donne chiesa mondo - n. 75 - gennaio 2019
DONNE CHIESA MONDO 30 DONNE CHIESA MONDO 31 Una monaca proveniente da una ricca famiglia, educata in collegi esclusivi ma ancora con l’impronta della scuola “femminile”, scoprì la Parola di Dio, consegnata nella Bibbia. Ebbene, in monastero non veniva consegnata alle sorelle. Le riuscì di contattare un prete amico che la fece incontrare con il presidente dell’Associazione biblica e co- sì la Bibbia varcò il sacro recinto! Da qui nacque l’urgente necessità di capire e comprendere per non difendere a spada tratta la tesi che Ambrogio era nato a Roma e che Benedetto e Francesco vivevano nello stesso secolo! Ora le giovani generazioni — perché esistono ancora! — arrivano in monastero non a seppellirsi vive ma per pienamente vivere. Se in mattinata i lavori domestici assorbono tutto il tempo, il po- meriggio, nella solitudine della cella, è speso nello studium veritatis, nello studium amoris. Il volto di Cristo si scolpisce nella storia della giovane monaca e si riflette ubiquamente, perché la Parola si rifrange in tutto l’universo passando per il microcosmo della persona che prega. Così si cambia la storia, si entra nei suoi nodi cruciali, se ne trova il senso rivolgen- doli al risorto. Il cammino biblico e teologico può conoscere le tappe (fatidiche!) degli esami ma può anche non conoscerle perché il traguardo non è rappresentato dal diploma, più o meno strappato, ma da quell’acqua viva che gorgoglia dentro e corrobora il ritmo monastico quotidiano. Di grande aiuto sono i corsi a distanza che consentono di perma- nere nel silenzio e nella solitudine pur curvandosi nello studio. Diverte (ma anche un poco offende!) quando nel corso di un esame ci si sente apostrofare: «Guardi diritto nella telecamera!». Quindi è insinuata la presenza di un gobbo che agevolerebbe l’inter- rogatorio. Chi così si comporta, non ha afferrato quanto lo studio per le mo- nache sia perfettamente gratuito. Non conta fregiarsi di un titolo, guadagnare una cattedra ma rendersi trasparenti al mistero dell’irru- zione di Dio nella storia. In quella contemporanea che cerca a tento- ni risposte. In quella personale che risponde in quanto donna del XXI secolo, abitualmente laureata e abilitata alla propria professione. Non cade così il problema della “distrazione”? Dove per distrazio- ne si intenda tutto quanto distolga alla presenza di Dio nella Parola e nell’eucaristia? Una conoscenza vera non distoglie ma conduce ad approfondire, a lasciarsi trapassare dal mistero, non per ridurlo al nostro limitato ce- rebro ma per portare, magari con fatica, il nostro cerebro sul piano dell’infinito e dell’assoluto. Si gioca così un’altra relazione con la storia stessa, quella degli eventi quotidiani che toccano il vivere del cosmo, del pianeta, dell’Europa per giungere al microcosmo del proprio monastero. La concretezza dei fatti esige una risposta altrettanto fattiva che sappia diventare lievito e oblazione di sé. Certamente non significa spaziare su tutti i giornali possibili e imbottirsi di gossip! Come pe- raltro accadrebbe se si fosse legati ancora al pregiudizio del gossip di assoluta specificità muliebre. Si cammina fianco a fianco con tutta l’umanità, non su nuvole maldestramente immaginate ma su realtà condivise e insieme patite. La monaca allora non è costretta in binari mortificanti di esclusivi lavori servili, in cui la linfa del pensiero e della conoscenza sia messa in conserva e rinchiusa in un barattolo perché solo l’anima possa re- spirare e levitare. Se accettiamo l’insegnamento del teologo Ratzinger la persona og- gi è aperta all’infinito, ne viene sfiorata e lasciata libera nell’aderirvi. La strada della bellezza non può quindi che innamorare e traspor- tare. Cadono allora le cosiddette costumanze, retaggio di galatei di tempi passati e polverosi, e si lascia spazio a una creatività che si po- ne in ascolto della Parola e spende il proprio arco di storia nell’en- trarvi sempre più profondamente. Il tempo richiesto dalla lettura, dall’assaporare i grandi testi della nostra tradizione, forgia una giovane che non si relega nei servizi più bassi perché così è certa di vivere in umiltà e di attirarsi le grazie del Signore. Questa concezione è sterile perché umilia la donna e non la fa fiorire per quella che è: persona pensante. Indubbiamente tutto il mondo monastico richiede servizi di lavoro manuale ma non conta, in fondo, la postura interiore che rende qual- siasi servizio impregnato dell’assoluto? Si avverte però ancora oggi il triste peso di una cultura maschilista in cui la suora e la monaca vengono considerate come ingranaggi di lavoro, mani laboriose e basta. Bisogna abbattere alcuni muri e, magari a mani nude, aprirvi dei varchi, solo così la definizione della monaca di Hans Urs von Bal- thasar acquista tutta la sua luce: «Io ho incontrato Dio». La testimonianza diventa visibile agli occhi della fede e di chiun- que si scopra pensante.
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