donne chiesa mondo - n. 74 - dicembre 2018

DONNE CHIESA MONDO 34 DONNE CHIESA MONDO 35 della necessità del capo coperto in momenti cultuali (forse si tratta del lembo della toga o del peplo: si ricordi che secondo l’uso romano di norma gli uomini stessi potevano partecipare al culto capite velato ), possono essere di due tipi. L’uno consisterebbe nel fatto che, data la menzione degli angeli in 11, 10 («la donna deve avere sul capo un se- gno di autorità a motivo degli angeli»), riecheggi qui l’idea giudaica del rispetto per la loro presenza durante la preghiera (così a Qu- mran). Inoltre è possibile che Paolo sia preoccupato di una certa emancipazione femminile ritenuta spregiudicata con l’assunzione di una pettinatura poco consona alla donna; infatti in 1 Corinzi 11, 15 egli addirittura identifica il velo ( peribòlaion ) semplicemente con la lunga capigliatura femminile ( kòme ). In ogni caso, questa disposizio- ne riguarda le donne solo nel momento in cui intervengono a parlare Romano Penna è professore emerito di Nuovo Testamento della Pontificia università Lateranense e professore invitato alla Pontificia università Gregoriana, alla Facoltà teologica di Firenze, e alla zione in Israele si era fondata una pretesa superiorità dell’uomo sulla donna, come si legge in Flavio Giuseppe: «La donna, come dice la Legge, è in ogni cosa inferiore all’uomo» ( Contro Apione 2, 201), men- tre il Talmud Babilonese decreta che in sinagoga «una donna non deve leggere dalla Torah per rispetto all’assemblea» ( Megillah 23a), anche se altre affermazioni sembrano attenuare il giudizio come leg- giamo in un midrash: «Se un povero dice qualcosa, vi si presta poca attenzione; ma se parla un ricco, subito egli viene ben ascoltato; tut- tavia, davanti a Dio tutti sono uguali: donne, schiavi, poveri e ric- chi» ( Esodo Rabbà 21, 4). Resta comunque il fatto che in Paolo la prospettiva non è soltanto quella di una mera uguaglianza davanti a Dio, bensì e soprattutto quella di una parità di funzioni a livello comunitario. Egli «non af- ferma che in Cristo non ci sono più uomini e donne, ma che il matri- monio patriarcale e i rapporti sessuali fra maschio e femmina non so- no più costitutivi della nuova comunità in Cristo. Senza tener conto delle loro capacità procreative e dei ruoli sociali con queste connessi, le persone saranno membri a pieno titolo del movimento cristiano nel e mediante il battesimo» (così giustamente Elisabeth Schüssler Fiorenza). Non per nulla, l’intera frase paolina si trova nel contesto di una riflessione sul battesimo, e questo rito, a differenza della cir- concisione praticata in Israele, evidenzia appunto l’uguaglianza tra maschi e femmine. Un velo incerto. In 1 Corinzi 11, 2-16 Paolo discorre notoriamente di un velo o copricapo che le donne dovrebbero indossare durante le assemblee liturgiche. Le motivazioni della richiesta, a parte la prassi L’autore Andrej Rublëv «Icona di san Paolo» (1407) università di Urbino, oltre che allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. I suoi interessi vertono su Paolo di Tarso, sulle cristologie del Nuovo Testamento e sulla inculturazione del primo cristianesimo. apertamente durante l’assemblea liturgica, ritenuta co- munque una prassi indiscutibile. Silenzio accessorio. Un testo ben noto è 1 Corinzi 14, 34-35, che parrebbe contrastare ogni enunciazione di egualitarismo: «Le donne nelle chiese stiano zitte (...) È indecente infatti per una donna parlare nell’assem- blea». Questa frase è stata spesso un cavallo di batta- glia dentro e fuori la Chiesa per dimostrare l’antifem- minismo di Paolo, sia per condividerlo sia per con- dannarlo. In realtà, l’esegesi odierna evita queste er- meneutiche contrapposte e comprende l’affermazione dell’apostolo in termini positivi, sia pure con posizioni differenziate. Da una parte, infatti, c’è chi addirittura ritiene che queste parole non appartengano al testo originale della lettera ma siano state inserite posterior- mente nel corso della tradizione manoscritta come una glossa, sulla base di un passo deutero-paolino (cfr. 1 Timoteo 2, 11: «La donna impari in silenzio con tutta sottomissione; non concedo a nessuna donna di insegnare né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo»). Ma, se quest’ultimo testo è inequivocabile, bisogna rico- noscere che esso manifesta un successivo e deteriorato atteggiamento verso la donna nella Chiesa. Il Paolo storico, infatti, documenta un tutt’altro modo di vedere le cose. Ciò che fa problema semmai è l’aperto contrasto con il fatto che l’apostolo dà assolutamente per scontato che le donne possano intervenire liberamente in pubblico, senza porre loro alcuna museruola, come denota l’uso del verbo pro- fetèuein impiegato a loro riguardo esattamente come per l’uomo (cfr. 1 Corinzi 11, 4-5).

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