla banchisa del Labrador. Ma anche senza questi eccessi, senza la morte e il sangue in primo piano, già solo le parole e i volti dei personaggi pubblici e degli annunciatori non dovrebbero risultare più « disgustosi », più nocivi all'appetito e alla digestione della parola pronunciata dal bambino? Oppure i genitori sono stati disturbati perché in quella parola hanno sentito un riferimento, tanto involontario quanto pertinente, alla qualità dei cibi che formano il loro pasto e più in generale alla qualità della loro esistenza? Lo sappiamo che ciò che mangiamo e facciamo, diciamo e pensiamo - insomma, ciò che siamo - è « cacca ». Però non è cortese ricordarcelo. Léautaud si reca con Valéry alla « Libre parole» di Drumont, che ha aperto una sottoscrizione per un monumento al colonnello 6 Biblioteca Gino Bianco
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