donne chiesa mondo - n. 74 - dicembre 2018
DONNE CHIESA MONDO 26 DONNE CHIESA MONDO 27 Gli affamati sono aumentati di decine di milioni in pochi anni, mentre la qualità nutrizionale di tanti alimenti è decaduta. Sono così cresciuti, per giusta risposta, i mercati contadini, i gruppi d’acquisto solidali e i ristoranti con cibo locale, ma accanto a questi crescono i furbi della tracciabilità, cuochi che vantano il chilometro zero, ma comprano cibo del posto un paio di volte l’anno, a basso prezzo, mentre aumentano gli usi ingannevoli di diciture d’origine e “made in Italy” sulle etichette. Cibi spacciati come di nobili origini sono ac- quistati invece a prezzi ingiusti, sfruttando il lavoro dei contadini lontani e danneggiando gli agricoltori locali. La crescita della richie- sta di cibo a chilometro zero porta a volte a trascurare che la vera origine del cibo è l’agricoltore. In realtà per gli agricoltori il chilome- tro zero, che ha come conseguenza l’impossibilità di scambiare con altre popolazioni il cibo necessario, ha costituito una delle cause sto- riche della fame. Il cibo è sempre circolarità, mescolanza e quando un potere esterno o eventi non governati hanno imposto regimi au- tarchici all’alimentazione sono state le popolazioni contadine le pri- me a pagarne il prezzo: da sempre gli agricoltori hanno scambiato oculatamente i prodotti della vocazione del proprio territorio con quelli provenienti da altri territori e culture. La saggezza era letteral- mente l’atto di assaggiare, avere consapevolezza dei sapori della pro- pria terra e unire le distanze conoscendo i prodotti altrui. La diffu- sione del cibo di prossimità, di diretta provenienza dall’agricoltore deve quindi essere accompagnata dalla promozione di una solida cul- tura popolare alimentare, che emancipi anche il consumatore dalla dipendenza e ne faccia un saggio alleato del contadino. In questo svolgono un ruolo il metodo produttivo ecologico e il contributo dell’agricoltura biologica e biodinamica, ma anche tutto quanto valo- rizza l’agricoltore e riporta l’agricoltura a fondamento dei propri pro- cessi. Non credo nel cibo a chilometro zero fine a sé stesso, che potreb- be essere inquinato, di pessima qualità, occultare lunghe catene pro- duttive, che vedono l’agricoltore asservito a processi che lo schiaviz- zano, brevetti sui semi, dipendenza dai mezzi di produzione e con- tratti illiberali. Per altri versi so che c’è anche un cibo contadino lon- tano, che è prezioso, perché qui non lo si potrebbe produrre e per- ché proviene da popolazioni povere di cui rappresenta l’unica ric- chezza da scambiare. Un cibo che è un abominio rapinare con prezzi che annientano economie e vite umane di intere regioni. Per tutto questo bisogna insistere a ridurre i passaggi e gli ingiu- stificati arricchimenti lungo le catene del valore e quindi mirare alla filiera corta che unisca ovunque cittadino e contadino. Il chilometro zero senza filiera corta, privato di questa prossimità e alleanza, è mortifera autarchia.
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