donne chiesa mondo - n. 74 - dicembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 6 DONNE CHIESA MONDO 7 La sapienza è un esercizio del gusto di E NZO B IANCHI T ra tutti i sensi, il gusto richiede non solo di guardare e sentire ciò che è fuori di noi, ma di introdurlo nel corpo, di farlo aderire il più possibile alla cavità orale, di distruggerlo mediante la masticazione e infine di discernerlo. Ciò che è introdotto nella bocca viene innanzi- tutto guardato e annusato, ma poi lo si gusta e lo si giudica con il palato. La bocca è un orifizio luogo di comunicazione più di tutti gli al- tri, ma di una comunicazione il più delle volte non percepita in mo- do consapevole… Con la bocca si parla, si bacia, si morde, si man- gia, si beve, si respira. La bocca rende partecipi al processo di tra- sformazione del cosmo nelle sue componenti minerali, vegetali e ani- mali, processo che è dovuto al lavoro dell’uomo, alla produzione, al mercato, alla cucina, alla tavola, alla masticazione e alla digestione: «Noi siamo ciò che mangiamo», secondo il noto aforisma di Ludwig Feuerbach, noi mangiamo la terra e così viviamo, pensiamo, amiamo. Nessuno di noi memorizza il proprio apprendistato del gusto, ma esso è avvenuto ed è stato un processo lungo e complesso. Siamo en- trati in un sistema gustativo attraverso i cibi della cucina familiare, bile improvviso malessere, lei diventò invece più bella, le si distese il volto, occhi verdi e pallore di pietra, e con una calma ieratica chiese: «Volete due spaghetti?». Fu la prima frase che pronunciò. Nello smarrimento altro non c’era da dare, altro non si poteva prendere. Se ne stava andando lontana col pensiero, ma i fornelli le servivano per restare con noi, con me. Una sorte non benevola colpì anni dopo anche me con lo stesso irrimediabile dolore. E poi un’amica. Tutte e tre ci rivolgemmo al ci- bo come fosse santo, ai fornelli come al tabernacolo. Nutrimento e morte vanno d’accordo. Il nutrimento ripara la mor- te. L’obbedienza passa di lì. Obbedienza che nessuno richiede. Ob- bedienza per vivere. Obbedienza come sollievo. C’è un nulla che non si può riempire, c’è un dolore che non si vuole smarrire. Impari presto che quel dolore può accompagnare l’esistenza e che a cercare di farlo fuori o di sconfiggerlo si resta soli. Quando non c’è lo cerchi e quando è troppo passi a mille stratagemmi. Uno è cucinare. Nel nulla della perdita, della mancanza e dell’assenza, un nulla che non c’è verso di riempire, quando la ri- bellione è inutile, la rassegnazione impossibile, la dimenticanza pericolosa, l’elaborazione una scioc- chezza, restano l’obbedienza e un gesto di resi- stenza pacifica: cucinare cibo. Allora c’è una stanza segreta dove portare quel grande silenzio in cui è necessario ritirarsi: è la cucina. Qui c’è il rumore dell’acqua che lo copre, del fuoco, dei coltelli che tagliano, degli attrezzi di cucina che si fanno sentire. È lì che imbocchi la stra- da che porta agli altri per restare attaccata alla terra. È lì che la vita vince su tutto. Il nutrimento è gesto di sottrazione alla morte e alla sua attrattiva in casi estremi. Il cibo, forza e potenza vitale, gli si contrappone. Cucinare significa allora opporre a quel nulla che non si può riem- pire un movimento. Quei gesti rapidi, obbligati, attenti a evitare la catastrofe sempre in agguato come nella vita, il sugo che in un minu- to attacca, la pasta che scuoce, il troppo sale, quei gesti riportano al- la realtà che scappa, ti rimettono i piedi per terra. Le dosi, le proce- dure, la ricetta diventano la regola. Da non trasgredire. Esercizio di vita, regola di una vita che sfugge. Quando cucino mi sembra che la vita sia eterna. Per tutti. Nutrire la rimette in pista. E infine qualcuno mangerà quel cibo. E sarà com- piuta la relazione. N ELLA TRADIZIONE CRISTIANA
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