La rabbia con cui certi pubblicisti (naturalmente « di sinistra », come tutti: « Siamo tutti cristiani » diceva Kierkegaard) si avventano contro ogni intervento sospettabile di rimpiangere i tempi in cui era ancora in uso la critica ideologico-politica. Essi accusano gli anni Sessanta (per non parlare dei Cinquanta) di rozzezza e intolleranza, ciò che è verissimo, ma usano a loro volta una rozzezza e intolleranza molto peggiori perché del tutto stonate con i nuovi abiti che sfoggiano: laicismo, aperturismo, pluralismo, liberismo ... E' curioso che si proclami la superiorità di questa epoca rispetto alla precedente per il fatto che gli intellettuali, che allora erano tenuti al cipiglio, ora possono (anzi debbono) fare i buffoncelli. La trasformazione da preti-poliziotti a pagliacci, da cani da guardia a cani da salotto, non parrebbe un progresso. Tanto più che, se qualcuno dimostra di non divertirsi ai loro numeri, questi cani da salotto ringhiano e mordono peggio dei cani da guardia. Ma il lato più strano (o buffo) della faccenda è che il rimpianto del passato non proviene da qualche vecchio cane da guardia che non s'è rassegnato a diventare cane da salotto, ma da persone che, come oggi sono il bersaglio dei cani da salotto, cosl allora lo erano dei cani da guardia. Sogno. Sono davanti a un registro che raccoglie denunce (anonime) contro parlamentari colpevoli di assenteismo. Ci scrivo il mio nome. Il commesso, che sta dietro il tavolo su cui è aperto il registro, mi chiede di mostrargli il mio documento d'identità. Sbalordito, protesto farfugliando qualcosa sul mio diritto all'anonimato. Ma il commesso mi fa notare che ho scritto nello spazio riservato all'autorità inquirente. Per il commesso io sono qualcosa come un commissario di polizia o un magistrato che ha firmato per ricevuta e scarico e lui, prima di consegnarmi il registro, deve controllare se lo sono davvero. Situazione insostenibile. Dopo essermi arbitrariamente spac9 Biblioteca Gino Bianco
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