donne chiesa mondo - n. 75 - gennaio 2019

DONNE CHIESA MONDO 28 DONNE CHIESA MONDO 29 tisse sempre più estranea, ma lasciò l’ordine do- po il ritorno del cancro. Il medico le confermò che l’aggravamento era, molto probabilmente, in relazione con il ritardato intervento iniziale. Ritornò allora alla ricerca accademica: ottenuto un dottorato in studi asiatici presso l’Università nazionale d’Australia (Canberra) e posizioni di insegnamento nelle prestigiose università di Co- lumbia e di Yale (Stati Uniti d’America), con- cluse la sua vita accademica come professore all’Università di Toronto. Sposò il collega Wil- lard Oxtoby, uno studioso dell’Asia meridionale che le fu vicino con affetto e devozione fino alla fine. La coppia adottò un ragazzo di origine ci- nese. La vicenda di Julia Ching è affascinante e straziante allo stesso tempo. Il memoriale auto- biografico, arricchito di approfondimenti cultu- rali, religiosi e filosofici sulla grande tradizione cinese della quale è interprete, ci introduce nell’anima di Julia, donna che ha vissuto tra oriente e occidente, attraversando da protagoni- sta religioni, culture e filosofie. La sua è la storia di una donna asiatica, de- terminata e coraggiosa, che ha sperimentato la generosità della conversione e della scelta del convento; un’ottusità crudele nella vita religiosa cattolica; la discriminazione e la subalternità a cui una donna, per di più orientale, fu costretta in ambienti accademici dominati da uomini. Il cancro non curato tempestivamente ritornò ben quattro volte a turbare la sua vita e i suoi progetti. L’ultima le fu fatale. Il dolore e il pen- siero dell’ingiustizia subita mentre era religiosa tornavano come un incubo a turbarle le notti, i sogni, l’animo. Scrisse una lettera a suor Hilda, diventata superiora generale, denunciando l’ostilità della superiora di Taiwan e la malattia che la metteva, ripetutamente, in pericolo di vi- ta. Suor Hilda la invitò a perdonare e ad affi- darsi a Dio. Ma Julia faceva fatica a credere an- cora in quel Dio. I momenti di sconforto furono numerosi, nei quali si chiese quale fosse il senso della sua vita; il perché di tanto dolore. Nel tentativo di guari- re si affidò alle cure convenzionali, a operazioni chirurgiche invasive, alla chemioterapia e alla psicoanalisi ma anche, su suggestioni di amiche asiatiche, tentò la via della medicina cinese, del- le cure erboristiche che avevano guarito altri, e delle discipline di meditazione orientale. Nelle pagine più commoventi della sua auto- biografia Julia descrive le sue paure e il suo rap- porto conflittuale con Dio, al quale lei sa di non potersi più sottrarre. Dove posso trovare la forza per combattere? Perché capita a me? E chi sono io? Sono cinese, americana; sono cattolica, sono una ex suora? Sono confuciana, buddhi- sta, o persino taoista? In cosa credo? In chi cre- do? «Mi considero ancora cristiana, anzi cattoli- ca, ma sono spiritualmente anche taoista, bud- dhista e persino confuciana. Io vengo dall’oriente, e la malattia e i miei tentativi di guarigione mi hanno spinto a tornare, cultural- mente, alle mie radici». A quel punto decise di perdonare Dio. «Ero arrabbiata con Dio, ma nello stesso tempo non avevo nessun altro a cui rivolgermi. Ma anche quando ero più arrabbiata, non sono mai arriva- ta a rinnegare la Chiesa, il mio ordine, o la mia passata vita religiosa. Ma devo ancora imparare a perdonare. Le persone più difficili da perdo- nare sono me stessa e Dio. Quando ero in novi- ziato, mi sono abbandonata a Dio. Feci un pat- to privato con lui. Gli ho detto che avrebbe po- tuto fare di me qualsiasi cosa, anche farmi sof- frire. Forse Dio mi ha preso troppo in parola. Ora non credo più in patti di questo genere». Julia Ching è morta cattolica, e il suo funera- le fu celebrato con una santa messa. Nei mo- menti che precedevano l’immersione nella came- ra iperbarica, o le operazioni di rimozione delle masse cancerogene, Julia si affidava alla pre- ghiera, recitando in latino i versi dei salmi im- parati negli anni del noviziato. C ONSACRATE « PER EVANGELICA CONSILIA » Studiare nella cella di C RISTIANA D OBNER D onne e sepolte vive? È questo lo sguardo che la società odierna posa su di noi? Certo nei sepolcreti parlare di cultura sembra davvero assurdo. Ep- pure ci si scontra, così pensando, solo con pregiudizi ben radicati proprio nell’assenza della cultura stessa! Si potrebbe ripercorrere la storia delle monache che respirarono cultura nei loro monasteri: dalla romana Marcella alla contemporanea svizzera Silja Walter, passando per la grande Ildegarda di Bingen, tuttavia la presa diretta sul tessuto monastico odierno risulta più cre- dibile e sfata la leggenda della non vita delle sepolte vive! La donna monaca oggi non ha nulla da invidiare al maschio mo- naco: l’iter teologico, richiesto non solo per poter maturare un mini- stero sacerdotale ma per poter vivere in pienezza la vita intessuta in silenzio e solitudine, non conosce differenza di genere e di capacità cerebrale. Qualche aneddoto potrà concretamente mettere in luce la necessità della cultura biblica e teologica per non lasciare in una palude di ignoranza proprio chi, cercata da Dio e cercandolo, ha bisogno del nutrimento di una fede riflessa.

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